Una grande trasformazione è in corso nella parte orientale della Russia. Per secoli la stragrande maggioranza della terra è stata impossibile da coltivare: solo i tratti più meridionali lungo i confini cinesi e mongoli, compreso la zona rurale di Dimitrovo, erano abbastanza temperati da offrire un suolo lavorabile. Ma da quando il clima ha iniziato a riscaldarsi, la terra russa – e la prospettiva di coltivarla – ha cominciato a migliorare. Lo spiega un articolo del New York Times Magazine, che raccoglie anche la testimonianza di un agricoltore cinese emigrato per la stagione lavorativa: «Il disgelo primaverile in passato arrivava a maggio, ora il terreno è “nudo” entro aprile. I temporali sono più forti e umidi. In tutta la Russia orientale, foreste selvagge, paludi e praterie si stanno lentamente trasformando in griglie ordinate di soia, mais e grano. È un processo che probabilmente accelererà», spiega l’articolo.
In tutto il mondo, il cambiamento climatico sta diventando una crisi epocale: siccità, desertificazione, inondazioni e caldo insopportabile minacciano di rendere vaste regioni meno abitabili e provocare la più grande migrazione di rifugiati della storia. Ma per alcune nazioni il cambiamento climatico potrebbe rappresentare un’opportunità senza precedenti. Le regioni più fredde del pianeta, infatti, lentamente stanno diventando più temperate, attirando uno straordinario afflusso di persone sfollate dalle parti più calde del mondo. La migrazione umana, storicamente, «è stata guidata dalla ricerca della prosperità. Con il cambiamento climatico, prosperità e abitabilità – e opportunità economica – diventeranno presto la stessa cosa» continua l’articolo.
E nessun altro Paese più della Russia è in una posizione così avvantaggiata. La Russia è il paese più esteso dell’emisfero settentrionale e la sua posizione geografica lo rende l’unico Stato al confine nord per tutti i suoi vicini dell’Asia meridionale, che insieme ospitano la più grande popolazione mondiale. Come il Canada, la Russia è ricca di risorse e terra, e possiede ampi margini di crescita. La sua produzione agricola dovrebbe incrementare proprio grazie alle temperature in aumento nei prossimi decenni, di pari passo con la diminuzione delle rese agricole prevista negli Stati Uniti, in Europa e in India.
Un altro discorso è invece quello riguardante le migrazioni climatiche. Entro il 2070 più di tre miliardi di persone potrebbero trovarsi a vivere al di fuori del clima ottimale per la vita umana. Questo potrebbe spingere decine di milioni di persone verso nord. Secondo il New York Times a trarne vantaggio saranno le nazioni più vicine ai poli (una volta freddi e inabitabili).
Ciò potrebbe rappresentare un’opportunità straordinaria, ma anche un rischio per le popolazione autoctone. Prendiamo, ad esempio, il Canada: è pieno di terra, legname, petrolio, gas ed energia idroelettrica e ha accesso al 20% dell’acqua dolce del mondo. Ha una democrazia stabile e un’economia solida. Il Canada, con il riscaldamento del clima, potrà quindi beneficiare delle nuove rotte di trasporto e di una maggiore capacità agricola. Ci sono però solo 38 milioni di persone in Canada, e i canadesi muoiono a un ritmo più veloce di quanto stanno nascendo. Il cambiamento climatico, entro il 2100, renderà i canadesi due volte e mezzo più ricchi in termini di Pil pro capite: pertanto l’intera nazione sarà in grado di cogliere questa opportunità solo se accoglierà molte più persone.
Questo è il motivo per cui un gruppo di dirigenti aziendali e accademici canadesi ha chiesto al proprio governo di trasformare il sistema di immigrazione del paese in una calamita per le persone di maggior talento del pianeta, sperando di triplicare la popolazione canadese entro il 2100. Tuttavia, resta da vedere se i canadesi di oggi siano veramente pronti a vedere i migranti superarli nella presenza.
La Russia, invece, nel suo piano d’azione nazionale sul clima pubblicato a gennaio ha programmato di voler «utilizzare tutti i vantaggi» del riscaldamento climatico, considerando la navigazione artica e le stagioni di crescita agricola prolungate come nuovi punti di forza della nazione. La Russia potrebbe non essere in una posizione vantaggiosa, politicamente parlando, per accogliere un gran numero di migranti rispetto agli Stati Uniti o al Canada. La xenofobia, spiega il Times, è maggiormente diffusa nel territorio russo (anche se il governo di Vladimir Putin ha da sempre voluto popolare le vaste terre orientali per motivi espansionistici). Perciò il costante disgelo potrebbe mettere alla prova proprio il tessuto governativo e sociale del Paese.
Nadezhda Tchebakova, importante ecologista russa, in uno studio che ha pubblicato la scorsa estate sulla rivista Environmental Research Letters, con i co-autori Elena Parfenova e Amber Soja, ha stimato che entro il 2080 il permafrost russo nella parte asiatica del Paese sarà ridotto di oltre la metà. E un terzo della sua massa terrestre passerà ad essere da “assolutamente estremo” nella sua inospitalità a “abbastanza favorevole” per la civiltà. Uno dei luoghi più freddi ed ecologicamente ostili del pianeta, quindi, sta rapidamente diventando piacevolmente vivibile.
