Tra pochi mesi, LinkedIn diventerà ufficialmente maggiorenne. Lanciato nel 2003, il social network per professionisti sembra invecchiare meglio dei suoi coetanei, almeno in Italia. A livello mondiale però, nel 2020 LinkedIn non appare nemmeno tra le prime dieci piattaforme più usate al mondo, a causa soprattutto della diffusione in Cina di Wechat, QQ, QZone e Weibo. Nel nostro Paese, invece, LinkedIn si conferma come il settimo social più usato nella fascia di età che va dai 16 ai 64 anni, superando TikTok, Twitch e Snapchat.
Tutti sono d’accordo su una cosa: LinkedIn è l’unico social dove sussiste ancora una buona visibilità organica, «anche dopo i cambiamenti di algoritmo post-lockdown», precisa Valentina Vandilli, LinkedIn Expert indipendente e autrice del volume “LinkedIn Formula”. Ciò significa che oggi chiunque potrebbe ampliare la propria rete semplicemente creando contenuti di valore, una prospettiva sempre più lontana per chi invece sceglie di promuovere il proprio lavoro su altre piattaforme, come Instagram.
L’obiettivo di LinkedIn, come ricorda Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia, è sempre stato quello di «creare un’opportunità economica per ogni membro della forza lavoro globale, indipendentemente dal background, area geografica di provenienza, etnia, sesso, orientamento sessuale o altra scelta o preferenza». Durante i suoi primi diciotto anni, la piattaforma ha cercato di rendere la ricerca del lavoro più accessibile ed equa per tutte e per tutti, e «questa cultura e questi valori saranno alla base anche dei nostri risultati in futuro», spiega Albergoni.
Eppure, neanche LinkedIn è immune ai segni del tempo, così come non lo è alle critiche da parte dei suoi utenti. Non fanno eccezione neanche i «primi della classe», ovvero le LinkedIn Top Voices Italia, quindici utenti selezionati dalla redazione di LinkedIn News per «offrire alla nostra community una lista di membri da seguire, persone in grado di generare conversazioni utili alla community sugli argomenti di maggiore interesse», spiega Marcello Albergoni. Abbiamo chiesto ad alcune di loro di raccontarci la loro esperienza sulla piattaforma, e in particolare come LinkedIn sia cambiato nel tempo.
Secondo Gioia Novena, Co Founder di Nextopp, CEO di Joy Careers e LinkedIn Top Voice 2021 per il mondo HR, c’è stato «un forte aumento di engagement da parte degli utenti, e quindi più post, articoli, commenti, like e molto più interesse a fare personal branding da parte dei professionisti».
E i dati lo confermano: «Solo nell’ultimo trimestre abbiamo raggiunto la soglia record di circa 740 milioni di membri a livello globale, dei quali 15 in Italia» conferma Albergoni, aggiungendo che nello stesso periodo le conversazioni sono aumentate del 48%. Ma non tutte le conversazioni sono, alla fine, semplici conversazioni: dietro alcune si nasconderebbero vere e proprie operazioni commerciali.
«Fare contenuto non commerciale» racconta Marta Basso, co-founder di Generation Warriors e Linkedin Top Voice 2020, «richiede attenzione, ascolto. Inoltre, lo stile comunicativo della televisione o degli altri social non è applicabile a LinkedIn: usare una grammatica sbagliata per comunicare su questa piattaforma è un po’ come urlare in chiesa».
Un interesse, quello verso il personal branding e il marketing commerciale, che rischierebbe di soffocare il vero dialogo tra professionisti. «La mia grande paura» spiega Roberta Zantedeschi, esperta in Risorse Umane e LinkedIn Top Voice 2020, «è che in un futuro l’uso delle ads venga concesso anche ai privati. Il mio amore per LinkedIn nasce grazie al fatto che qui ho trovato profili di persone comuni che crescono in base a ciò che scrivono, non a quanto si promuovono».
