Giornata mondialeI cinquant’anni della Convenzione internazionale per la tutela delle zone umide

Il 2 febbraio 1971 in una città iraniana affacciata sul Mar Caspio si firmava il primo grande trattato ambientale globale: un accordo fondamentale che ha permesso di proteggere gli ecosistemi che accolgono la più grande biodiversità della Terra. In Italia ci sono 65 siti protetti dal trattato, per un totale di 82.331 ettari

Lapresse

Ieri il ministero dell’Ambiente ha fermato un progetto dell’Eni che avrebbe voluto convertire da produttore a iniettore il vecchio pozzo “Gela 57” nell’area del Petrolchimico di Gela. La commissione tecnica Valutazione di impatto ambientale – Valutazione ambientale strategica (Via-Vas) del ministero ha ritenuto opportuno mantenere intatto l’ecosistema di «uno dei più importanti laghi naturali della Sicilia, riconosciuto come zona umida d’importanza internazionale dalla Convenzione di Ramsar».

L’accordo citato dal ministero, la “Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale”, è considerato il più antico dei moderni accordi ambientali globali ed è stato adottato proprio il 2 febbraio di cinquant’anni fa, nella città iraniana di Ramsar.

Il documento nasce per tutelare le zone umide – impedendone trasformazione e distruzione da parte dell’uomo – in quanto ecosistemi fondamentali che accolgono la più grande biodiversità della Terra. Sono zone che svolgono una funzione fondamentale per garantire le risorse di acqua e cibo e lo stoccaggio del carbonio ai territori circostanti, ma sono anche particolarmente sensibili all’impatto dei cambiamenti climatici.

«Le zone umide servono soprattutto a tutelare l’unicità di un’area che contribuisce alla ricchezza di biodiversità a livello mondiale», dice a Linkiesta la tecnologa Ispra Susanna D’Antoni. «Parliamo di ambienti – prosegue – dipendenti da ecosistemi acquatici. Possono essere paludi, acquitrini, torbiere e specchi d’acqua naturali o artificiali, incluse quelle fasce marine costiere la cui profondità, in condizioni di bassa marea, non supera i sei metri. E sono tanto più importanti quanto più sono indispensabili alla conservazione di un determinato habitat, o una o più specie animali».

Il grande merito della Convenzione infatti è stata la creazione di una rete di aree protette (i cosiddetti siti Ramsar) che oggi rappresentano la più grande rete mondiale di aree protette con 2.414 siti, che coprono 254.540.512 ettari sparsi sui 171 Paesi contraenti.

Se l’accordo nasce nel 1971, le radici affondano ben più in profondità: bisogna tornare indietro ai primi anni ‘60. È il 12 novembre del 1962 quando, durante una conferenza organizzata dal dottor Luc Hoffmann – cofondatore del Wwf -, per la prima volta governi, Ong ed esperti in materia ambientale chiedono un trattato internazionale sulle zone umide.

In quel momento si inizia a costruire un negoziato: tra il 1963 e il 1970 il testo prende forma in una serie di incontri internazionali sotto la spinta di alcuni governi particolarmente interessati, soprattutto quello dei Paesi Bassi e dell’Australia.

Si arriva al 1971, al 2 febbraio. Ramsar, città iraniana della provincia di Mazandaran, sul mar Caspio, ospita una conferenza di due giorni che porterà alla firma del trattato: il regista dell’incontro è Eskandar Firouz, ambientalista e primo direttore del Dipartimento dell’Ambiente in Iran. Oltre il Paese ospitante ci sono altre 18 firme: Australia, Finlandia, Regno Unito, Nord Irlanda, Unione Sovietica, Svizzera, Norvegia, Germania, Svezia, Italia, Irlanda, Sud Africa, Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria, Pakistan, Portogallo, Nuova Zelanda.

Il primo Stato a vedersi riconosciuto un sito Ramsar è l’Australia – che oggi ne ha 64 -, l’8 maggio del 1974: è la penisola di Cobourg, un’area selvaggia remota e incontaminata sulla costa settentrionale che ospita molte specie marine a rischio e fornisce aree di riproduzione sicure alle colonie di uccelli marini. Il 24 novembre del 1980 invece c’è la prima Conferenza ufficiale delle Parti contraenti (Cop1), a Cagliari, con la Convenzione che ha già riunito 28 Stati membri. È il primo appuntamento di un vertice che si ripete ogni tre anni: la Conferenza delle Parti contraenti è composto da tutti i governi che hanno ratificato il trattato e rappresenta di fatto l’organo esecutivo della convenzione, che adotta risoluzioni e raccomandazioni, valuta i progressi compiuti in ogni triennio e identifica le nuove priorità.

Dal 1997 è stata istituita la Giornata mondiale delle zone umide, ovviamente il 2 febbraio. Il tema di quest’anno insiste sulle zone umide come fonte di acqua dolce: «Stiamo affrontando una crescente crisi dell’acqua dolce che minaccia le persone e il nostro pianeta. Ne usiamo più di quanto la natura ne possa ricostituire e stiamo distruggendo questi ecosistemi», si legge sul sito della Convenzione di Ramsar.

«Celebriamo i 50 anni di un trattato internazionale di cui si parla poco e al quale spesso si è data scarsa risonanza, ma le zone umide sono una risorsa fondamentale per il nostro capitale naturale e come fattore di mitigazione dei cambiamenti climatici e per ridurre i rischi idrogeologici. Le celebrazioni per questo Trattato non sono un fatto simbolico ma servono ad attrarre la nostra attenzione sul delicato equilibrio della natura che quest’anno saremo chiamati a salvaguardare per le generazioni future come co-organizzatori della Conferenza mondiale sul clima», ha detto il ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

«La Convenzione di Ramsar è ancora fondamentale in tutti quei Paesi in cui – spiega la tecnologa dell’Ispra Susanna D’Antoni – non ci sono altre leggi in merito, dove quindi la Convenzione è l’unico strumento per istituire un’area protetta».

In Italia la Convenzione di Ramsar è stata ratificata e resa esecutiva il 13 marzo 1976. «Ma per noi è stata importante soprattutto fino al 1991, anno della legge quadro sulle aree protette, che rappresenta un miglioramento in quanto più specifica per il nostro territorio», spiega la dottoressa D’Antoni.

I dati del ministero dell’Ambiente rivelano che oggi in Italia si contano 65 zone umide (53 approvate e 12 in attesa), presenti quasi in tutte le regioni, da Nord a Sud, per un totale di 82.331 ettari. «Ma la Convenzione – aggiunge – per noi è stata fondamentale per creare una mentalità che portasse un ragionamento a livello di sistema e una nuova consapevolezza anche della politica riguardo certe aree di pregio che vanno tutelate, anche per motivi economici e sociali».

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