La Commissione europea da giorni ormai guarda all’Italia con preoccupazione a causa della crisi politica. In primis perché alla soluzione della crisi – come spiega il Messaggero – è legato il destino del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), con i 209 miliardi di sovvenzioni e prestiti europei.
Gli Stati Ue devono consegnare a Bruxelles i piani nazionali entro il 30 aprile. Tuttavia, la Commissione aveva subito consigliati alle capitali di presentarne le bozze entro metà ottobre. E ancora in questi giorni la presidente Ursula von der Leyen ha ribadito che prima si è pronti con i piani prima arriverà la valutazione definitiva della Commissione per poter procedere ai primi esborsi da metà anno.
Il prolungarsi della crisi politica in Italia, però, potrebbe mettere questa tabella di marcia a rischio. Il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha detto di essere «convinto che la qualità del piano di ripresa dell’Italia possa rafforzarsi nel dialogo con la Commissione». Tradotto: anche la seconda versione rivista e corretta non è sufficiente, nonostante sia migliore della prima.
Il dialogo tra Roma e Bruxelles prosegue «al ritmo serrato di due riunioni a settimana», ha detto Gentiloni. Nel passaggio dalla prima versione alla seconda, il peso degli investimenti rispetto agli incentivi è aumentato. Ma il capitolo delle riforme, da accompagnare agli investimenti come chiesto dalla Ue, è ancora troppo debole. Soprattutto per gli interventi sulla pubblica amministrazione, ambito centrale per la modernizzazione del Paese, e la concorrenza.
E poi c’è la patata bollente della governance, da cui è partita la rottura tra Renzi e Conte. Nella bozza del piano ci si limita a indicare che sarà presentato un «modello» al Parlamento. Le linee guida comunitarie indicano come «indispensabile un meccanismo non ordinario di attuazione e gestione del progetto».
Gentiloni ha detto che bisogna sbloccare «i colli di bottiglia» normativi creando corsie preferenziali e procedure straordinarie, cosa che potrebbe decidere solo il Parlamento. In Italia e Spagna, secondo la Commissione, oltre a definire le fatidiche «cabine di regia» e le responsabilità, occorrono procedure straordinarie.
La Francia è stato il primo Paese a consegnare una bozza preliminare del piano a settembre, la Germania l’ha approvata un mese fa. All’inizio di gennaio erano sette i Paesi che avevano consegnato una bozza quasi completa: Spagna, Grecia, Ungheria, Bulgaria, Portogallo, Slovenia e Repubblica Ceca.
L’Italia è ancora molto indietro nella costruzione del piano, come fa notare oggi anche Lorenzo Bini Smaghi in una intervista a Repubblica. «È difficile dare un giudizio», dice, «perché in pochi giorni sono significativamente cambiate le cifre riguardo alle macroaree di intervento, ma allo stesso tempo sono scomparsi i progetti. E mancano le riforme, che rappresentano una condizione essenziale per l’erogazione dei fondi». E aggiunge: «Se chi ci ha dato i fondi per la ricostruzione scopre che sono stati spesi per il consenso elettorale, non sarà più disposto a darceli in futuro. È a rischio la credibilità del Paese».