Tutto a portata di mano. Sembra questo il futuro a cui si preparano le città nella fase di post-pandemia: le metropoli, come Londra, Parigi, Milano o Madrid, esisteranno ancora soltanto se garantiranno ai loro abitanti un livello di vita sostenibile. Un valore diventato certezza negli ultimi anni e addirittura necessità con l’epidemia di Coronavirus, come dimostra la richiesta sempre più pressante dei cittadini di spostarsi il meno possibile per avere beni e servizi. Le metropoli hanno iniziato così a ripensarsi, immaginando un futuro simile a quello di città come Barcellona, famosa per i suoi quartieri autosufficienti chiamati “superblocchi”.
L’esempio più recente è Parigi. La “città in 15 minuti” è stato uno dei punti del programma elettorale di “Paris en commun”, la piattaforma politica della sindaca Anne Hidalgo, rieletta alla guida della capitale francese la scorsa estate. L’idea della sindaca parigina è un rimando al concetto di “Città umana intelligente”, elaborato dal professore dell’Università Paris-I Carlos Moreno. Secondo il docente franco-colombiano, serve «rielaborare il concetto di prossimità, articolandolo sulle sei funzioni che dovrebbe garantire ciascun quartiere: vivere, lavorare, fornire, prendersi cura, apprendere e divertirsi».
Concetti radicalmente diversi rispetto al passato, che implicano quindi una messa in discussione del piano urbanistico, come ha raccontato Moreno al quotidiano Libération: «È importante iniziare a decostruire le città, ragionando in maniera diversa rispetto agli anni ’90 quando credevamo che avremmo risolto il problema della frammentazione spaziale usando la tecnologia, che ci avrebbe permesso di andare più veloci e più lontano». Le idee di Moreno hanno così iniziato a prendere forma nel piano di governo di Hidalgo: la prima cittadina ha già messo in cantiere la pedonalizzazione degli Champs-Elysées, che modificherà in maniera sensibile uno dei luoghi simbolo della capitale francese. Un atto che ha già trovato il plauso da parte dei cittadini, che infatti vedono questa decisione «come uno dei passaggi emblematici del prossimo decennio», e che presto sarà accompagnato dall’introduzione di nuove piste ciclabili, un piano dal valore di 350 milioni di euro, e dall’eliminazione di 60mila posti per auto private, come promesso in campagna elettorale.
Un modello a cui ora sembra volersi ispirare anche Milano. Non è un caso se il sindaco Beppe Sala abbia già annunciato in un’intervista al Corriere della Sera come il suo manifesto politico per il prossimo quinquennio – in vista delle elezioni – parta proprio dai quartieri, «che costituiscono una risorsa per la città. Credere nella città di 15 minuti significa garantire ai cittadini tutti i servizi primari nel giro di un quarto d’ora a piedi o in bicicletta. Per far questo è necessario allungare il percorso della metro, riservare una quota dell’edilizia popolare all’housing sociale e lavorare sul teleriscaldamento».
Il Covid rappresenta perciò una sorta di opportunità, come sottolineato anche da Federico Parolotto, fondatore di “Mobility in Chain”, studio specializzato nella pianificazione di sistemi di mobilità sostenibile. «La pandemia ha aperto un’incredibile finestra sul futuro per la città, dove sostenibilità e vivibilità possono essere i valori principali», sottolinea Parolotto. Concetti che hanno già sostenuto l’evoluzione della città negli ultimi anni. Un esempio è la pedonalizzazione di piazza Castello, avvenuta nel 2014 in occasione dell’Expo dell’anno successivo, diventata subito un case history per la trasformazione radicale di uno dei luoghi più iconici di Milano. Il secondo è l’installazione delle piste ciclabili nella zona di Corso Buenos Aires. «Il progetto risaliva addirittura ai tempi di Carlo Tognoli ma la pandemia, nel giro di due mesi, ha dato una decisa accelerata». Un cambio di passo atteso adesso su altri fronti.
Susan Claris e Demetrio Scopelliti hanno evidenziato su Arup.com come Milano debba cogliere quest’opportunità per una svolta definitiva in senso ecologista. Due le mosse consigliate: passare a forme di mobilità diverse dalle auto private e rendere più verdi le strade. Come evidenzia Parolotto, «questi due passaggi non richiedono un grosso sforzo. Decidere di estendere e allargare le zone riservate a pedoni e ciclisti sono lavori eseguibili a grado zero, cioè sulla strada, che potrebbero portare enormi vantaggi a tutta Milano. Queste operazioni permetterebbero inoltre una mobilità migliore lungo quelle poche decine di chilometri di larghezza della città». Alberi e panchine aiuterebbero a renderla più vivibile. «Il lavoro che andrebbe fatto a Milano è molto simile a quello che verrà fatto a Parigi. Infatti, molte zone della città sono eredità di una concezione urbanistica ormai superata che vedeva al centro le vetture e i mezzi, trascurando quasi del tutto pedoni e biciclette».
Oggi le cose sono cambiate e questo può dare la possibilità anche a zone più periferiche di immaginarsi un futuro diverso. «Pensiamo a Melchiorre Gioia, la cui concezione urbanistica è figlia ancora della mentalità degli anni ’70. Rendere quei viali simili a dei boulevard darebbe lustro alla zona e permetterebbe di valorizzare anche il Naviglio Martesana, che si trova lì vicino». Anche perché, spiega Parolotto, «il turismo, per esempio, non può chiaramente fermarsi a tutto ciò che c’è in soli 15 minuti. Un modello da seguire è Copenaghen, che ha ormai costruito un brand sulla sostenibilità che attrae anche i turisti, invogliati a girare tutta la città in bicicletta». La capitale danese dimostra che chiaramente non si può ridurre tutto in 15 minuti «perché ci sono beni e servizi che magari sono più distanti. Quello che però ti dà è un forte senso di comunità con il tuo quartiere, un qualcosa di impensabile se pensiamo a come erano viste le città fino a poco tempo fa, e un forte senso di appartenenza». Valori dai quali sarebbe bello ripartire.