Migranti respintiLa polizia croata ha impedito a 4 eurodeputati italiani di ispezionare il confine con la Bosnia

Pietro Bartolo, Brando Benifei, Pierfrancesco Majorino e Alessandra Moretti hanno provato senza successo a raggiungere il luogo dove da tempo sono segnalati abusi e respingimenti lungo la frontiera, come già documentato da Linkiesta: «Vogliamo richiamare l’attenzione sulle manovre di occultamento degli Stati europei»

LaPresse

«A un certo punto la polizia ci ha detto che più avanti c’erano delle mine. Poi però sulla stessa strada passavano le loro macchine…» Così Brando Benifei, eurodeputato del Partito Democratico, racconta a Linkiesta come le autorità croate gli abbiano impedito di avvicinarsi al confine con la Bosnia, una delle frontiere dell’Unione Europea

Insieme a tre colleghi, Alessandra Moretti, Pietro Bartolo e Pierfrancesco Majorino, Benifei ha voluto vedere con i suoi occhi ciò che attivisti e giornalisti riferiscono da tempo: spesso i poliziotti croati respingono i migranti in arrivo dal territorio bosniaco, senza rispettare il loro diritto a richiedere asilo. 

La delegazione dei parlamentari del Pd si è presentata il 30 gennaio a piedi nei pressi del confine nella foresta di Bojna, dopo aver informato le autorità locali del percorso che intendeva fare. «A 500 metri dalla Bosnia degli agenti ci hanno fermato, impedendoci di proseguire. Dopo la scusa delle mine, ci hanno detto che dall’altro lato c’erano dei provocatori, pronti a sfruttare la nostra presenza».

Eppure i parlamentari avevano garantito che non avrebbero sconfinato. Ma, sostiene Benifei, era stato loro concesso di arrivare fino alla linea di demarcazione tra i due Paesi. In quanto deputati del Parlamento Europeo, inoltre, i quattro hanno facoltà di osservare e documentare quanto avviene sul territorio dei 27 Stati Membri.

Invece il blocco è rimasto granitico. «Abbiamo provato a proseguire, ma la polizia ci ha inseguito e presto sono arrivati anche dei rinforzi». Dopo aver denunciato la situazione con un video trasmesso sui loro canali social, i deputati hanno dovuto rinunciare a spingersi oltre. Ciò che i poliziotti croati volevano nascondere, secondo Benifei, erano delle persone, con le loro testimonianze. «Gli attivisti che operano nella zona ci hanno informato della presenza di alcuni migranti, respinti al confine in maniera non conforme al diritto internazionale».

VIDEO – Ai confini d’Europa. Cosa hanno voluto tenerci nascosto?

 

L’attitudine della polizia croata, che ha suscitato stupore anche nel presidente dell’Europarlamento David Sassoli e le reazioni di diversi membri del governo italiano, sembra suggerire una volontà di tenere lontani occhi e orecchie da quanto accade nei pressi del confine. L’indomani, la delegazione di europarlamentari è entrata in Bosnia in auto, recandosi al campo profughi di Lipa, tristemente noto per le condizioni proibitive in cui vivono i suoi abitanti. Sotto un’insistente nevicata, i parlamentari hanno potuto sincerarsi dell’inadeguatezza dei ricoveri che ospitano i migranti: «Parliamo di tende da 30-40 persone, senz’acqua potabile. I riscaldamenti sono insufficienti, ne abbiamo visti alcuni fuori uso. La temperatura scende fino a 6-8 gradi sotto lo zero». Fuori da queste tende, raccontano i deputati del Partito Democratico, file di persone, a volte in ciabatte nella neve, aspettano il loro turno per un pezzo di pane. 

Una situazione molto simile a quella documentata da Linkiesta nella “Factory”, una fabbrica dismessa diventata campo profughi informale nei pressi della città di Bihac, qualche chilometro più a nord di Lipa. Anche qui i migranti, perlopiù cittadini afgani, lottano contro il freddo senza riscaldamenti né indumenti adeguati, costruendosi ripari di fortuna.

In luoghi come questo circolano i racconti del “The Game”, la dinamica per la quale molti migranti tentano più volte di attraversare i confini dei Paesi della rotta balcanica. Come in un crudele gioco da tavola, queste persone possono avere fortuna e passare oltre, oppure tornare al punto di partenza. Quando i poliziotti riportano i profughi indietro, spesso sottraggono loro soldi e documenti. Sperano forse di scoraggiarli, rendendo il loro percorso ancora più difficoltoso. Non è raro nemmeno ascoltare testimonianze di violenze fisiche o vedere segni di manganellate sui corpi dei migranti.

Secondo il Danish Refugee Council, un’ong molto attiva in questa zona, oltre 20mila persone sono state respinte dalla Croazia alla Bosnia da maggio 2019. Non è l’unico confine dove avvengono respingimenti illegali: in numeri più ridotti, questo meccanismo si ripropone dalla Slovenia verso la Croazia e persino dall’Italia verso la Slovenia, in una sorta di scaricabarile fra Paesi europei in cui nessuno può dirsi immacolato. 

Secondo le norme comunitarie, che recepiscono la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, ogni Paese europeo ha l’obbligo di concedere a chi si presenta ai suoi confini la possibilità di chiedere asilo. Un eventuale rimpatrio, o trasferimento in un Paese terzo considerato sicuro per l’incolumità del migrante, può avvenire soltanto a domanda d’asilo respinta. Non sono invece ammessi i cosiddetti pushback, respingimenti collettivi che non tengono in considerazione il diritto individuale di ogni singola persona.

Le forze di polizia dei vari Paesi hanno quindi tutto l’interesse a effettuare queste operazioni in modo nascosto, proprio perché non riconducibili a una giustificazione legale. «Vogliamo richiamare l’attenzione sulle manovre di occultamento degli Stati Europei, perché gli agenti di polizia rispondono ai ministeri dell’Interno. La strategia dei governi è sempre più quella di esternalizzare la propria frontiera», denuncia Benifei.

La loro iniziativa, che sui social network ha scatenato sia complimenti che critiche, serve però anche a sollecitare azioni immediate. «All’Europa chiediamo di aprire subito corridoi umanitari con la Bosnia. Agli italiani di sostenere le associazioni che lavorano qui, come Ipsia, Caritas e Croce Rossa. Stanno facendo uno sforzo straordinario, ma hanno bisogno del nostro aiuto».

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