Tre anni fa, a febbraio del 2018, Netflix ha messo on line un monologo di Chris Rock che diceva tutto quel che c’è da dire sulle polemiche che in questi giorni riguardano Meghan Markle e suo marito. E questo anticipo ci dice che quelli molto bravi dicono tutto prima, certo; ma ci dice anche che abbiamo una curva d’apprendimento davvero piatta.
Noi, ma pure Netflix, che sapeva d’avere un prontuario filosofico per le mani, e infatti ne ha da poco messa on line una seconda versione, più lunga; ma nel frattempo ha comunque fatto un contratto ai coniugi Markle (la regola è che la coppia prende il cognome di chi vale di più sul mercato, no?).
Per carità, Netflix sa quel che fa, sa che conviene contenere moltitudini: la quota lagna per farsi dire che si è sensibili (che la quota lagna sia Nanette – il monologo più noioso del mondo, servito da un’australiana determinata quanto Meghan ad ammollarci le sue dolenze, ma meno belloccia – o i coniugi Markle); ma anche la quota con spettatori, quella su cui il pubblico ha voglia di cliccare anche se dice cose socialmente impresentabili. Nella fattispecie, i due migliori appartenenti alla categoria sono due comici neri: Dave Chappelle, e appunto Chris Rock.
Di “Tamborine”, il monologo del 2018, avete per forza visto un pezzetto, se non avete passato gli ultimi anni su Marte. Era il pezzetto più rilanciato quando venne ucciso George Floyd, e non solo. È quello delle mele marce, quello in cui Rock dice che certi mestieri non possono permettersi una quota di mele marce, mica l’American Airlines può dire ai suoi passeggeri che la maggioranza dei piloti sono bravi cristi cui piace atterrare, poi c’è qualche mela marcia cui piace schiantarsi.
E quindi ci siamo convinti che parlasse di razza, e non voglio dire che non lo faccia, non voglio dire che non dica spessissimo «bianchi» e «neri» (e altre sfumature: c’è un passaggio da ridere alle lacrime sulla scemenza di dire che i bambini sono naturalmente buoni e non sono razzisti finché qualcuno non insegna loro a esserlo: «I bambini sono i più cattivi, sessisti, razzisti, omofobi stronzi sulla faccia della terra»; segue favoloso aneddoto sulla figlia che frigna «papà, quella signora mi fa paura, ha la faccia strana» «non è strana: è asiatica, mocciosa razzista»).
Però Rock è milionario, oltreché nero, è un milionario con la terza media che si guarda intorno all’udienza di divorzio e si rende conto che tutti quei megalaureati sono lì per portargli via i suoi soldi, è un milionario che non era previsto diventasse tale e sa che tutto è questione di classe sociale.
Anche le proteste contro la polizia. Certo, da una parte è nero, «dall’altra sono un proprietario immobiliare: non è che se mi vengono i ladri a casa chiamo una gang di strada». È ricco, e sa che il problema principale dei neri è non esserlo: «Una volta c’erano i cartelli “non sono ammessi i neri”, adesso ci sono i prezzi».
Al Four Seasons non ti dicono che i neri non sono ammessi, «sono le suite da quattromila dollari a dirtelo». Mica da Whole Foods c’è scritto «vietato l’ingresso ai neri», a dirlo è «un’arancia da sette dollari, che ti dice di portare fuori il tuo culo nero. Anche qualcuno dei vostri culi bianchi, lo so», dice rivolto al pubblico in sala, che anche se bianco è plausibilmente meno solvibile di lui.
Cosa c’entra Meghan, diranno i miei piccoli lettori. Certo, è una tizia di sangue misto che vive la vita dei milionari, ma mica basterà così poco. C’è, fra gli altri, un passaggio precisissimo su di lei, un passaggio sul bullismo che chiude tutti i discorsi stracchi sull’infanzia e la fragilità e i maltrattamenti. «A che serve che tu sappia programmare il computer se poi ti metti a piangere la prima volta che il capo non ti saluta?», chiede Rock dicendoci quanto siano fondamentali i compagni di classe prepotenti, quelli che ti fanno piangere, quelli che ti temprano.
