Accendere la televisione e sentire dal telegiornale che «un virus insidioso e mortale» partito dall’Asia si sta diffondendo con estrema rapidità, trasmettendosi «aggressivamente da persona a persona», è un’esperienza che in questo 2020 abbiamo vissuto tutti.
Per alcuni tedeschi però si tratta di un deja-vu: ci erano già passati nel 2007. Solo che allora si trattava di una semplice esercitazione.
Lükex è un’abbreviazione che sta per Länder- und Ressortübergreifende Krisenmanagementübung (EXercise), cioè «esercitazione di gestione delle crisi per tutti i Länder e tutti i dipartimenti», e indica il programma con cui le autorità tedesche testano periodicamente le unità di crisi attraverso simulazioni mirate. A partire dal 2004 i sistemi di sicurezza e di soccorso vengono messi alla prova tramite scenari basati su minacce realistiche – ad esempio nel 2005 furono simulate delle situazioni di pericolo legate a grandi eventi come i Mondiali di calcio, che la Germania avrebbe ospitato l’anno dopo.
Nel 2007 invece il tema dell’esercitazione fu proprio una pandemia di influenza. Furono coinvolte circa 3.000 persone e numerose istituzioni: oltre alla Cancelleria e ad alcuni ministeri, 7 Länder, l’Ufficio federale della polizia criminale (Bundeskriminalamt, BKA) e aziende come Deutsche Telekom.
Il bilancio fu solo parzialmente positivo. Nelle dichiarazioni ufficiali si leggeva grande soddisfazione, ma internamente non mancarono critiche e preoccupazioni. Una nota del governo turingiano, ad esempio, sosteneva che in molti casi le misure di prevenzione e di protezione della popolazione non avevano funzionato in maniera adeguata, con conseguenze potenzialmente molto gravi in caso di una reale pandemia.
Tredici anni dopo la crisi pandemica è avvenuta davvero, e la Germania ha mostrato di non aver imparato bene la lezione di quella simulazione, soprattutto durante la seconda ondata di contagi. Come mai? Due risposte le offre questo bellissimo articolo pubblicato dallo Spiegel, e hanno a che fare con due dimensioni diverse: una più ampia, quasi storica, l’altra più legata a problemi strutturali e burocratici delle istituzioni tedesche.
La prima causa ci porta indietro di quasi vent’anni rispetto al 2007, al crollo del blocco sovietico e alla fine della Guerra Fredda. Gran parte delle strutture di difesa e di emergenza sembravano non essere più necessarie, venuto meno il terrore di uno scontro fra le due superpotenze. Iniziò una fase di progressivo disarmo e smantellamento: i 221 ospedali di soccorso costruiti a partire dagli anni Sessanta, con una copertura di 80.000 posti letto, vennero pian piano abbandonati. Le scorte di farmaci conservate nei depositi di emergenza cominciarono a scadere e non furono più sostituite.
L’inizio del nuovo secolo rivelò tuttavia l’esistenza di altre minacce: oltre agli attacchi dell’11 settembre 2001, l’anno dopo la Germania fu devastata come altri Paesi europei dalle alluvioni dell’Elba e del Danubio, che colpirono duramente soprattutto a est. Si tentò allora di riorganizzare dalle fondamenta l’infrastruttura di aiuto in caso di emergenze, e venne istituito il Bundesamt für Bevölkerungsschutz und Katastrophenhilfe (Ufficio federale per la protezione della popolazione e l’aiuto in caso di catastrofe, BBK): un’istituzione più moderna e agile che sostituì il Bundesamt für Zivilschutz (l’Ufficio federale per la protezione civile). L’intenzione dell’ideatore del nuovo BBK, il Ministro degli Interni Otto Schilly (SPD), era quella di mettere in piedi un’agenzia in grado di coordinare i soccorsi in maniera più rapida ed efficace, centralizzando alcune funzioni e dando maggiore potere d’azione al governo federale – e mettendo a punto esercitazioni mirate.
C’era però un problema: bisognava modificare la Grundgesetz, la Costituzione. Secondo il dettato costituzionale, quelle funzioni erano (e sono) di competenza dei singoli Länder, che non avevano (e non hanno) alcuna intenzione di rinunciare alle loro prerogative. La modifica non riuscì: ed è qui che si nasconde la seconda causa identificata dallo Spiegel, nello scarto che si creò fra le competenze del BBK e il mancato ancoramento costituzionale che esse avrebbero richiesto. Il nuovo Ufficio federale può agire solo im Spannungs- und Verteidigungsfall, «in caso di tensione e di difesa»: in caso di catastrofe può coordinarsi con i Länder, ma solo su richiesta dei Länder stessi. Esattamente come il vecchio Ufficio per la protezione civile, non può prendere l’iniziativa e coordinare a livello centrale, deve attendere che siano i governi locali ad attivarsi per primi. Si tratta del Geburtsfehler, il «difetto di nascita» del BBK, come lo chiama lo Spiegel.
Negli anni successivi si continuò comunque a lavorare per modificare l’assetto dell’Ufficio federale e delle sue prerogative: la cornice principale era quella della lotta al terrorismo e della prevenzione e del soccorso in caso di attentati, ma si cercava di mantenere alta l’attenzione anche sulle catastrofi naturali e sulle pandemie. Nel 2008 i parlamentari della CDU, della SPD, dei Grünen e della FDP collaborarono alla pubblicazione di un libro verde dal titolo Risiken und Herausforderungen für die öffentliche Sicherheit in Deutschland («Rischi e sfide per la sicurezza pubblica in Germania»), che conteneva anche un capitolo dedicato al rischio di una pandemia legata a una variante del virus SARS. Come venne ripetuto anche durante la discussione del testo al Bundestag, tra gli esperti non si tratta più di sapere se arriverà una pandemia, ma quando.
Il problema è che si era nel 2008, e con il fallimento di Lehman Brothers l’unica crisi di cui importava era quella finanziaria, immediata e concretissima. Ci sarebbe stato tempo per pensare a eventuali pandemie. Solo che poi il tempo non c’è stato.
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