Una vita in vacanzaMeghan Markle è la principessa del vittimismo (e la copia sbiadita di Diana)

Nell’intervista a Oprah Winfrey, stasera su Tv8, la moglie di Harry ha detto che non sapeva niente della famiglia reale, che era stufa di dover sempre sorridere in pubblico, che è stata oggetto di razzismo e che ha pensato al suicidio. Insomma, ha usato tutte le carte ricattatorie giuste per intrattenere il pubblico medio

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A Meghan non importava niente che il principino fosse un principino. Inteso come: non le importava di chi fosse parente Harry, non sapeva niente della famiglia reale (un po’ Vacanze romane), ma neanche le importava che suo figlio avesse un titolo nobiliare. Lo dice, nell’intervista a Oprah Winfrey che in Italia va in onda stasera (su Tv8), facendo un po’ Julia Roberts un po’ Frank Sinatra. «Sono stata una cameriera, un’attrice, una principessa, una duchessa, e intanto ero sempre Meghan». Che è «sono solo una ragazza che chiede di essere amata»; ma, più sorprendentemente, è anche «I’ve been a puppet, a pauper, a pirate, a poet, a pawn and a king».

Però, in quello che è il delizioso ritratto d’una vita a scrocco, Meghan era molto preoccupata che, non venendo al bebè dato un titolo di principe, non gli venissero neanche pagate dalla famiglia reale le guardie del corpo. Le hanno tolte anche ai genitori del non principino, Meghan stessa e Harry (secondogenito della dea della vulnerabilità Diana, modello inarrivabile ma instancabilmente emulato da Meghan).

L’hanno saputo mentre erano in Canada, avevano mollato le responsabilità della famiglia reale («il nostro lavoro era sorridere»: il tornio e la pressa) e si erano trasferiti lì ospiti d’un imprecisato amico; e allora cos’hanno fatto, le loro altezze scroccone? Si sono trasferite a Los Angeles, da un amico ancora più ricco, uno che oltre a dar loro una casa ha anche pagato loro le guardie del corpo.

Se un giorno doveste spiegare l’industria del vittimismo, potrete raccontare d’aver visto l’intervista per la quale due determinati a non lavorare proprio mai – neanche a fare quel lavoro che è sorridere a comando perché si è parte d’una famiglia reale, e non ti arruoli nell’esercito per poi scoprirti pacifista – vengono difesi nelle loro fragilità dal pubblico medio: gente che lavorerà tutta la vita, e nel tempo libero s’intrattiene coi ricatti emotivi dei multimilionari.

Se non ci fosse già stata Diana, se non sembrasse solo un’emula di quint’ordine, Meghan sarebbe perfetta nei dettagli. Le carte ricattatorie del razzismo e del suicidio, i paragoni (è stato vedendo La sirenetta – lo spiega mentre porta Oprah a visitare il pollaio: grande televisione – che ha capito che anche lei aveva perso la propria voce innamorandosi d’un principe: vuoi mettere che pulpito prima, interpretando un personaggio minore in una serie minorissima).

La ragione per cui Oprah è la più brava di tutte (i saperlalunghisti dicono che la Cbs le ha dato sette milioni di dollari per quest’intervista) è il modo soave in cui fa le domande feroci. Roba tipo: hai sposato un’istituzione vecchia di milleduecento anni, cosa ti aspettavi?

Ma che ne sapeva Meghan, che Harry non l’ha mai googlato (giuro, lo dice), che non sapeva cosa fosse la casa reale ed è rimasta stravolta quando lui le ha detto che doveva fare l’inchino a Elisabetta, «ma è tua nonna», «è la regina» (non aveva evidentemente mai visto neanche un film, povera Meghan, più Mowgli vissuto nella giungla che sirenetta).

