Lesa maestàIl caso del rapper spagnolo mandato in carcere per i suoi messaggi

Pablo Hasél è stato condannato per avere offeso il re e incitato al terrorismo. Il suo arresto ha sollevato un dibattito sulle pene per i reati di opinione, anche se a suo carico si contano anche altre condanne

AP Photo/Joan Mateu

Ha definito il re Juan Carlos «un cretino», un «mafioso di Borbone» che festeggia con la monarchia saudita, i suoi «amici criminali» . La corona di Spagna è «fascista», i poliziotti sono «mercenari», «assassini», che pestano e uccidono gli immigrati.

Sono alcune delle espressioni, usate sui social e nelle canzoni, per cui è stato condannato Pablo Rivadulla Duró, rapper spagnolo conosciuto come Pablo Hasél, a nove mesi di carcere per insulti alla corona e incitamento al terrorismo.

Chiamato a entrare in carcere dall’Audiencia Nacional, il cantante ha preferito barricarsi nell’università di Lleida, obbligando la polizia a fare irruzione martedì 16 febbraio. All’arresto sono seguiti scontri e manifestazioni tra Madrid e la Catalogna, dispersi dalle forze dell’ordine con lacrimogeni e proiettili di gomma.

Il risultato, al momento è di una sessantina di arresti e altrettanti feriti. Cui si aggiunge un dibattito serrato sulla libertà di espressione, i suoi limiti e le pene previste dal codice, giudicate troppo severe.

Ma il caso di Pablo Hasél è qualcosa di più, perché si pone all’incrocio di una serie di tensioni che agitano la Spagna. Il rapper, comunista, è un grande sostenitore dell’indipendenza della Catalogna, ha preso le difese dell’ETA, l’oganizzazione terroristica basca, e si è fatto fotografare insieme a Victoria Gómez, rappresentante del gruppo marxista GRAPO (ora dissolto) dicendo che apprezzava le proteste ma a volte bisognava fare come loro, cioè andare oltre.

L’incitamento alla violenza è indiscutibile, ma il suo messaggio cade in mezzo a questioni irrisolte – passate e presenti – che accrescono la visibilità dei suoi gesti.

A tutto questo si aggiunga la mancanza di rispetto per la corona. I testi incriminati risalgono al biennio 2014-2016. Il processo, iniziato subito dopo, si è concluso con una prima condanna nel 2018 a due anni e un giorno di carcere e una multa di 24.300 euro. Nell’appello è stata abbassata a nove mesi, con la motivazione che i messaggi non rappresentassero un rischio reale. Nel 2020 arriva la conferma del Tribunal Supremo.

Troppo pesante? Secondo i giudici no. Pablo Hasél non meriterebbe alcuna sospensione perché, era stato già condannato nel 2015 per fatti simili, e nel 2017 è stato condannato per resistenza a pubblico ufficiale e nel 2018 per irruzione in un locale.

Si tratta di un soggetto che – hanno scritto – per condotta e circostanze non merita attenuanti. In più solo nel 2020 ha ricevuto due condanne in primo grado per lesioni nei confronti di un giornalista di TV3 e per l’aggressione contro un uomo che aveva testimoniato a favore di un poliziotto della Guardia Nacional di Lleida. Ha fatto ricorso in appello.