Tchebakova svela inoltre che «circa la metà della Siberia – più di due milioni di miglia quadrate – potrebbe diventare disponibile per l’agricoltura entro il 2080 e la sua capacità di supportare potenziali migranti climatici potrebbe aumentare di nove volte in alcuni aree». Non tutta la terra scongelata funzionerà: i terreni poveri in molti luoghi non saranno coltivabili o richiederanno carichi di fertilizzante per far crescere le colture. E il cambiamento climatico non avverrà dall’oggi al domani (si dovrà attendere anche una fase di assestamento) e le regioni trasformate dal disgelo potrebbero essere per molto tempo quasi impraticabili e tantomeno edificabili.
In questa stagione appena terminata, tuttavia, i raccolti di grano invernale e semi di canola fuori dalla città di Krasnoyarsk, nella Siberia meridionale, hanno prodotto il doppio dei raccolti dell’anno precedente. «Potremmo spendere meno in pellicce e il raccolto di grano aumenterebbe» ha commentato Putin, definendo un paio di gradi in più di riscaldamento climatico un risvolto positivo.
Il dominio agricolo è solo una piccola parte di ciò che i climatologi russi prevedono per il Paese. Il costante scioglimento del ghiaccio artico aprirà una nuova rotta marittima che ridurrà i tempi di transito dal sud-est asiatico all’Europa del 40%. A ridursi saranno anche i tempi di viaggio verso gli Stati Uniti, e le spese per difendere le principali città strategiche dello Stato. San Pietroburgo, per esempio, è molto meno vulnerabile alle inondazioni dovute all’innalzamento del livello del mare rispetto alle città degli Stati Uniti, che saranno costretti a dirottare trilioni di dollari nei prossimi decenni per rafforzare le misure strategiche.
L’agricoltura offre anche una delle più grandi risorse della nuova era climatica: il cibo. Negli ultimi anni la Russia ha già mostrato una nuova visione di come sfruttare le sue esportazioni agricole. Quando l’Europa e gli Stati Uniti, per esempio, hanno imposto sanzioni alla Russia dopo l’abbattimento di un aereo passeggeri malese sull’Ucraina nel 2014, la Russia ha risposto imponendo sanzioni alle importazioni europee.
All’inizio sembrava una scelta auto-punitiva, puntualizza l’articolo, ma la mossa aveva lo scopo di dare un’apertura ai produttori alimentari nazionali della Russia e spronarli a colmare il divario di offerta. Nel 2018 le sanzioni di Putin hanno pagato enormi dividendi: dal 2015, le esportazioni di grano sono aumentate del 100% a circa 44 milioni di tonnellate, superando quelle di Stati Uniti ed Europa.
La Russia è ora il più grande esportatore di grano al mondo, detentore di quasi un quarto del mercato globale. Le esportazioni agricole della Russia sono aumentate di sedici volte dal 2000, e nel 2018 valevano quasi 30 miliardi di dollari. Nei decenni a venire, con l’aumento della produzione di grano e soia a causa dei cambiamenti climatici, la Russia spingerà ulteriormente sull’acceleratore per salire alla guida globale del settore agricolo.
In Russia, oltre che migranti stagionali, arrivano dalla Cina anche sostanziosi investimenti. Il denaro cinese confluisce principalmente a Vladivostok, una città portuale bagnata dal Mar del Giappone: da qui le aziende cinesi hanno iniziato a incanalare miliardi di dollari verso l’affitto di terreni e le aziende agricole russe. Il denaro cinese sostiene il 14% dello sviluppo di nuove aziende agricole nella regione, più di qualsiasi altra fonte straniera. L’anno scorso, ad esempio, gli investitori cinesi, compresa una società statale, hanno utilizzato una filiale russa per iniziare a sviluppare 123.000 acri per la soia e altre colture in un’area vicino a Vladivostok, e per costruire un impianto di lavorazione della soia che avrebbe gestito 240.000 tonnellate all’anno.
L’avanzata della Russia potrebbe infine penalizzare gli Stati Uniti. Nonostante la posizione geografica non sfavorevole, l’America ha maggiori probabilità di perdere che di vincere, spiega l’articolo. L’innalzamento del livello del mare, per esempio, potrebbe costringere 14 milioni di americani a spostarsi dalla loro area di residenza entro il 2050, mentre in Russia sono a rischio meno di due milioni di persone. Anche le installazioni militari americane nel mondo sono particolarmente vulnerabili. Secondo un’analisi del Dipartimento della Difesa del 2018, circa 1.700 di esse potrebbero dover essere spostate per colpa di inondazioni e uragani.
L’agricoltura rappresenta forse l’illustrazione più significativa di come il riscaldamento globale potrebbe erodere la posizione dell’America. Gli Stati Uniti forniscono circa un terzo della soia commercializzata a livello globale, quasi il 40% del mais e il 13% del grano. Con il cambiamenti climatici i raccolti potrebbero collassare: dal nord del Texas al Nebraska potrebbero diminuire fino al 90% entro il 2040. Garantendo, per i prossimi decenni, un posto di leadership all’industria russa.