Conti in rosso e il Recovery Plan da riscrivere. È il panorama che il governo Draghi in costruzione si trova davanti dopo l’anno della pandemia guidato dal Conte bis.
Il Sole 24 Ore fa i conti: nei 16 mesi che separano la Nadef alla base della manovra 2020, la prima della nuova maggioranza giallorossa, dall’ultimo scostamento approvato per finanziare l’ipotetico decreto ristori 5, il governo uscente e il Parlamento hanno approvato in sette occasioni (due per le leggi di bilancio) deficit aggiuntivo per 426,8 miliardi di euro a valere sugli anni dal 2020 al 2026. Se si vuole considerare invece il periodo “coperto” dal Recovery Plan – 2021-2026 – i miliardi di indebitamento netto aggiuntivo rispetto al programma originale sono 302,6.
La cifra supera, e non poco, i 209 miliardi che compongono la quota italiana del Next Generation Eu. E complice la caduta del Pil del 2020, pari al -8,8% appena registrato dall’Istat, il debito in rapporto al Prodotto interno lordo è salito di oltre 22 punti arrivando al 157%.
A partire da questi conti, si dovrà riscrivere dunque anche quella bozza di documento del Recovery Plan nelle mani del Parlamento. Il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ieri ha parlato di «risorse straordinarie dell’Unione europea», da pianificare con «sguardo attento per le giovani generazioni» e con l’obiettivo del «rafforzamento della coesione sociale».
Riscriverlo per Draghi vorrà dire confrontarsi col Parlamento e adeguare quel documento alle raccomandazione della Commissione europea su almeno due punti: indicare obiettivi misurabili degli investimenti finanziati, spiegare bene le riforme che nel testo sono liquidate con parole generiche. Per l’Italia ci sono cinque riforme fondamentali: giustizia, concorrenza, pubblica amministrazione, fisco, mercato del lavoro. E andrà poi definita la governance, che poi è stata la miccia che ha innescato questa crisi di governo infinita.