Come già osservato dalla nostra rubrica, la stampa ungherese presenta sempre meno voci indipendenti. Il governo di Viktor Orbán sta riuscendo a silenziare tutte le testate non allineate alla narrazione ufficiale. Tra le poche realtà che resistono, c’è il giornale investigativo Direkt36. Che a metà marzo ha fornito un’altra prova dell’importanza della sua funzione, pubblicando un’approfondita indagine sul rapporto tra Ungheria e Cina, in particolare sulle attività dell’intelligence nel Paese. Il rapporto tra Budapest e Pechino è diventato molto stretto con l’ascesa di Orbàn iniziata dalla vittoria elettorale del 2010.
Oggi l’Ungheria è vista come lo Stato più filocinese tra i membri Ue, come si evidenzia in più occasioni. Il paese mitteleuropeo è rimasto, per esempio, uno degli ultimi Stati Ue a resistere alle pressioni americane contro l’assegnazione dello sviluppo della rete del 5G a Huawei, azienda che peraltro proprio in Ungheria ha il suo centro logistico più grande tra quelli costruiti fuori dalla Cina.
Come riassume uno degli esperti contattati da Direkt36, la cosiddetta apertura a Est intessuta dagli orbaniani nell’ultimo decennio si è tuttavia rivelata solo «un fumogeno con cui oscurare la corruzione e il peculato praticati dagli ungheresi». Dalla svolta filocinese l’economia nazionale non ha guadagnato molto – esclusi i circoli affaristici vicini al governo.
La visione dell’Ungheria come avanguardia della Cina nell’Ue esce corroborata dalla dettagliata inchiesta condotta dal portale investigativo, frutto di oltre 60 interviste con addetti ai lavori, molti dei quali hanno accettato di parlare soltanto in forma anonima.
Sono stati soprattutto due gli ambiti finiti sotto la lente di Direkt36: diplomazia e spionaggio.
In campo diplomatico, Orbán spalleggia il partner asiatico in vari modi, non soltanto rifiutandosi di partecipare alla crociata anti-Huawei indetta da Washington. L’avvicinamento alla Cina non è stata una mossa improvvisata una volta in sella, bensì una manovra pianificata con largo anticipo.
Come ricostruito dall’inchiesta, confermandosi un politico estremamente scaltro e pragmatico, Orbàn aveva infatti iniziato a coltivare un legame con il Partito comunista cinese già alcuni mesi prima di vincere le elezioni nel 2010 e instradare il proprio paese sulla via dell’autocrazia, recandosi in viaggio in Cina , dove aveva incontrato tra gli altri anche il futuro presidente Xi Jinping.
Fino a quel momento, il partito di Orbán, Fidesz, nata come raggruppamento moderatamente liberale, aveva supportato la causa del Tibet, coerentemente con la connotazione del primo Orbán, quello anticomunista e campione dei diritti umani.
Da allora Budapest ha dato più volte dimostrazione di lealtà a Pechino.
Gli ungheresi boicottano quasi sempre le risoluzioni con cui il Consiglio europeo condanna le azioni del governo cinese, solitamente su tematiche dove l’Ue non gode di una reale influenza, come l’azione della Cina nel Mar cinese meridionale. «Diciamolo chiaramente: queste dichiarazioni comuni sono una barzelletta. Sono affermazioni morali, senza conseguenze», ha spiegato un ex funzionario del ministero degli Esteri ungherese coinvolto da Direkt36. Secondo cui, se si trattasse di questioni davvero importanti su cui si esprimesse anche la Nato, Budapest non oserebbe mai contrapporsi alla linea dell’Alleanza atlantica.
Ma finché si tratta di temi secondari, o dove già esistono dissensi all’interno del fronte Ue, l’Ungheria non si lascia scappare l’occasione di far pendere la bilancia verso Oriente, come fa sovente anche la Germania, interessata a tutelare le proprie aziende che commerciano proficuamente con la Cina,
Secondo alcuni degli intervistati, se il paese mitteleuropeo è considerato come sfacciatamente pro-cinese è perché non si limita a fare affari con Pechino dietro le quinte come Berlino, ma si prodiga in gesti eclatanti – seppur dalle conseguenze nulle.
Come avvenuto lo scorso febbraio, quando l’Ungheria è stata l’unico paese Ue a non unirsi alla coalizione internazionale lanciata dal Canada per protestare contro l’arresto del connazionale Michael Kovrig. Un fermo ritenuto molto arbitrario, che la Cina ha probabilmente effettuato come ripicca per l’arresto della direttrice esecutiva di Huawei Meng Wanzhou, fermata all’aeroporto di Vancouver nel dicembre del 2018 e poi estradata negli Stati Uniti.