Ogni volta che racconto un qualche episodio normalissimo della mia infanzia, un’infanzia tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, ogni volta che ne racconto uno io o qualche mio coetaneo, concludiamo sempre: oggi la scuola finirebbe sulle prime pagine dei giornali. Per quella gonna sollevata da un compagno, per quei pomeriggi faccia al muro in punizione, per tutte quelle cose che all’epoca dimenticavi dopo cinque secondi e oggi sono trauma gravissimo per cui vai a piangere in televisione.
Manca la controprova, quindi non sappiamo se i figli del culto della fragilità cresceranno più sani di mente di noi. Sospetto di no. «Abbiamo bisogno dei prepotenti. Credete che i ragazzini a scuola fossero gentili con Bill Gates? Con Mark Zuckerberg?».
Nel nuovo “Tamborine” in versione lunga ci sono tre apparizioni come ospite di talk che Rock ha fatto in questi tre anni. Sembrava solo uno che chiacchierava in tv, e invece stava costruendo la perfettissima retorica antilagna.
A Howard Stern racconta che, sul set d’un film di cui faceva la regia, ha riconosciuto il bullo che a scuola lo sollevò per i piedi facendogli cadere le monetine dalle tasche. Era una guardia del corpo, su un set del quale lui era la massima autorità. Dice che non l’ha mica fatto cacciare: la vita l’aveva già abbastanza punito facendolo stare lì, ultimo anello della catena alimentare mentre il bambino che aveva maltrattato era diventato un regista milionario.
Meghan Markle probabilmente pensa che la sua rivalsa sia, se non inventare Windows o Facebook o diventare uno dei grandi comici di questo secolo, far cacciare Piers Morgan, uno che a 29 anni dirigeva un tabloid e da adulto si compiace d’avere tutte le più impresentabili posizioni su tutti i temi: fino a un certo punto è stato persino amico di Donald Trump (la cui presidenza, secondo Rock, è stata la prima conseguenza delle lagne sul bullismo: «Abbiamo eliminato i piccoli prepotenti, e quando ne è arrivato uno grosso nessuno sapeva cosa fare»).
Far cacciare Morgan dal programma del mattino che conduceva, giacché ha osato dire che non credeva a una parola della sua ricostruzione. Morgan cascherà come sempre in piedi, ma è interessante leggere che, tra i quarantamila messaggi inviati chiedendo la sua testa al garante per le comunicazioni inglese, ci sia anche quello della signora Markle. La cancel culture come rivalsa, dal basso, del popolo senza voce. Senza voce tranne quell’intervista da diciassette milioni di spettatori.
Chissà perché questa cosa di Meghan che si rifà dei bulli facendone cacciare uno dalla tv non mi convince. Chissà perché mi viene in mente quel passaggio in cui Rock dice che va alle giornate d’orientamento scolastiche, dove ai bambini viene detta quella gran balla che è «potete diventare tutto ciò che volete, tutto ciò che sognate».
«Tutti? Tra di loro individuo almeno sessanta autisti di Uber. Se possono essere tutto ciò che vogliono, come mai lei è un vicepreside? Era il suo sogno di bambino? Si travestiva da vicepreside a carnevale?». O da principessa dolente, da mantenuta, da eroina delle vittime. Di quelle vittime che ci spiegano che lei, una che va in tv a dire d’essere determinata a vivere da milionaria, lei è proprio come loro.
Proprio come loro, che sotto pressione frignano, sebbene non in mondovisione. «È la pressione che fa i diamanti, mica gli abbracci. Prova ad abbracciare un pezzo di carbone, e vedi cosa ne ricavi: una maglietta sporca, ne ricavi».