Che gli stereotipi più consumati siano spesso più d’ostacolo che d’aiuto per capire le faccende vaticane è un fatto che spero i nostri sparuti lettori abbiano colto da tempo.
Se fosse vero il messaggio che viene trasmesso – con Benedetto XVI dipinto quale un arcigno incrocio fra l’inquisitore Torquemada e l’Imperatore Palpatine di Guerre Stellari, mentre il suo successore Francesco sarebbe una sorta di guerrigliero sandinista passato dal Vaticano per concludervi finalmente il XIV secolo – allora non si spiegherebbero né il titolo di questo pezzo né la storia che qui vorremmo raccontarvi.
È cosa nota che Papa Francesco, poi, eviti di visitare quale Pontefice paesi percepiti quali centrali per la narrativa occidentale e le tradizionali dinamiche della sua Chiesa. E la Germania, paese al centro non solo geografico di tante vicende europee e uno dei fulcri dei movimenti ecclesiali e teologici che segnarono il Concilio Vaticano II e gli anni ad esso successivi, non poteva fare eccezione.
Mentre il papa-globetrotter Giovanni Paolo II si recò tre volte in Germania (nel 1980, 1987 e 1996) ed il suo successore bavarese non mancò l’occasione di tornare nella Repubblica federale (anch’egli tre volte, nel 2005, 2006 e 2011), il Pontefice argentino ha finora trovato il tempo per una visita alle Mauritius e una ai soli 25.000 cattolici del Marocco, ma no, la ricca, potente e dotta Chiesa in Germania non ha avuto l’onore. Analogo discorso potrebbe farsi circa le nomine cardinalizie di Francesco, con la Germania ormai completamente cancellata dalla carta geografica di Papa Bergoglio.
Fin qui, si dirà, nulla di nuovo. C’è però una miccia che ha fatto esplodere i rapporti fra Successore di Pietro e Chiesa in Germania, ed essa risiede in un fatto tutto ulteriore e tutto tedesco: il Cammino sinodale. Lo scorso aprile Gregor Christiansmeyer aveva spiegato per Kater di cosa si tratti: una grande assemblea di delegati designati dalla Conferenza episcopale e dalle organizzazioni laicali tedesche, chiamata a dibattere e votare (a maggioranza, notare bene!) in tre forum e poi in seduta plenaria proprie posizioni su questioni tutt’altro che secondarie per l’orbe cattolico – il potere nella Chiesa, il celibato sacerdotale ed il ruolo delle donne. Ed è probabilmente proprio sulla scelta di questi che si può rintracciare una crepa importante fra Santa Sede e intelligencija cattolica tedesca. Perché il Cammino sinodale nasce come risposta agli scandali sui terribili abusi sessuali compiuti in strutture ecclesiastiche tedesche, con l’idea che, andando ad affrontare aspetti pubblicamente indicati quali cause profonde degli abusi, si dovrebbe risollevare la reputazione della Chiesa cattolica tedesca e prevenire nuovi scandali.
Tuttavia gli aspetti che il Cammino sinodale intende apertamente problematizzare non riguardano circostanze meramente tedesche né gli scandali in modo diretto, ma chiamano in causa tratti distintivi e questioni dirimenti per l’intera Chiesa cattolica mondiale, la cui soluzione può dunque essere trovata solamente a Roma. Di qui l’impressione, la storia giudicherà se infondata, che la Chiesa tedesca voglia non solo aprire la pista e dettare la linea a Roma, ma vieppiù cerchi di sanare la propria oramai cronica crisi di fiducia in patria intestandosi una mezza rivoluzione ecclesiastica di rilevanza mondiale. Insomma: uno scacco al re.
Se Francesco fosse il guerrigliero sandinista di cui sopra, in direzione Germania avrebbe dovuto mandare a questo punto corone di fiori e d’alloro. In realtà le Poste vaticane hanno però recapitato nell’estate 2019 da Roma una “Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio che è in cammino in Germania”, nella quale il Papa si occupa del Cammino sinodale ben più che con la sola allusione nel titolo. Chiedendone nientemeno che un radicale cambio dell’ordine delle priorità e dei lavori per mettervi al centro la necessità che la Chiesa tedesca si dedichi con forza all’evangelizzazione di sé e del suo popolo, un vocabolo sinora pressoché assente dal dibattito ecclesiale tedesco
In modo molto chiaro il Papa mette in guardia i cattolici tedeschi del fatto che «corriamo il rischio di partire da noi stessi e dall’ansia di autogiustificazione e autopreservazione che ci porterà a realizzare cambiamenti e aggiustamenti, ma a metà strada, i quali, lungi dal risolvere i problemi, finiranno con l’avvolgerci in una spirale senza fine che uccide e soffoca l’annuncio più bello, liberatore e promettente che abbiamo e che dà senso alla nostra esistenza»
Se state pensando che una Lettera del Sommo Pontefice a tutti i cattolici tedeschi sia stata seguita fra questi ultimi da attenta lettura ed autocritici dibattiti… beh, allora siete davvero molto italiani. Poche settimane dopo aver ricevuto la lettera, gli organizzatori del Cammino sinodale (i Presidenti della Conferenza episcopale e del Comitato centrale dei cattolici tedeschi) hanno pubblicato una risposta succinta e piuttosto piccata, mettendo agli atti l’appello del Papa come una conferma del proprio operato e non cambiando una virgola dei propri piani. Da allora, di quella Lettera tiene traccia solo l’internet.
Quando il Cammino sinodale è poi partito, sono seguiti mesi di vaticanissimo silenzio romano. Interrotti a ciel apparentemente sereno da un evento in sé marginale. Il vescovo emerito di Fulda (in Assia) compie lo scorso ottobre una visita di routine Oltretevere e quando va a fare il saluto di cortesia al Papa, ne riceve una lamentela di prim’ordine: Il Pontefice si dice “drammaticamente preoccupato” per la condizione della Chiesa tedesca e profondamente dispiaciuto la sua Lettera sia stata (sic!) completamente ignorata, pregando il vescovo in pensione di riferire in patria. Cosa che il monsignore, non un progressista si dice, non tarda a fare. Risposta di Conferenza episcopale e del Comitato centrale dei cattolici tedeschi? Non pervenuta.
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