Meghan che ancora trasecola, con un impeto da articolo di Cosmopolitan sull’importanza di essere sé stesse, per la scoperta che «il percepito e il reale sono molto diversi, e tu vieni giudicata per il percepito ma vivi il reale»: benvenuta nel mondo degli adulti, stellina.

In questo film in cui tutto è dramma gravissimo, anche il fatto che nessuno in famiglia si sia offerto di dire a Meghan quale fosse l’inno inglese – se l’è dovuto cercare da sola su Google, spero che vorrete empatizzare con queste sue fatiche, voi con contratto a progetto – in questo film non si sa chi siano i cattivi.

La conversazione subito etichettata come razzista, quella in cui incredibilmente una famiglia reale s’interrogava sul colore del nascituro da madre di sangue misto, non aveva come partecipanti Elisabetta e Filippo, ha precisato Oprah ieri (gliel’ha chiesto Harry, di precisarlo, ha detto). Meghan non ha detto chi avesse detto quelle brutte cose (facesse i nomi sarebbe una stronza, e lei mica è una stronza: non vedete come sbatte gli occhioni?).

Ma Harry nell’intervista dice che suo padre e suo fratello sono «intrappolati dal sistema e non sono riusciti a fuggire». Chi avanza? Gli zii? (Sarah Ferguson diede un’intervista televisiva sulle fatiche d’appartenere alla famiglia reale venticinque anni fa: Meghan, sei solo la copia di mille riassunti). La cognata, di cui Meghan dice che l’ha fatta piangere con una discussione sui vestiti delle damigelle (problemi con cui empatizzeranno tutte le impiegate in Zara) ma che poi si è tanto scusata? Camilla? Il maggiordomo?

A un certo punto Meghan – fin lì in Armani da 4500 dollari che, ha spiegato Vanessa Friedman sul New York Times, è decorato con un simbolico fiore di loto, che fiorisce anche in condizioni ostiche (la sirenetta, il fiore di loto: Meghan ha i riferimenti culturali d’una influencer, come principessa era sprecata) – si cambia, vestendosi da pollaio. Ed è lì che spiega che il loro matrimonio è stato in realtà celebrato tre giorni prima di quello in mondovisione, perché volevano una cerimonia solo loro, una cosa semplice, «noi due e l’arcivescovo di Canterbury», e lo dice senza alcuna ironia (chissà se ha dovuto cercare su Google cosa fosse Canterbury).

Ieri gli americani – gli stessi che due mesi fa ci dicevano che era perfettamente verosimile l’aristocrazia meticcia di Bridgerton – ci spiegavano che l’Inghilterra è tanto razzista, per forza Meghan è fuggita. Non sarò certo io a dire che, se Meghan non ripetesse continuamente che sono razzisti con lei, nessuno saprebbe che è nera: ha la pelle bianca quanto la mia. Non sarò certo io a dirlo, dopo che hanno massacrato un editorialista inglese per averlo fatto notare. Né a dire che fino a tre quarti d’ora fa mi pareva che il problema maggiore, in quanto a razzismo, l’avessero gli americani.

Non sarò certo io a far notare le somiglianze tra i vestiti che sceglieva Diana e quelli che sceglie la sua emula, o a dire che quella raccontava d’aver tentato il suicidio, e Meghan dice d’aver pensato al suicidio, e insomma questa copia carbone non è all’altezza, ma l’originale è morto (Meghan quest’anno compie 40 anni, Diana morì a 36). Non sarò certo io a pronosticare che la secondogenita che Meghan aspetta si chiamerà Diana.

Dirò solo come si sviluppa quella strofa in cui Frank Sinatra era stato pedone e re, burattino e pirata e poeta. «Sono stato su e giù e fuori e oltre e una cosa la so: ogni volta che mi ritrovo con la faccia per terra, mi tiro su e torno in gara: è la vita». Strano che nessuno abbia mai cantato una canzone sul cercare qualcuno che paghi il tenore di vita che sei determinato a permetterti, intitolandola: È la lagna.

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