Su un altopiano a più di 3mila metri di altitudine dove le temperature, incoraggiate da vento forte, possono spingersi sotto i -80°, dove il clima, paragonabile a quello del deserto del Sahara, offre aria secca e piovosità quasi nulla e dove la concentrazione di ossigeno è ridotta del 30% si innalza la base scientifica italo-francese Concordia. Siamo in Antartide orientale.
«Il mix delle condizioni climatiche e morfologiche rendono questo luogo unico in tutto il pianeta – spiega a Linkiesta Rocco Ascione, station leader della base – Qui l’Agenzia Spaziale Europea svolge in inverno studi sul personale operativo perché le condizioni ambientali, soprattutto durante la notte polare, sono molto simili a quelle che gli astronauti sperimentano sulla stazione spaziale internazionale».
Un ambiente, quello che circonda Concordia, inospitale persino per i batteri ma perfetto per condurre esperimenti all’avanguardia come Beyond Epica – Oldest Ice, il progetto europeo per il carotaggio di ghiaccio antartico. Si tratta del più grande studio mondiale sui cambiamenti climatici.
Con Beyond Epica gli scienziati ambiscono a risalire al clima di 1,5 milioni di anni fa per capire come gestire e prevenire gli effetti dell’attuale crisi climatica. «Il ghiaccio che qui sovrasta lo strato roccioso alla base del continente è molto stabile rispetto a qualsiasi altra parte dell’Antartide – sottolinea Ascione – Grazie anche alla scelta accurata del sito il progetto europeo, che ha visto impegnate Italia e Francia in prima fila, è riuscito a risalire al clima di 800.000 anni fa».
Poter tornare sempre più indietro nel tempo perforando oltre 3km di ghiaccio, spiega lo station leader, serve a ricostruire la variabilità naturale e le ciclicità del clima nelle varie ere storiche del pianeta. «È grazie a questa ricostruzione che stabiliamo in quale momento storico ci troviamo dal punto di vista climatico e quanto l’impatto delle attività antropiche incidono sull’attuale crisi climatica rispetto ai mutamenti che naturalmente dovremmo aspettarci».
Sulla scia del successo di Epica si è capito che questo luogo, unico al mondo, aveva potenzialità per condurre anche studi per discipline non per forza legate alla glaciologia, come l’astronomia, la sismologia e la fisica dell’atmosfera.
Le conseguenze della pandemia in Antartide
Punto di riferimento per la comunità scientifica internazionale, e attiva ininterrottamente dal 2005, Concordia fino a qualche giorno fa ha ospitato 15 tra ricercatori e tecnici, indispensabili per mantenere funzionante la base e garantire supporto e assistenza medica. Alcuni di loro rimarranno qui anche durante l’inverno artico, da febbraio fino al prossimo novembre. «Questa è stata una spedizione eccezionale. In condizioni normali, durante la campagna estiva possiamo essere anche in 70».
Nemmeno la base Concordia è dunque rimasta immune alle conseguenze dell’attuale pandema. Per mantenere il Polo Sud libero dal Covid-19 è stato necessario limitare l’arrivo di personale esterno. «Come conseguenza, il campo ora dispone di un numero esiguo di persone. Le attività logistiche e scientifiche sono state ridotte alle sole manutenzioni obbligatorie per la vita della stazione e delle installazioni scientifiche. Tutto il resto, attività scientifiche comprese, ha subito un brusco rallentamento, che verrà risolto non appena saremo tornati a una condizione di normalità».
Non solo lavoro
In un luogo che per molti mesi non offre alternanza tra luce diurna e notte, gli unici eventi che scandiscono il passare delle ore sono i pasti, che alla base Concordia vengono consumati a orari rigorosamente prefissati. Dalle 7:00 alle 8:00 la colazione, dalle 12:00 alle 13:00 il pranzo e dalle 19:30 alle 20:30 la cena. «D’inverno gli orari sono leggermente diversi, per adattarsi a ritmi più tranquilli e alla condizione di notte permanente. L’orario di lavoro termina alle 18:30 poi il personale è libero di dedicarsi a se stesso. Tuttavia, spesso si continua a lavorare. Un comportamento tipico dei ricercatori», confessa Ascione.
Ma in Antartide orientale la vita non si limita neppure al lavoro: la stazione dispone di spazi comuni ricreativi come una palestra, una sala video, una libreria/soggiorno, un biliardino, un tavolo da ping-pong e strumenti musicali. «Nella maggior parte dei casi ci si scambia opinioni lavorative o culturali e si impostano seminari divulgativi».
Alla base Concordia la lingua ufficiale è l’inglese, ma quella parlata di fatto è un mix di italiano, francese e inglese. «Le attitudini linguistiche non sono le stesse per tutti, dopotutto l’importante è capirsi. Qui siamo più attenti alla sostanza che alla forma».
Le comunicazioni con il mondo esterno, invece, sono disponibili grazie al collegamento satellitare che garantisce i servizi minimi come la posta elettronica ma anche le video call. «Negli ultimi anni siamo riusciti ad aggiungere il servizio di messaggistica via WhatsApp o Telegram: come si può immaginare la velocità di connessione non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella cui siamo abituati e l’accesso a internet è garantito solo attraverso postazioni comuni di cui si usufruisce a turno».
Ritorno a casa
Per Ascione e gli altri attuali 14 inquilini la campagna estiva alla base Concordia è volta al termine: in questi giorni sono partiti «gli ultimi estivi». A chi torna in patria spetta un lungo tragitto: prima tappa, un viaggio di circa 4 ore a bordo di un piccolo aereo bimotore in direzione della base costiera antartica di Mario Zucchelli, nel mare di Ross, cui segue un tragitto di circa 7 giorni a bordo della nave rompighiaccio Laura Bassi, a servizio del PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide) per la campagna oceanografica, per il ritorno in Nuova Zelanda. Da lì, il volo di linea commerciale per tornare in Italia, dopo diversi scali e circa 30 ore di volo.
«Quelli chey come me hanno la possibilità di tornare più volte in Antartide iniziano ad avere una sorta di assuefazione alle bellezze dell’ambiente – confessa Ascione – Ciò che invece continua a sosprenderti è l’aspetto umano della spedizione. Qui si vive una sorta di vita sospesa che ha di positivo la possibilità di evadere da fonti di stress quotidiano, come se per magia i problemi si potessero lasciare al di fuori del 60° parallelo sud, confinati tra i ghiacci, fino al momento del rientro».
Il PRNA, Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, è finanziato dal MUR (Ministero dell’Università e Ricerca) e coordinato dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) per le attività scientifiche, e dall’ENEA (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) per l’attuazione operativa delle Spedizioni.