A dieci anni dalle primavere arabeL’Ue il Mediterraneo: pagatore-chiave, giocatore nullo

Stiamo assistendo all’avvio di una nuova ondata di proteste e di rivolte nel Maghreb, dall’Algeria e dalla Tunisia. È necessario che l’Unione, nel quadro dell’obiettivo della sua autonomia strategica, non stia a guardare passivamente quel che avviene nei paesi vicini come uno spettatore dal loggione del teatro geopolitico

LaPresse

Sono trascorsi più di dieci anni dalle ondate di protesta che hanno investito il mondo arabo e che in Europa sono state globalmente denominate “le primavere arabe”.  Si è discusso a lungo se si fosse trattato di rivolte o di rivoluzioni e in effetti in due casi (Egitto e Tunisia) le proteste hanno certo condotto a un rovesciamento dei regimi autoritari al potere.

Nel caso dell’Egitto la rivoluzione nata nella Piazza della Liberazione (Maidan al-Tahrir) con la caduta di Hosni Mubarak ha prodotto tuttavia la contro-rivoluzione militare di Abdel Fattah al-Sisi con un regime duramente autoritario di cui i due esempi più drammatici e conosciuti in Italia sono l’omicidio di Stato che ha portato alla morte di Giulio Regeni e l’incarcerazione dello studente Erasmus dell’Università di Bologna Patrick Zaky.

Nel caso della Tunisia, la caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Alì – che aveva assunto il potere con un colpo di Stato nel 1987 introducendo una dittatura poliziesca – ha avviato un lento processo di costituzionalizzazione democratica che è ancora ben lontano dal concludersi con un paese in cui la crisi politica si somma a quella economica e sociale aggravata dagli effetti della pandemia.

Le rivolte, trasformatesi per l’Egitto e la Tunisia nelle rivoluzioni che hanno fatto cadere i due dittatori, sono state ampliate dall’uso dei Social Network, in cui i protagonisti sono stati i giovani che rappresentano la metà della popolazione attiva in una fascia di età che va fra i 15 e i 29 anni, esportando le proteste in molti altri paesi arabi del Vicino e Medio Oriente.

Vale la pena di ricordare che le rivolte del 2010-2011 hanno radici in movimenti nati negli anni precedenti come Shabab 6 Abril (“I ragazzi del 6 aprile”) o la coalizione Kifaya, così come vale la pena di vedere i dieci film che ci fanno rivivere le “primavere arabe” (meglio dire “le rivolte che non hanno fatto primavera”) di cui ci ha parlato Catherine Cornet su Internazionale il 25 gennaio 2021.

L’Unione europea ha una particolare e pesante responsabilità negativa della situazione in tutti i paesi arabi del Vicino e del Medio Oriente perché – come è stato detto recentemente – l’insieme degli Stati europei sono pagatori-chiave (key-payers) ma l’Unione europea in quanto tale è un giocatore nullo (no-player) tenendo conto che – con l’eccezione dell’Iraq e dell’Iran insieme alle relazioni israelo-palestinesi – gli Stati Uniti hanno abbandonato l’intera regione da tempo dopo le illusioni nutrite dal discorso di Barack Obama all’Università del Cairo (4 giugno 2009). 

I governi europei hanno malauguratamente deciso di lasciar cadere la proposta di Romano Prodi come presidente della Commissione europea (1999-2004) di una “politica di vicinato” e della “cerchia degli amici” sostituendola prima con la più confusa “politica di prossimità”, in cui sono state privilegiate le relazioni con i paesi dell’Europa centrale e orientale destinati a diventare membri a parte intera dell’Unione europea fra il 2004 e il 2013 e poi cancellando il partenariato euro-mediterraneo firmato a Barcellona nel 1995 per privilegiare l’approccio intergovernativo di Nicolas Sarkozy dell’Unione per il Mediterraneo nel luglio 2008.

Stiamo assistendo all’avvio di una nuova ondata di proteste e di rivolte nei paesi arabi a cominciare dall’Algeria e dalla Tunisia ed è urgente e necessario che l’Unione europea, nel quadro dell’obiettivo della sua autonomia strategica, non stia a guardare passivamente quel che avviene nei paesi vicini come uno spettatore dal loggione del teatro geopolitico.

Noi siamo convinti da tempo che fra le due sponde del Mediterraneo ci sia una “comunità di destino” e che ha ragione Romano Prodi quando ci ha ricordato – in occasione dei 25 anni di obiettivi condivisi dalla Convenzione di Barcellona – che i fattori chiave della ripresa sono la cooperazione regionale, la solidarietà e l’istruzione.

In concreto, il governo Draghi – forte della priorità sottolineata dal Presidente del Consiglio nel suo discorso alle Camere – potrebbe proporre alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza di 

  • riaprire il cantiere per una Banca di Sviluppo per il Mediterraneo, 
  • predisporre un progetto condiviso di energie rinnovabili da estendere a tutto il continente africano nel quadro dello European Green Deal e dell’Agenda 2030, 
  • riprendere il cammino per una rete di università miste Nord-Sud, 
  • e introdurre nel nuovo regolamento di attuazione del programma Erasmus Plus 2021-2027 la dimensione di un Erasmus mediterraneo dedicato alle studentesse e agli studenti provenienti dalle università e dai centri di ricerca di tutta la sponda sud del Mediterraneo

*Pier Virgilio Dastoli è il presidente del Movimento Europeo – Italia

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