Complice la pandemia, «su LinkedIn si sono riversate molte aziende non digitalizzate, ma anche operatori del settore degli eventi, che non potendo offrire esperienze off-line hanno cominciato a mandare freneticamente messaggi di invito ai propri webinar. Questa operazione, fatta senza un’adeguata formazione sulla piattaforma, ha portato a bruciare l’opportunità di acquisire nuovi contatti e ripartire con il proprio business», conferma Vandilli.
Anche l’aggiunta di nuove feature, come le storie e i sondaggi, avrebbe sancito il graduale scivolamento di LinkedIn da social network professionale a semplice social network, avvicinandolo sempre di più a Facebook e tradendo la sua vocazione iniziale. Non la migliore delle scelte, dato che, nonostante sia ancora in cima alle classifiche dei social più usati al mondo, già si parla di un declino dorato della creatura di Zuckerberg, che solo a luglio ha perso 120 miliardi di dollari in borsa.
Oltre allo spauracchio delle ads, da qualche tempo su LinkedIn soffia anche (con un certo ritardo) il vento del MeToo. Si moltiplicano i post con l’hashtag #keeplinkedinprofessional, nei quali professioniste di tutto il mondo raccontano di come le molestie stiano iniziando a prendere piede anche nel luogo (virtuale) che promette di farti «entrare in contatto con le persone e i temi che contano nel tuo mondo professionale». Una delle prime, se non proprio la prima, in Italia, a parlare di molestie su LinkedIn è stata Novella Rosania, Marketing Manager e Digital Strategist. In pochissimo tempo, il suo post ha raggiunto quasi mille condivisioni e più di 600 mila visualizzazioni.
«Sono convinta che quando ci si iscrive ad un social si firmi un “patto di fiducia” che allinea gli utilizzatori all’intento della piattaforma» spiega Rosania. «LinkedIn nasce come un social per implementare le proprie reti di networking: quando accetto un professionista, di qualsiasi sesso, so che non sto giocando su un campo dedicato alle relazioni sentimentali. Per fare quello ci sono altri terreni di gioco, dove tutti sono allineati sul motivo per cui sono lì». Un pensiero condiviso da molte altre utenti, che le hanno raccontato in privato le loro testimonianze, confermando la necessità di portare sotto i riflettori il tema delle molestie, sul lavoro e nella vita privata. Ma, come spesso accade quando si parla di questi temi, le critiche da parte di scettici e benaltristi non sono tardate ad arrivare.
«Io penso che l’uomo smetterà di fare avances indesiderate solo quando la donna avrà imparato a farne.(…) E questo non sminuisce la professionalità della donna, anzi, la aumenta perché dà prova di quelle famose “soft skills” di cui tutti parlano» ha commentato un utente, a riprova del fatto che la linea tra avances e molestie è ancora sottile e sfumata nella mente di molti italiani e italiane. Secondo Rosania, invece, «le avance non sono nient’altro che l’anticamera di una molestia, che se avviene sul lavoro è ancora più grave».
E se è vero che interagiamo nel mondo virtuale ispirandoci a quello reale, possiamo dire che le molestie sul posto di lavoro non sono un’eccezione. Secondo l’Indagine sulla sicurezza dei cittadini realizzata nel 2016 dall’ISTAT, sono quasi un milione e mezzo le donne che infatti nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. «Per me rimane assurdo però che queste molestie avvengano per iscritto» aggiunge Roberta Zantedeschi, «perchè rende molto più facile tenere traccia del fatto e sporgere denuncia».
In risposta a questo fenomeno, il responsabile italiano afferma che LinkedIn «ha rafforzato le cosiddette Professional Community Policies per essere ancora più chiari sul fatto che molestie e avance romantiche non possono avere spazio su LinkedIn», integrando anche «dei promemoria per gli utenti al fine di poter garantire conversazioni di livello professionale nei post, come nei commenti e messaggi».
