C’è un paradosso nella demografia cinese che rischia di deflagrare. Per anni il Partito comunista ha cercato di controllare le nascite, ma oggi quel controllo potrebbe trasformarsi in un boomerang pronto a colpire economia, crescita e ascesa della potenza cinese.
I dati relativi ai nuovi nati nel 2020 mostrano infatti una contrazione preoccupante. A novembre le autorità hanno iniziato il censimento nazionale e c’è il rischio che i numeri possano non essere sufficienti per mantenere il primato di paese più popoloso del mondo, lasciando così lo scettro all’India.
Secondo i dati preliminari dell’Hukou, il sistema di registrazione famigliare in vigore in Cina, nel 2020 sarebbero nati circa 10 milioni di bambini, il 14,9% in meno rispetto al 2019, quando erano stati oltre 11 milioni.
Il problema è che la pandemia, da sola, non basta a spiegare questo calo, che anzi conferma un trend iniziato qualche anno fa e che rappresenta il frutto avvelenato della politica sul figlio unico avviata alla fine degli anni ’70.
Cosa dicono gli ultimi numeri
I numeri rilasciati dal Ministero di pubblica sicurezza cinese devono essere presi con cautela. Molti nati nel Paese non vengono registrati subito. È probabile che le rilevazioni vengano riviste con un leggero rialzo nei prossimi mesi, dato che l’ufficio nazionale di statistica ha rimandato la pubblicazione dei dati da gennaio ad aprile.
Il ricalcolo però non cambierebbe di molto le carte in tavola. Come ha notato l’industriale Liang Jianzhang in un editoriale pubblicato all’inizio di febbraio, la situazione demografica si conferma preoccupante. Nel 2019 il conteggio dei nuovi nati venne rivisto da 11,8 milioni a 14,7. Se la proiezione fosse confermata nel 2020 si arriverebbe al massimo a 12,5 milioni di nati, il numero più basso da oltre 20 anni.
Il trend per Pechino è preoccupante. Dal 2016 in poi, primo anno completo senza la politica del figlio unico abolita alla fine del 2015, il numero dei nuovi nati è sempre stato in calo. Nel 2018 il numero totale di nuovi nati arrivò a malapena a 15,2 milioni con un -12% rispetto al 2017 anche se alcune città e province registrano un calo della natalità fino al 35%.
Spulciando i resoconti apparsi sui media cinesi nelle ultime settimane si scopre che diverse città nel Paese hanno registrato cali consistenti come Guangzhou, -9%, mentre altri centri hanno fatto segnare passivi anche a doppia cifra come Taizhou, nello Zhejiang a -32,6%, o Guiyang nel Guizhou a -31,6%.
Il governo aveva iniziato a vedere i primi segnali già nel 2013 quando iniziò ad allentare la politica del figlio unico, fino a sostituirla sei anni fa con quella dei due figli, nella speranza di stabilizzare il calo con un piccolo baby boom. Il problema è che questa inversione non è avvenuta. L’unico risultato concreto ha portato a un aumento delle famiglie che hanno avuto un secondo figlio, ma il conteggio finale dei nati ha proseguito il suo declino.
Dati poco incoraggianti anche sul fronte del tasso di fecondità. Per avere un mantenimento della popolazione il numero dovrebbe attestarsi intorno a 2,1. In quasi tutte le economie avanzate questo dato diminuisce man mano che le società invecchiano e diventano più ricche.
Quello cinese è passato dai quasi sei figli per donna del periodo 1960-1965 all’1,5 tra il 1994 e 2014 per poi attestarsi a 1,69 punti nel periodo 2015-2020,ma come ha notato il New York Times, questo numero resta controverso.
Secondo Yi Fuxian, professore della University of Wisconsin-Madison, i numeri sarebbero ancora più bassi e il governo avrebbe occultato e modificato grandi quantità di dati per mascherare gli effetti della politica del figlio unico. Per Yi, nel periodo 2010-2018 il tasso avrebbe avuto una media di circa 1,18 punti.
Dentro le ragioni del calo
Nel 2019 l’Accademia cinese per le scienze sociali aveva pubblicato un rapporto nel quale scriveva nero su bianco come la famosa politica cinese del figlio unico avesse sì raggiunto l’obiettivo di rallentare la crescita demografica, ma che l’avesse fatto in modo eccessivo creando le condizioni per problemi molto gravi sul fronte sociale.
Anche a causa di preferenze culturali, l’idea che ogni famiglia dovesse avere un figlio solo ha spinto per la prole maschile a discapito di quella femminile. E infatti le donne cinesi nate negli anni che seguirono la politica del figlio unico stanno raggiungendo, o hanno in parte superato, l’età in cui sono più fertili. Questo ha fatto sì che non ce ne siano abbastanza per sostenere il livello della popolazione e questo nonostante l’inversione di marcia di sei anni fa.
Questo aspetto a sua volta ha avuto un riflesso su altri dati, come quelli sui matrimoni. Tra il 2013 e 2019 il numero di persone che si sono sposate è diminuito del 41%, da 23,8 milioni a 13,9. Chiaramente il calo si può imputare alla diminuzione della popolazione per la politica del figlio unico, ma non solo. Negli ultimi anni è cambiato anche l’atteggiamento nei confronti dell’istituzione, soprattutto da parte delle donne.
