Trump e il Sunshine State
Dal secolo scorso, il South Florida ospita ex capi di Stato controversi (eufemismo), politici e militari a cui è andato male il golpe, speculatori immobiliari, tossicodipendenti, riciclatori a vari livelli, rattusi seriali alla Jeffrey Epstein, e maschi bianchi disturbati che fanno cose strane, detti Florida Men.
Tra loro, tra due giorni, arriverà per restare l’uber-Florida Man di questi anni: un ex capo di Stato controverso (eufemismo), a cui è andato male un golpetto e pure varie attività immobiliari. Che in Florida ha comprato villoni e li ha rivenduti a cifre alte e sospette a russi chiacchierati, indicato da persone malevole come consumatore di cocaina e Adderall, e amicone, a suo tempo, di Jeffrey Epstein. In più, sempre di più, la Florida – più l’ovest e il nord, ma vabbè – è “un’oasi MAGA”: «In un suo modo orrendo e bizzarro è il più trumpiano degli Stati». Lo dice al Washington Post Rick Wilson, floridiano, stratega repubblicano poi del Lincoln Project, cultore dell’assurdità locale. Lo dimostravano ieri centinaia di presidi trumpiani di gente in cappello da baseball rosso e bermuda, e il Campidoglio di Tallahassee in lockdown. E poi il clima del South Florida è subtropicale e ci sono persone ricche ancora disposte a frequentare i Trump (le vere elites, la Corporate America a cui Trump ha dato tanto, dopo l’assalto golpidiota al Campidoglio l’hanno scaricato del tutto).
Così, Don Junior e la fidanzata Kimberly Guilfoyle cercano casa a Jupiter, a nord di Palm Beach. Ivanka e Jared Kushner hanno comprato un terreno di Julio Iglesias in un’isola privata fuori Miami per costruirci una villa. Anche Tiffany, l’altra figlia meno apprezzata da Trump, sta cercando a Miami. Cercano casa anche alcuni staffer che dovrebbero seguirlo. Mentre a Palm Beach vogliono sfrattarlo.
Perché, comprando (fregando gli eredi) la magione di Marjorie Merriweather Post per farci un club, Trump si era impegnato a non soggiornare, lui e gli altri soci, più di tre settimane l’anno. Ha sempre sforato ma non ci si è fatto caso. Ora però gli altri ricchi di Palm Beach, spesso più ricchi di lui, non vogliono l’ex presidente ufficialmente impresentabile, i rischi per la sicurezza, il traffico, i trumpiani di basso rango, l’aura di isola elegante dove svernavano i Kennedy e prima ancora i miliardari Wasp (il primo club che ammetteva gli ebrei, va detto, fu Mar-a-Lago). Ma questa è un’altra telenovela, più bling-bling, meno cruenta, nel tempo squallida, forse.
Trump e i fatti alternativi
La cacciata di Trump da Twitter ha creato un vasto dibattito sulla censura – meno sull’istigazione a delinquere – e qualche risultato. Secondo uno studio della società di ricerche Zignal Labs, la «disinformazione su presunti brogli elettorali è diminuita del 73 per cento» (Twitter è calato del 7 per cento, in Borsa). Troppo tardi, forse.
Secondo un sondaggio del Pew Research Center, l’80 per cento degli elettori di Trump sopra i cinquant’anni è convinto che Trump abbia vinto; lo pensa anche il 67 per cento dei trumpiani laureati, e l’82 per cento di quelli che non sono andati al college. E non si sa se pian piano torneranno a credere nei mainstream media, o si chiuderanno nelle bolle con diversi media, diversi social, tanti nazisti dell’Illinois.
Trump e la biblioteca presidenziale
Dopo aver raccolto 200 milioni e più di dollari gridando alla frode elettorale – e le clausole in piccolo dicono che può fare quel che vuole delle donazioni, anche non pagare Rudy Giuliani – Trump ha un nuovo progetto. Come i presidenti normali, vuole costruire una biblioteca presidenziale. Ha scritto ai suoi sostenitori, vuole arrivare a due miliardi (a Barack Obama sono bastati 500 milioni, e ci metterà anche dei libri), conta sugli small donors. Se ne dovrebbe occupare Dan Scavino, non uno studioso ma il suo social media guru, ora disoccupato perché Trump è stato buttato fuori da tutti i social.
E si specula sulle prime donazioni, Trump è presidente fino a mercoledì mattina e ha tempo per perdonare un sacco di gente. E si immaginano i cimeli che saranno in mostra alla Trump Library and Museum (i più realistici, e meglio informati su cosa facesse Trump alla Casa Bianca, suggeriscono un telecomando).
Trump e la sicurezza nazionale
L’Amministrazione uscente sta cercando di installare un ultimo lealista trumpiano, Michael Ellis, alla National Security Agency, e la mossa in zona Cesarini suscita dubbi. «Fa parte dello sforzo dell’Amministrazione per inserire nel civil service persone che sono di parte e che non hanno posto qui», ha detto ieri a “Face the Nation” della CBS Adam Schiff, presidente dell’Intelligence Committee della Camera.
Ancor più che di Ellis, Schiff si preoccupa di Trump: «In nessuna circostanza questo presidente dovrebbe ricevere briefing riservati, non ora, non in futuro. Non penso che ci si possa fidare ora, e non ci si potrà fidare in futuro» (ci si può immaginare un outlet di segreti di Stato, in uno shopping mall della Florida, con Trump grassissimo che racconta aneddoti e molesta le spie femmine).
Trump e la banda militare
Per uno che se ne va da pessimo perdente che diserta la premiazione, il quasi ex presidente ha pianificato un evento elaborato. Partirà mercoledì mattina dalla base Andrews in Maryland, e poco manca che non abbia fatto dipingere d’oro gli infissi degli hangar. Sono previsti 21 colpi di cannone, bande militari, tappeto rosso, truppe in alta uniforme (altre truppe, della Guardia Nazionale, saranno poco lontano, nel centro di Washington, a proteggere Joe Biden e Kamala Harris dagli arditi di Trump).