Soprattutto in quest’ultimo caso, infatti, è fondamentale segnalare l’utente all’azienda, dove esiste un team interno che utilizza «un mix di misure a livello tecnico basate sulla revisione di una persona e segnalazioni dei nostri membri per scoprire eventuali casi di molestia. E quando vengono scoperti, agiamo di conseguenza», conclude Albergoni.
Tuttavia, sulla scia del movimento #keeplinkedinprofessional e alla progressivo scivolamento verso alcune dinamiche social, molti utenti si sono ritrovati a cercare delle alternative a LinkedIn. Secondo l’esperta Valentina Vandilli, il primo passo è distinguere le due funzionalità principali del sito: la ricerca del lavoro, attraverso la pubblicazione e la risposta agli annunci, e la costruzione di reti sociali funzionali alla crescita professionale.
Per la ricerca attiva esistono molte alternative: una delle più divertenti è di sicuro JustKnock, una piattaforma che permette di dimostrare le proprie competenze presentando un progetto, invece di una semplice candidatura. Esistono poi i classici siti di annunci, come InfoJobs, Monster e simili. In America, la stessa funzione viene svolta dai database universitari, capaci di mettere in diretto contatto neo laureati e aziende. Anche in Italia le principali università possiedono delle piattaforme simili, ma con risultati decisamente inferiori, e comunque limitate all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro.
Per chi invece volesse costruire la propria rete di contatti, «l’unica alternativa che conosco è Xing, ma è usato soprattutto all’estero», racconta Vandilli. Nato ad Amburgo, Xing dichiara di essere attivo in più di 200 paesi, ma la sua base utenti risiede principalmente in Germania, Austria e Svizzera. Per la varietà di funzionalità disponibili, nonché per la sua diffusione internazionale, «LinkedIn è l’unico sistema che funziona, al momento. A tutti gli altri social manca uno o più di questi elementi», afferma Vandilli. Ma esistono altre soluzioni che potrebbero comunque dare i loro frutti.
Oltreoceano, il grande suggerimento che arriva per chi lavora nel mondo della comunicazione e del giornalismo è quello di puntare su Medium, o almeno, di tentare un approccio misto tra le due piattaforme. Con il Medium Partner Programme, scrivere contenuti in inglese è molto più semplice (e redditizio) di scrivere post e articoli su LinkedIn. Ma scrivere in inglese non è alla portata di tutti, e di certo, non lo è per molti italiani, ultimi in Europa per conoscenza della lingua.
Partner Programme a parte, è bene ricordare però che secondo Fabrizio Fantini, CEO di Evo Pricing, gli articoli di Medium (in qualsiasi lingua) vengono promossi dall’algoritmo di LinkedIn ancora più degli articoli nativi di LinkedIn stesso, proprio perchè quest’ultimo considera il quasi-rivale Medium una fonte autorevole. Questo approccio combinato permetterebbe quindi anche agli utenti italiani di sfruttare Medium per creare contenuti legati alla loro professione, tenendo sempre a mente però che Medium Italia ha smesso dal 2017 di promuovere autonomamente i suoi contenuti.
Da dicembre dell’anno scorso, poi, è disponibile Zwap, una piattaforma Made in Italy nata durante la pandemia dall’idea di quattro under 30. Ci si iscrive per mail e si seleziona un momento della settimana in cui fare una videochiamata a tu per tu con uno sconosciuto. Dopo qualche giorno, Zwap ti mette in contatto con il tuo primo match, un altro utente che ha selezionato per te in base ai tuoi interessi. Da lì, il gioco è fatto.
Ad oggi, più di 1.500 utenti hanno provato questo servizio, inclusi profili senior di Google, Sky, Microsoft, Azimut e Airbnb Italia, e con ottimi risultati. Che Zwap sia la prossima piattaforma di riferimento per professionisti? È un po’ presto per dirlo, ma perché no. Per ora, è un servizio libero da spam e ads, una sicurezza che né LinkedIn, né altri social, tengono a garantire ai loro utenti.