Budapest ha inoltre srotolato il tappeto rosso alla diplomazia culturale cinese, permettendo ai cinesi di inaugurare Istituti Confucio in più città ungheresi e lasciando che costruissero legami ambigui con accademici, professori universitari, studenti, esperti e giornalisti. Ovvero quelle élite culturali che Pechino mira a cooptare per creare un clima d’opinione più favorevole al progetto su cui sta investendo la gran parte delle sue energie: le nuove vie della seta.
Seppur non sempre in modo così analitico, l’affinità sino-ungherese in campo diplomatico era già stata esaminata in altre sedi. L’indagine di Direkt36 è stata invece una delle prime a soffermarsi minuziosamente sulle attività dell’intelligence cinese in Ungheria.
Stando a quanto scoperto dal portale, le azioni di spionaggio avvengono soprattutto in ambito universitario e sono non di rado praticate da studenti. Molte delle ragazze e dei ragazzi cinesi che vanno a studiare in Ungheria finiscono a raccogliere informazioni per le autorità del proprio paese.
Il numero di universitari cinesi in Ungheria è cresciuto fortemente nell’ultimo decennio. Non tanto per le politiche governative, ma perché le università magiare hanno cercato di far fronte al calo delle risorse pubbliche loro allocate attraendo studenti stranieri che pagassero il massimo della retta. Secondo l’Istituto statistico ungherese, nel 2013 c’erano solo 446 studenti cinesi in terra magiara. Nel 2019 il numero era circa sei volte tanto.
Direkt36 sottolinea che non tutti gli studenti cinesi presenti in Ungheria sono spie, ma il Partito comunista cinese si è dimostrato molto risoluto nel convincere i propri connazionali a prestarsi a questo tipo di attività. Dove non bastano i richiami al patriottismo e gli incentivi economici, subentrano le intimidazioni, rivolte agli affetti rimasti in patria.
Questi studenti, così come alcuni affaristi approdati in Ungheria per fare business, operano come una sorta di spie amatoriali. Non conducono osservazioni approfondite e meditate, ma captano informazioni, per esempio partecipando a conferenze pubbliche, che in sé possono anche essere secondarie, ma che assemblate permettono alle autorità cinesi di avere un quadro preciso di ciò che avviene in Ungheria.
Tuttavia, uno degli esperti sentiti da Direkt36, Ferenc Katrein, ex funzionario del controspionaggio ungherese, ha sottolineato che l’Ungheria non ha effettivamente alcuno stimolo a contrastare le attività di spionaggio cinesi. «Alla Cina interessa spiare dove può guadagnare vantaggi in campo economico o tecnologico, non politico. Quindi in Ungheria non c’è molto che possa suscitare la sua attenzione», ha chiarito Katrein.
Non necessariamente, però, gli 007 cinesi si insediano in Ungheria per spiare gli ungheresi. Budapest può ben fungere da testa di ponte per diramarsi nei paesi dell’Europa che conta.
Ci sono un paio di indizi che danno consistenza a questa ipotesi.
Lo schema dei “passaporti d’oro” varato dal governo ungherese nel 2012 ha permesso a molti stranieri facoltosi di acquisire la cittadinanza ungherese. Possibilità sfruttata da circa 20.000 persone in questi otto anni: tra loro, l’80% era composto da cittadini cinesi.
Il controspionaggio ungherese si è trovato impreparato davanti a numeri così alti, e non è quindi riuscito a esaminare nel dettaglio il profilo di tutti i richiedenti, che hanno così ottenuto il passaporto ungherese senza che le autorità abbiano avuto modo di appurare che i beneficiari non siano spie al soldo di potenze straniere. E il passaporto ungherese permette di viaggiare liberamente per tutto il territorio comunitario.
Inoltre, sono stati numerosi i cittadini cinesi, e in misura minore russi, che hanno comprato immobili a Budapest negli ultimi anni. Nel 2019, per esempio, circa 3000 proprietà sul territorio della capitale sono state comprate da acquirenti stranieri: la metà aveva la cittadinanza cinese. Curiosamente, le cifre pagate sono state spesso esorbitanti, ampiamente fuori mercato. Secondo i contatti di Direkt36, questo potrebbe lasciar pensare che dietro le transazioni si celi direttamente l’intelligence cinese. Al momento, tuttavia, non è emerso alcun utilizzo illegittimo di queste proprietà.
Lo scorso settembre è però emerso altro. Un leak ha rivelato l’esistenza di un database, compilato dall’azienda cinese Shenzhen Zhenhua Data Information Technology Co, dove erano archiviate informazioni su milioni di persone e organizzazioni in tutto il mondo.
Tra i 710 cittadini ungheresi presenti in questo database, figuravano anche membri delle élite politiche e mediatiche, o loro parenti stretti, come i figli dello stesso Orban o l’ex sindaco di Budapest István Tarlós.