La solidarietà europea, per tradizione non contempla solo i paesi dell’Unione, ma anche i vicini dei Balcani occidentali e quelli dell’Est Europa. Nella lotta al coronavirus non è venuta meno. Per i sei paesi dell’EaP, il Partenariato orientale (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Ucraina e Repubblica Moldova) sono stati stanziati 65 milioni di euro per le necessità immediate, mentre quasi un miliardo per i sistemi sanitari e la ripresa economica e sociale della regione.
L’approvazione di due vaccini anti-Covid da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Moderna e Pfizer-BioNtech) e il coordinamento europeo gestito direttamente dalla Commissione hanno fatto sì che i vaccini arrivassero in tempi rapidi in tutti gli Stati membri. La distribuzione sta andando secondo i tempi previsti, sulla base di contratti negoziati per tempo da Bruxelles con le case farmaceutiche, o tra i singoli paesi e queste ultime.
Una organizzazione di cui non godono i Paesi a est dell’Unione, in difficoltà per la carenza dei loro sistemi sanitari e insufficienti risorse economiche per l’acquisto dei vaccini.
La soluzione, come spesso accade nell’Unione europea intergovernativa, è giunta dai ministri degli esteri di tredici paesi dell’Unione (Lituania, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Lettonia, Polonia, Romania, Slovacchia e Svezia), che hanno indirizzato alla Commissione una lettera in cui chiedono di mettere in atto misure affinché i vaccini siano garantiti anche ai paesi del partenariato orientale.
Oltre a essere prova di solidarietà, la lettera è da intendersi anche come mossa politica e di sicurezza comune, per proteggere l’Unione dal contagio proveniente dai paesi con essa confinanti. I Balcani occidentali, grazie ad aiuti previsti dallo strumento di preadesione, beneficiano già della condivisione dei vaccini acquistati con i contratti negoziati dalla Commissione. Altrettanta attenzione dovrebbero ricevere i sei Paesi EaP.
Ma non solo: secondo alcuni analisti, i vaccini potrebbero trasformarsi in vero e proprio strumento diplomatico per evitare che i vicini orientali, confrontandosi con la carenza di dosi, si vedano costretti a negoziare con Russia e Cina, cadendo nella loro sfera di influenza. Già la Bielorussia, riporta Emerging Europe, avrebbe autorizzato e avviato la vaccinazione con lo Sputnik V, non ancora ufficialmente riconosciuto fuori dalla Federazione russa. In Ucraina, invece, si starebbe facendo ricorso a inoculazione con vaccini non ancora autorizzati.
Nella Repubblica Moldova, gli aiuti dell’Unione del pacchetto di emergenza EaP (108 milioni di euro) hanno contribuito finora a finanziare dispositivi di protezione per gli abitanti e il personale sanitario, nonché sterilizzatori per gli ospedali. Riguardo alla distribuzione dei vaccini, questo Paese, non solo in virtù della vicinanza, ma soprattutto del suo rapporto privilegiato con uno Stato membro, la Romania, potrebbe trovarsi in una situazione più favorevole.
I due Stati che parlano un’unica lingua e sono legati da una stessa cultura hanno firmato oltre dieci anni fa un “Partenariato strategico” per l’integrazione europea della Repubblica Moldova. Grazie a esso, Bucarest sta sostenendo il suo vicino nel percorso di riforme e di adeguamento alla macchina comunitaria, di cui una tappa importante è stato l’Accordo di associazione tra Chișinău e l’Unione del 2016.
Il 2020 e il Covid hanno colto la Moldova impreparata, specie a causa di un sistema sanitario insufficiente, sottoposto ora a una pressione senza precedenti. La neoeletta presidente Maia Sandu si trova a dover guidare un Paese che l’anno scorso ha registrato un calo del Pil del 3 per cento, e dove la campagna vaccinale partirà soltanto all’inizio di febbraio, secondo uno schema analogo a quello di altri Paesi europei.
Le autorità acquisteranno i vaccini con fondi statali, a seguito di negoziati bilaterali o grazie a donazioni. Nel frattempo, il ministero della Salute moldavo ha deciso di aumentare gli stipendi dei giovani medici specialisti del 70 per cento.
Una campagna vaccinale, quella moldava, che vede la Romania protagonista e attore importante. In vista della distribuzione dei vaccini, infatti, il 29 dicembre il presidente romeno Klaus Iohannis, incontrando la sua omologa a Chișinău, ha promesso al paese la fornitura di 200mila dosi di vaccino. Bucarest si è impegnata inoltre a inviare una squadra di esperti che aiuti ad allestire la strategia vaccinale, ma che non prescinda da una collaborazione stretta con gli enti sanitari moldavi.
Così come già fatto generosamente l’anno scorso, la Romania continuerà a fornire medicinali, dispositivi medici e di protezione per la cura dei pazienti affetti da Covid-19.
Gli impegni nel settore sanitario sono parte di un più ampio pacchetto di sostegno del Paese dell’Unione alla Moldova, che include un nuovo protocollo aggiuntivo all’Accordo bilaterale sull’erogazione di fondi non rimborsabili per 100 milioni di euro, ma anche contributi per il consolidamento della società civile, l’indipendenza dei media e l’istruzione.
La campagna vaccinale sarà una sfida non da poco per la Repubblica Moldova, e gli aiuti da Bucarest, se continueranno anche quest’anno, saranno provvidenziali per il mandato di Maia Sandu. Pur se eletta a furor di popolo il 15 novembre 2020, l’esponente moderata europeista deve confrontarsi con una maggioranza di ben altro colore in Parlamento. I socialisti filo-moscoviti, che hanno come nuovo presidente il suo predecessore Igor Dodon, non le renderanno la vita facile, anche in vista delle elezioni parlamentari anticipate che il capo dello stato, sull’onda dell’ampio sostegno popolare, auspica di tenere in tempi rapidi. Una campagna vaccinale andata male non la aiuterebbe.