Effetto 2020Il Covid ha peggiorato anche lo stato delle democrazie nel mondo

Secondo l’indice dell’Economist, che monitora la salute della politica globale, nell’anno appena finito si è verificato un netto degrado dovuto alle restrizioni imposte dalla pandemia. Tra le eccezioni, l’Italia resta «democrazia imperfetta», ma è migliorata (non come punteggio, come posizione)

di Guillaume de Germain, da Unsplash

«Democracy Index»: si chiama l’indice che l’Economist utilizza per misurare ogni anno lo stato della democrazia nel mondo. 167 sono i Paesi a cui è data la pagella, e cinque sono le «materie» che la costruiscono: processo elettorale e pluralismo; libertà civili; funzionamento del governo; partecipazione politica; cultura politica. Il 2006 fu il primo anno in cui venne costruito.

Complice il Covid ma non solo, avverte l’ultimo rapporto appena uscito, il 2021 è stato per la democrazia nel pianeta l’anno peggiore da quando l’indice venne presentato la prima volta.

Col punteggio espresso in decimi, esattamente come nelle scuole italiane, la prima della classe è la Norvegia: 9,81. La seguono, sempre sopra il 9, Islanda, Svezia, Nuova Zelanda, Canada, Finlandia, Danimarca e Irlanda. E poi, compresi tra l’8 e il 9, Australia, Paesi Bassi, Taiwan, Svizzera, Lussemburgo, Germania, Uruguay, Regno Unito, Cile, Austria, Costa Rica, Mauritius, Giappone, Spagna e Corea del Sud. Secondo l’Economist, le «democrazia piene» sono queste: in tutto, 23.

L’Italia, 29esima, sta alla categoria immediatamente inferiore: «flawed democracy». In genere viene reso con «democrazie imperfette», ma forse una traduzione migliore sarebbe «democrazie con difetti».

Siamo in buona compagnia, peraltro, visto che in testa c’è la Francia: 7,99. Dopo il 7,92 degli Stati Uniti, il 7,90 del Portogallo, il 7,84 dell’Estonia e di Israele, il nostro 7,74 precede il 7,68 di Malta, il 7,67 della Repubblica Ceca, il 7,65 di Capo Verde, i 7,62 del Botswana, il 7,56 di Cipro, il 7.54 della Slovenia, il 7,51 del Belgio, il 7,39 della Grecia, e giù giù fino al 6.01 della Guyana. Il Brasile di Bolsonaro sta al 6,92, la Polonia al 6,85, l’India di Modi al 6,61, l’Ungheria di Orbán al 6,56. In tutto, 55 Paesi.

Quelli del terzo gruppo sono considerati regimi ibridi, con tratti democratici che coesistono con tratti autoritari. Comunque insufficienti. Si va dal 5,99 del Bangladesh al 4,1 della Nigeria. La Hong Kong normalizzata sta al 5,57, la Turchia di Erdoğan al 4,48. In tutto, 34 Paesi.

Sotto al 4 stanno i regimi francamente autoritari. 57 Paesi: dal 3,93 del Mali all’1,08 della Corea del Nord. La Russia di Putin sta a 3,31, l’Egitto di al-Sisi a 2,93, Cina a 2,84, il Venezuela di Maduro a 2,76, la Bielorussia di Lukashenko a 2,59, la Cina a 2,27, l’Iran a 2,20, l’Arabia Saudita a 2,08, la Siria di Assad a 1,43.

Come già ricordato, la pagella è una media tra vari voti. L’Iraq, ad esempio, sarebbe ibrido per il 5,25 in processi elettorali e pluralismo e per il 5 di cultura politica, e addirittura democrazia imperfetta per il 6,67 in partecipazione. Sono lo zero spaccato in funzionamento del governo e l’1,18 in libertà civili che abbassano la media in modo irrimediabile, al 3,62.

In Armenia un 7,5 in pluralismo e un 6,11 in partecipazione politica diventano poi 5,35 per la media con il 5 del funzionamento del governo e libertà civili e il 3,13 di cultura politica. Al contrario, a Hong Kong le libertà civili sono 8,53 e la cultura politica 7,50. Ma con 5 di partecipazione, 3,64 di governo e 3,17 di pluralismo si cade a 5,57.

L’Italia come pluralismo è quasi al massimo: 9,58. Ma le libertà civili stano a 7,94, la cultura politica al 7,50, la partecipazione al 7,22, il governo a un 6,43.

Un dato di ottimismo è che, malgrado il Covid, stiamo migliorando. Di poco come punteggio complessivo: da 7,52 del 2019 al 7,74. Ma molto di più come posizione: dal 35esimo al 29esimo posto. Poiché nel 2017 stavamo al 7,98 e nel 2018 al 7,71, forse ciò indica che già solo togliere Salvini dal ministero dell’Interno avrebbe più che bilanciato il potenziale liberticida delle misure di confinamento.

Ma purtroppo conferma anche che la situazione mondiale è in netto peggioramento, come indica anche il fatto che gli Stati Uniti rimangono 25esimi pur calando il voto da 7,97 a 7,92.

«Solo l’8,4% della popolazione mondiale vive in una piena democrazia, e più di un terzo sotto ul regime autoritario», è la stima dell’Economist. «La media globale di 5,37 su 10 è la più bassa registrata da quando l’indice iniziò nel 2006».

Le misure pur necessarie anti-Covid hanno oggettivamente portato a un tale retrocesso delle libertà civili, secondo l’Economist, che in Francia – dove non c’era un Salvini fuori dal governo a controbilanciare – sono basate a spostare il Paese dal gruppo delle democrazie piene a quello delle democrazia difettate. «La pandemia non ha fermato i crescenti livelli di impegno politico», è una notazione positiva. «L’affluenza alle elezioni presidenziali americane di novembre è stata la più alta da 120 anni e il paese ha registrato il suo miglior punteggio di partecipazione politica dall’inizio dell’indice. Ma la fiducia dell’opinione pubblica nel processo democratico è stata colpita dal rifiuto di Donald Trump e di molti dei suoi sostenitori di accettare il risultato elettorale, e gli Stati Uniti rimangono nella categoria della democrazia imperfetta».

A Taiwan, invece, il successo del voto è servita a portare il sistema dal 31esimo all’11esimo posto, facendolo promuovere a democrazia piena. La buona gestione della pandemia ha evidentemente contribuito a questo successo, così come invece la cattiva gestione negli Usa ha probabilmente contribuito ad alimentare quegli umori complottisti in cui la democrazia va in panne.

Al contrario, il golpe che ha annullato un voto libero in Mali ha fatto cadere il Paese africano di 11 posti: indice di un più generale «anno terribile» per la democrazia in Africa. Dove il Covid in genere colpisce di meno, ma fa danni il terrorismo jihadista.

Questo per il 2020. Il 2021, avverte l’Economist, «non comincia bene», tra l’insurrezione a di Capitol Hill e il golpe in Myanmar. «I democratici sperano che un graduale alleggerirsi delle restrizioni sul Covid-19 darà loro più motivi di soddisfazione».

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