Sono passati dieci anni da quando Mohammed Bouazizi si diede fuoco in segno di protesta a Sidi Bouzid, in Tunisia, dando inizio a quella che è passata alla storia come la Rivolta dei gelsomini. Ma ben presto la popolazione tunisina non fu l’unica ad esprimere ad alta voce il proprio malcontento: le proteste si estesero in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente, interessando anche i Paesi del Golfo persico.
Le Primavere arabe in alcuni casi furono represse violentemente dalle autorità, in altri riuscirono a portare a un reale cambio ai vertici del Paese, mettendo fine a quei regimi autoritari con cui il resto del mondo – e la stessa Ue – aveva fatto fino a quel momento affari. Ma cosa ha fatto Bruxelles allo scoppio delle proteste e cosa può – o dovrebbe – fare adesso che le piazze del Mediterraneo hanno ripreso a riempirsi.
«Pochi mesi dopo lo scoppio delle Primavere arabe l’Ue ha riconosciuto che aver lavorato con i regimi autocratici era stato un errore, ma in generale non c’è stata una vera risposta dell’Unione a quanto accaduto in Medio Oriente e Nord Africa», spiega a Linkiesta Daniela Huber, responsabile del Programma Mediterraneo e Medio Oriente dello Iai.
«L’Ue è molto più concentrata su sé stessa rispetto al passato, come dimostrano anche le politiche migratorie comunitarie. Non c’è un reale interesse per le richieste di maggiore democrazia e giustizia sociale che vengono dai Paesi mediterranei».
«Con le Politiche di Vicinato (PdV), l’Ue ha cercato di esportare il modello di democrazia liberale dell’Europa, disinteressandosi delle richieste provenienti dal basso, ed è stata costretta a fare i conti con la resilienza dei regimi di Nord Africa e Medio Oriente. Per questo motivo le PdV si sono concentrate principalmente sul settore economico, mettendo in secondo piano quello sociale e politico».
Ma perché l’Ue non è intervenuta allo scoppio delle primavere arabe? Come spiega Huber, ci sono diverse motivazioni. Prima di tutto negli ultimi dieci anni si è assistito ad una crescita dei partiti nazionalistici, che hanno messo al centro del dibattito pubblico il tema dell’immigrazione. Ma a pesare maggiormente a livello europeo è stata – ed è tuttora – la mancanza di una politica estera comune. Gli Stati membri continuano a mettere al primo posto gli obiettivi nazionali, come si è visto anche negli ultimi giorni con il conferimento della Legione d’Onore al presidente dell’Egitto.
Guardando invece all’ambito internazionale, l’Ue si è trovata di fronte a un contesto geopolitico diverso rispetto a quello degli anni Novanta o Duemila, quando gli Stati Uniti erano ancora la vera potenza egemone. Con la guerra in Iraq d il minore coinvolgimento statunitense, altre potenze sono entrate in Nord Africa e Medio Oriente. L’Ue quindi si è trovata senza una guida e non è stata in grado di muoversi in un teatro multipolare senza gli Usa. «Washington però continua ad allontanarsi dalla regione mediterranea, per cui Bruxelles dovrà trovare una visione comune per il Mediterraneo».
Anche se si parla da più parti di tramonto della Primavera araba, le proteste nell’area mediterranea non sono finite e in Libia e in Siria la guerra è ancora in corso. In entrambi gli scenari, però, la posizione dell’Ue è molto debole. Nel caso libico, a minare le iniziative comunitarie è la mancanza di una strategia europea: «La Germania ha cercato di riportare la Francia nel quadro d’azione europea, ma ha ottenuto scarsi risultati. In Siria invece l’Ue non è nemmeno presente, se non a livello umanitario. Non esiste un’iniziativa diplomatica comunitaria e adesso il Paese è in mano ad altre potenze. Eppure ciò che succede in Siria ha un impatto enorme sull’Ue, per cui dal punto di vista strategico l’assenza dell’Ue non ha senso».
Sulla difficoltà dei Paesi europei di trovare una visione comune sulle Primavere arabe ha influito anche il diverso atteggiamento dei singoli Stati nei confronti dei partiti islamici. «All’inizio l’Ue non ha mai lavorato con i Fratelli Musulmani o altre formazioni vicini a essi, ma dopo le elezioni in Egitto [che hanno portato alla vittoria di Mohamed Morsi, esponente dei Fratelli] l’Ue ha cambiato in parte atteggiamento, pur mantenendo grandi riserve. Non tutti però sono d’accordo, come dimostrano le ultime mosse della Francia contro l’islam politico».
Qualcosa però è cambiato in questi dieci anni. «Nella prima ondata i Fratelli Musulmani erano la principale forma di opposizione ai regimi, ma adesso non è più l’islam politico a guidare le proteste. Le richieste però sono sempre le stesse – lotta alla corruzione, giustizia sociale – ma l’Ue non è in grado di rispondere a queste richieste. L’Unione inoltre ha un problema ontologico con le Primavere arabe perché queste si oppongono al sistema economico neo-liberale europeo, mentre Bruxelles continua ae investire proprio in questo settore».
Ciò influisce negativamente anche sulla visione che in Medio Oriente e Nord Africa hanno dell’Ue, percepita come un attore eccessivamente forte nella definizione degli accordi economici. A pesare sull’opinione che si ha dell’Ue nella regione mediterranea, conclude Huber, è anche il sostegno che viene ancora dato ai regimi: il caso emblematico è la vendita di armi all’Egitto, percepito come un chiaro sostegno al Governo di al Sisi.