C dayMattarella, Casalino, Dadone e quella voglia di linciare solo chi ci è antipatico

Naturalmente il populismo – come ormai tutto, nella gigantesca curva di stadio in cui abitiamo – dipende da chi lo fa

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La prima immagine è: Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, in una sala d’attesa aspetta di farsi il vaccino.

La seconda immagine è: Fabiana Dadone, ministro per le politiche giovanili, coi piedi sulla scrivania.

La terza immagine è: Rocco Casalino, ex tutto, in uno studio televisivo, dice che nel Pd ci sono «alcuni cancri».

Le tre immagini vengono da una sola matrice, non ci vuole l’erede di Umberto Eco per capirlo.

Quello che sta facendo la Dadone è dire «sono giovane, sono a mio agio, sono una di voi». All’uopo, si è messa una maglietta dei Nirvana, l’idea di giovanilismo degli anziani. Il logo dei Nirvana è disastrosamente d’un punto di rosso diverso da quello delle scarpe di vernice che indossa – scarpe che ha indossato solo per la foto, lo dicono le suole intonse e lo dice l’empirismo di chi abbia provato a camminare coi tacchi nel centro di Roma: la vernice è intatta, due passi l’avrebbero sfregiata, il primo sanpietrino sarebbe stato letale.

Quello che sta facendo Mattarella è cercare di non farsi linciare da una società ormai convinta che non esistano le gerarchie, che uno valga davvero uno, che mia nipote sarebbe stata più adatta a vincere miss Italia di quella raccomandata e che prendere l’autobus quando fai il ministro sia meritorio, perché è questo che vogliamo da un ministro: che perda delle mezze giornate alla fermata.

Quello che sta facendo Casalino è essere sé stesso: uno che ha cominciato la carriera politica al Vaffanculo day. Solo che, povero Rocco, non ha capito come funziona il populismo quando a briscola c’è la suscettibilità: «tutti ladri» puoi dirlo, perché nessuno vorrà offendersi a nome dei truffatori; «cancro» scatenerà subito un coro di «tu offendi i malatiiii». Povero Rocco, autocertificato genio della comunicazione che non sa comunicare.

Naturalmente il populismo – come ormai tutto, nella gigantesca curva di stadio in cui abitiamo – dipende da chi lo fa. Se lo fa qualcuno che ci è simpatico, neppure lo chiamiamo così. E infatti su Mattarella – che piace a tutti, giusto Di Maio ogni tanto si distrae e chiede un impeachment, ma un po’ come i fidanzatini dei vent’anni che ti lasciavano e dopo un quarto d’ora ci ripensavano – ieri ci siamo tutti sdilinquiti in un assortimento di «che esempio, che rigore morale, che sobrietà». Nessuno voleva essere il primo a sospirare che, in un paese normale, il primo giorno in cui c’è un vaccino disponibile mandi un infermiere al Quirinale e fai vaccinare il capo di Stato, altro che «quando sarà il mio turno» e attese in fila.

Il fatto è che «sono uno di voi» è ormai una sindrome talmente pervasiva che persino Mattarella diventa una Dadone coi piedi sul tavolo. Una versione beneducata – non metterebbe mai i piedi sul tavolo – ma comunque vicina alla gente. Funziona tutto così: le principesse sono malinconiche come noi, i portavoce usano le parole sbagliate come noi, le ministre mettono i piedi sul tavolo come noi, i presidenti stanno in fila come noi. Il cambiamento più rilevante della società negli ultimi anni non è stata l’apertura della scatoletta di tonno, ma il livellamento della marca del tonno. Discount per tutti.

Una decina di giorni fa una stilista ha instagrammato una propria foto coi piedi sul tavolo, mentre faceva colazione nella suite d’un albergo milanese. I commentatori hanno condannato la sua maleducazione. La settimana scorsa a instagrammarsi coi piedi sul tavolo è stata una produttrice di cosmetici. I commentatori hanno spiegato che a casa sua una fa ciò che vuole. Era quella la differenza, albergo o casa? Macché. La differenza era quella che c’è tra l’organizzare il vaffanculo day e il dire che alcuni esponenti politici sono un cancro: quanto ci stai simpatico in quel momento. La stilista sta meno simpatica ai suoi follower di quell’altra tizia (l’illusione del livellamento ha la sua massima espressione nel numero di follower: se ti seguono a milioni, può anche essere che lo facciano per antipatia; io, per dire, seguo quasi solo gente della quale sghignazzare).

I piedi sul tavolo sono come l’utilizzo della parola «cancro»: se ci sei caduto dal cuore, ogni scusa è buona per linciarti; ma se ci sei simpatico, puoi fare più o meno ciò che vuoi. (Fa peraltro abbastanza ridere l’indignazione al grido di «mio marito è morto di cancro e tu non ti devi permettereeee»: ha usato «cancro» come sinonimo di «brutta cosa», sospetto che tuo marito sarebbe d’accordo).

Tuttavia, non ti linceremo mai perché sei uno di noi, uno di noi mitomani che sostengono di vendere più di Obama e poi stanno sempre in tv a cercare di racimolare altre cinquanta copie, una di noi vittime di Sex and the city che ci portiamo i tacchi in ufficio per instagrammarci meglio, una di noi cittadine d’un paese i cui cittadini non hanno idea di come si pronunci l’italiano. Ieri la Dadone ha postato due minuti in cui, poiché uno vale uno, diceva ai giovani che sono loro a doverle dire cosa vogliono faccia; nel dirlo, pronunciava «fòndi», «lavòro», «vòi», e io me ne sono indignata assai più che per i piedi sul tavolo, ma so d’essere sola in questa mia battaglia contro le vocali chiuse e aperte a casaccio (il primo che mette ore di dizione nei programmi delle elementari, io lo voto).

Ti linceremo non perché sei mediocre come noi, non perché mangi il tonno del discount come noi, non perché ci somigli, ma perché sei nella curva sbagliata. Perché sei un impresentabile. Provate a pensare cos’avremmo detto se, a farsi fotografare in attesa del vaccino, fosse stato quello che s’instagrammava coi tortellini al ragù, quello con le felpe con le scritte, quel reuccio degli impresentabili. Provate a fare questo giochino, un giorno che vi annoiate: come valuterei quest’immagine se ritraesse quel Voldemort lì?