Gli adulti Dal codice Rocco al metodo Funiciello, il salto di qualità di Draghi (e dell’Italia)

Con la nomina di un professionista come l’ex capo di gabinetto di Gentiloni come braccio destro intellettuale, anziché uno come Casalino, il presidente del Consiglio mostra un modo di agire e di pensare più freddo ma anche più serio. Di sicuro ben lontano dalla comunicazione vuota tanto cara a Conte

Roberto Monaldo / LaPresse

Nel passaggio dal metodo-Casalino al metodo-Funiciello si racchiude tutto il senso di un mutamento che non è solo sostituzione di esecutivo a un altro ma di uno stile e un modo diversi di elaborare una politica di governo.

La nomina di Antonio Funiciello a capo di gabinetto di Mario Draghi – in pratica, il braccio destro, se possiamo dire così, intellettuale – segnala il ritorno della grande professionalità politica nel vivo dell’azione di governo, l’utilizzo della specifica attitudine tecnica di “consigliare il Principe”, in senso moderno ovviamente, che è quello di saper istruire un dossier al servizio della decisione migliore del – in questo caso – presidente del Consiglio.

Non si tratta più del comunicatore del premier e neppure del semplice coordinatore dello staff, e nemmeno del segretario particolare politico, ma di una figura al tempo stesso vecchia e nuova di organizzatore delle scelte, per usare questa espressione, che verranno poi assunte da Mario Draghi.

Il quale oggi esordisce da premier in Senato per il discorso programmatico che otterrà una delle più ampie fiducie della storia repubblicana. E già si potrà misurare la qualità tecnica del suo messaggio che, scommetteremmo, sarà meno noioso di certi discorsi parlamentari di Giuseppe Conte.

Se abbiamo capito bene, il nuovo presidente del Consiglio ha in mente una concezione molto tecnica, specialistica, a sfondo illuminista, del ruolo dei suoi collaboratori (e probabilmente anche di quelli dei ministri, a giudicare dalle prima nomina tutte di grande competenza): vi è in questo, senz’altro, una delimitazione al debordare dell’azione dei politici di professione, come un voler spandere un di più di scienza sull’iniziativa dei ministri e dunque anche dei partiti.

Il paragone con l’èra Casalino è polemicamente forzato ma rende bene il cambiamento di clima e di sostanza del come si costruirà l’azione del governo Draghi. Con Roccobello – portavoce e uomo-macchina di Conte – la politica è stata troppo spesso sovrastata dalla propaganda, la sostanza dall’immagine, l’informazione dalle veline di Palazzo.

Magari ha anche dato i suoi frutti, almeno fino a quando la cartapesta non è andata bruciacchiandosi qua e là prima di prendere il fuoco acceso dalla realtà e poi propagato dagli avversari dell’avvocato, Renzi in primis.

Nella fase alta, il “casalinismo” ha trasformato uno sconosciuto avvocato in un leader internazionale, addirittura. Ma nella fase bassa, i consigli di Rocco si sono rivelati tutti sbagliati: ed è proprio nei momenti difficili che deve venire avanti la scienza della politica, la capacità di leggere la realtà senza farsi confondere dalla tua stessa propaganda, l’umiltà di rallentare, persino di fermarsi: tutte cose che Conte, imbeccato da Casalino e da quell’altro Talleyrand dei poveri che si chiama Marco Travaglio (che non a caso ieri ha sparato contro Funiciello un articolo schiumante rabbia) ha ignorato preferendo correre appresso a parlamentari che non esistevano, come andare con la retina a caccia di farfalle in un giorno di pioggia, quando le farfalle non ci sono.

La professionalità, proprio nel senso di Max Weber, cioè l’esercizio intellettuale al servizio di una causa, dunque sembrerebbe diventare centrale nell’azione di governo, oscurando il tratto dell’immagine intesa come prodotto per lo più contraffatto da sapienti e meno sapienti esperti di marketing politico.

Questo potrà forse determinare una certa freddezza dell’esecutivo e dello stesso premier (il quale però dispone di un suo particolare carisma) nel rapporto con un’opinione pubblica peraltro stordita dalle mille luci dei talk show nel loro ripetersi in modo sempre uguale e quindi forse desiderosa di meno chiacchiere e di più ciccia.

Tutto questo costituirà certamente un grandissimo problema per il giornalismo politico abituato da anni a badare più alle forme che alla sostanza e un problema altrettanto grande per quei politici adusi alla battutina e alla strizzata d’occhio più che allo studio dei dossier.

Ecco, se l’èra Draghi, fra i mille e più gravi problemi che dovrà risolvere, contribuirà a ripulire l’aria della politica e del giornalismo dalle scorie di una lunga stagione drogata di chiacchiere e vaniloqui avrà dato un contributo enorme al dibattito pubblico elevando la forza morale e intellettuale di questo Paese.

 

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