Ieri sono scesa a prendere i pacchi accumulati in portineria. Un incipit così avvincente non può che preludere a una poderosa metafora. Scendo pronta a ritirare i pacchi, rientrare in ascensore, risalire, e quando arrivo al piano terra ci sono padre e figlio che aspettano di prendere il mio ascensore. Quello sul quale tra poco dovrò risalire.
Il figlio ha il naso fuori dalla mascherina. Poiché, come Robbie Williams, «non ho paura di morire: è che non voglio», tutto il ritiro dei pacchi e la risalita si svolgono in un clima di paranoia.
Quel ragazzino avrà starnutito in ascensore, come minimo. Respirerò il suo moccio virale, come minimo. Morirò d’altrui distrazione. Non esco mai, e poi mi ritrovo a morire come una fessa, morire d’ascensore appestato da un ragazzino che non sa tenersi la mascherina sul naso.
Non è mica solo il ragazzino, eh. Il Bill Clinton col naso fuori dalla mascherina, alla cerimonia d’insediamento di Biden, non l’ho notato solo io: ieri sul New York Times c’era una articolo sul fatto che la mascherina abbassata è il nuovo manspreading.
Il manspreading l’ho sempre liquidato come una scemenza identitaria: non so se gli uomini stiano seduti a gambe larghe, perché quella seduta più scompostamente sono sempre e comunque io (stessa cosa per il mansplaining: non so se gli uomini interrompano insofferenti le interlocutrici, perché in qualunque conversazione quella che prevarica di più sono comunque io – e tutto questo senza neppure cambiarmi i pronomi).
Il naso fuori, però, è una mia fissazione. Ma anche qui, non ho notato se siano più gli uomini. Il tizio del NYT dice che potrebbe essere che agli uomini servisse più ossigeno, ne consumano di più anche in immersione. Farei presente che l’ossigeno dalla mascherina passa (sennò a quest’ora saremmo tutti morti). Ma, davvero, ignoro se sia questione di genere sessuale. Noto solo che tenersi una diavolo di mascherina in faccia sembra un’impresa più complessa del costruire un ponte, per l’occidentale medio.
In una puntata di Southpark andata in onda a settembre, le mascherine venivano chiamate «pannolini per il mento». Quando il Fauci del caso cercava di spiegare ai cittadini che la mascherina andava tenuta in faccia, non sotto il mento, quelli gli davano del cretino: ma le pare che tengo un pannolino sulla bocca.
Persino Barack Obama a un certo punto aveva il naso fuori dalla mascherina, scrive il New York Times, e in quel “persino” c’è tutta l’esasperazione di noialtri che osserviamo i migliori, i più intelligenti, i più buoni, i best and brightest non saper eseguire un’operazione semplice quale tenersi quella cavolo di mascherina in faccia.
Che poi: a me non scivola mai. Ma mai mai mai. La metto, e lì sta finché non la tolgo. L’Esselunga recapita forse a me gli unici pacchi di mascherine non difettose, e a tutti gli altri roba con gli elastici laschi?
Il rosticciere di Eataly al quale devo dire cinque volte, nel tempo necessario a incartarmi un pollo, di tirarsi su la mascherina: da dove vengono i suoi elastici? (E chi mi ridarà la serenità perduta, a me che mangio il pollo chiedendomi se il suo naso ci avrà sgocciolato sopra?)
Il mio avvocato che viene ripreso dal giudice, mentre fa la sua brava arringa, perché gli è scivolata giù la mascherina: cos’hanno che non va i suoi elastici? (Se Tom Cruise in Codice d’onore si fosse dovuto fermare per aggiustarsi la mascherina, Jack Nicholson non avrebbe mai ammesso d’aver dato ordine d’ammazzare la recluta).
I tizi sul Frecciarossa, quattro ore d’agonia a osservare nasi: tutti, tutti, tutti stanno col naso fuori dalle mascherine; s’io fossi il genere di rompicoglioni che gliene chiede conto, mi direbbero che si sentono soffocare, poveri pulcini?
A farmi capire che non si tratta d’elastici laschi sono i tizi sul tram numero 9; che, quando punti contro di loro il telefono (l’arma d’autodifesa più efficace ma più inquietante di questo nostro tempo), si tirano su la mascherina capendo che stai per fotografarli e svergognare la loro inadempienza. Quindi lo sapete che il naso non deve stare fuori. Quindi non siete distratti, siete proprio cialtroni.
Oppure non avete capito come funziona. Un po’ come quelli che hanno parlato all’insediamento di Biden, che arrivavano con la loro brava mascherina e poi se la toglievano per parlare al microfono. Ma, benedetti figlioli, è proprio quando parli e sputacchi che la mascherina deve coprirti gli orifizi.
L’altro giorno il mio dirimpettaio sul Frecciarossa è sceso a Firenze a fumare, e quando è risalito non s’era rimesso la mascherina. S’è seduto, e ha fatto una lunga telefonata, sputacchiando bel bello senza mascherina. L’ho guardato feroce, perché sono così mitomane da credere che un mio sguardo accusatorio ti ricondurrà, tremebondo, nei binari del vivere civile.
Niente. Dopo dieci minuti, esasperata, ho alzato la voce: scusi, la mascherina. Se l’è rimessa con tante scuse, e ha chiuso precipitoso la telefonata.
Evidentemente convinto che con la mascherina, oltre che l’ossigeno, non passi la voce. Avete notato che la gente con mascherina, per strada al telefono, urla come se uno strato di garza la rendesse inudibile?
Dev’esserne convinta anche la portavoce di Biden, che martedì è salita per la prima volta sul pulpito della sala stampa e ha annunciato l’iniziativa “100 giorni in mascherina” con cui il presidente chiedeva a tutti di fare il loro dovere, di non stare senza mascherina in edifici federali eccetera. Lei, dalla sala stampa della Casa Bianca, dettava una regola che non stava rispettando, essendo senza mascherina. Probabilmente convinta che, senza, non l’avrebbero sentita. Speriamo il NYT ci dica presto se è un’eccezione, in quanto donna.