Dopo decenni in cui sono state incoraggiate ad entrare nella forza lavoro adesso il governo sta tentando di riversare di nuovo su di loro la responsabilità della denatalità. Ma questa pressione sta sortendo effetti opposti. Wei-Jun Jean Yeung, sociologo della National University of Singapore
ha spiegato alla Cnn che con una maggiore istruzione sempre più donne hanno ottenuto una migliore indipendenza economica e questo ha reso il matrimonio sempre meno necessario rispetto al passato. Molte di loro, ha aggiunto, oggi vogliono perseguire la propria carriera prima di sposarsi.
La sensazione di molti studiosi è che una fetta della società patriarcale cinese non si sia ancora resa conto dei cambiamenti in atto. Molti uomini, giovani o meno, credono ancora che le donne debbano occuparsi della cura dei figli e della casa dopo il matrimonio e questo anche se hanno un lavoro a tempo pieno. Ma in un mercato del lavoro che penalizza fortemente le donne che escono per avere dei bambini questo non è più possibile.
Il governo però non sembra aver colto tutti i segnali. Se è vero che l’allarme sul calo dei tassi di natalità è stato recepito, è anche vero che la prima soluzione trovata è stata aumentare la pressione sulle giovani donne. Nell’ormai lontano 2007 l’All-China Women’s Federation, un’organizzazione per i diritti delle donne controllata dallo Stato, coniò il termine “donne rimanenti”, per descrivere tutte coloro che all’età di 27 anni non si erano ancora sposate. Nel tempo quel termine è entrato sia nel linguaggio dei media, che in quello ufficiale come strumento di biasimo per fare pressione su di loro.
In più, nel 2020 il governo ha reso più complesso porre fine ai matrimoni con una riforma che ha introdotto una sorta di periodo di “ravvedimento” di 30 giorni per chi chiede il divorzio. Una decisione che è stata accolta con moltissime critiche soprattutto dai giovani netizen cinesi nel contesto di un dibattito nazionale sulle violenze domestiche.
In generale la discussione sul calo della natalità è stata molto accesa sui social media cinesi. I millennials della Repubblica popolare hanno infatti puntato il dito anche su altri aspetti che a loro dire influenzano questa mancata crescita, come l’aumento dei prezzi delle case, lo stallo dell’economia e l’aumento dei costi dell’istruzione.
Su Weibo, uno dei social più usati in Cina l’hashtag #The total fertility rate has fallen below the warning line# ha raggiunto oltre 370 milioni di visualizzazioni e raccolto migliaia di commenti con diversi utenti che hanno puntato il dito proprio contro il costo della vita, l’aumento delle disuguaglianze e politiche sociali non all’altezza da parte del governo.
Molte donne, ha notato Quartz, hanno avviato diverse campagne sui social per sensibilizzare le ragazze più giovani a non sposarsi. Un’iniziativa che ha permesso a molte di loro di mostrare il malcontento sia nei confronti di politiche discriminatorie da parte delle autorità che il modo in cui vengono gestiti mercato del lavoro e istruzione superiore.
Gli effetti su pensioni ed economia
Questo rallentamento inizia già a mostrare i primi effetti. Se nel 1965 le persone con età superiore ai 65 anni rappresentavano solo il 3,36% della popolazione, nel 2015, anno in cui formalmente è finita la politica del figlio unico gli over 65 erano il 10% della popolazione, mentre nel 2019, in soli quattro anni, il loro numero era salito di un altro 2,6%.
Allargando leggermente lo sguardo e analizzando i dati dell’ufficio nazionale di statistica, si scopre che sempre nel 2019 la Repubblica popolare aveva circa 254 milioni di anziani residenti sopra i 60, il 18% dell’intera popolazione.
Secondo le proiezioni entro il 2050 un terzo della popolazione, circa 480 milioni di persone, avrà più di 60 anni. Il tutto in un contesto dove ci saranno milioni di giovani lavoratori provenienti da famiglie con un solo figlio che avranno sulle loro spalle il lavoro di cura per i genitori dato che nel Paese i servizi sociali per gli anziani sono ancora carenti.
Intanto limitandoci al medio periodo i numeri del ministero degli Affari civili ci dicono che entro il 2025 il numero di chi ha più di 60 anni dovrebbe salire a 300 milioni. E come ha sottolineato il South China Morning Post il sistema pensionistico statale potrebbe finire i fondi entro una quindicina d’anni, precisamente nel 2035, a causa proprio della mancanza della manodopera.
In un dossier dell’Accademia per le scienze sociali si legge che il fondo pensione dei lavoratori urbani, che costituisce la spina dorsale dell’intero sistema pensionistico del Paese, nel 2018 era di circa 4,8 trilioni di yuan, circa 714 miliardi di dollari. Secondo le previsioni entro il 2027 dovrebbe toccare quota 7 trilioni di yuan per poi azzerarsi nel 2035, mentre nei successivi quindici anni il divario tra contributi ed esborsi potrebbe arrivare fino a 1,64 trilioni di dollari.
Uno scenario preoccupante per il Partito che ha fatto della crescita economica e della stabilità sociale i due pilastri della sua esistenza.
È facile intuire che l’impatto di una popolazione che invecchia non riguarda solo il sistema pensionistico, ma tutto l’architrave della crescita economica cinese. Il calo della popolazione potrebbe infatti causare una contrazioni dei consumi di fatto riducendo il peso del mercato interno. Una ricaduta pericolosa per Pechino, soprattutto se si considera il grande progetto cinese di puntare sempre di più sull’economia interna e sempre meno sulla dipendenza dal resto del mondo.