Stampa e regimeLa coraggiosa decisione di Deutsche Welle per garantire l’informazione libera in Ungheria

Dopo 20 anni l’emittente tedesca ha ripubblicato servizi in lingua ungherese. Il portavoce del governo di Viktor Orbán la definisce una mossa politica: «Giusto in tempo per le elezioni del 2022. Niente di più di un pizzico di imperialismo culturale tedesco»

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L’emittente tedesca Deutsche Welle (DW) ha deciso di riprendere a pubblicare, dopo vent’anni, servizi in lingua ungherese, citando il deterioramento del pluralismo dell’opinione pubblica in Ungheria, dove il governo di Viktor Orbán controlla oggi la gran parte delle testate, direttamente o tramite oligarchi compiacenti. 

La decisione dell’azienda pubblica tedesca segue di poco quella di Radio Free Europe (RFE), l’emittente americana fondata agli albori della Guerra fredda per diffondere oltrecortina informazione non censurata dai vari Politburo, che dal 1995 ha il proprio quartier generale a Praga. RFE smise di trasmettere in ungherese nel 1993. 

Secondo Lorenzo Berardi, cofondatore di Centrum Report ed esperto della storia delle radio italiane che trasmisero, e in alcuni casi ancora trasmettono, nei paesi dell’ex blocco comunista, le mosse di DW e RFE «dimostrano come dall’esterno si avverta la necessità di ampliare lo spazio riservato all’informazione indipendente in Ungheria, eroso sistematicamente dal governo Orbán. Per DW e RFE, la scelta di trasmettere in ungherese è funzionale a raggiungere un pubblico ampio, che vive fuori dalle grandi città e si informa sul proprio paese solo nella propria lingua. Per entrambe, il prossimo passo sarà provare a diffondere le proprie trasmissioni in ungherese non solo online, ma anche sull’etere».

La modalità con cui l’esecutivo magiaro ha infiltrato e occupato il comparto mediatico è già stata descritta dalla nostra rubrica: imprenditori vicini a Fidesz hanno progressivamente acquisito la proprietà di centinaia di quotidiani e riviste, accorpandoli in seguito in una fondazione, la Kesma, che le ha trasformate di fatto in un megafono della propaganda orbaniana. Al contempo, le autorità hanno agito in modo da convogliare le inserzioni pubblicitarie verso i giornali amici, una tattica ripresa anche dai colleghi polacchi

Le poche realtà indipendenti sono state soppresse con qualcuno degli astuti stratagemmi cui gli orbaniani hanno abituato il pubblico, in patria e fuori. L’ultimo caso, lo scorso febbraio, ha interessato Klubrádió, voce dell’opposizione liberale di sinistra, messa a tacere dal governo semplicemente non rinnovandole la licenza a trasmettere. 

Pochi mesi prima era toccato a Index, uno dei siti web in ungherese più visitati. Nel corso dello scorso anno un cambio di proprietà aveva portato a un’ondata di dimissioni in massa da parte di redattori e staff, preoccupati che i nuovi soci di maggioranza imponessero una linea editoriale più accomodante verso il potere. 

Alcuni di questi professionisti hanno poi dato vita a Telex, che resta oggi una dei pochi media non allineati, assieme a Insight Hungary444, al portale investigativo Atlatszo o al think tank Political Capital. Tra le radio resiste Tilos Rádió.   

Quasi solo su questi siti, ormai, si possono trovare analisi che facciano le pulci alla banda di Orbán, come l’inchiesta sugli acquisti immobiliari finalizzati da alcuni ministri proprio durante la pandemia e quella sui fondi allocati da Budapest alle organizzazione delle minoranze magiare nei paesi limitrofi (670 milioni di euro in dieci anni). 

Nota Berardi: «I pochi media indipendenti presenti oggi in Ungheria si stanno dotando di sezioni o approfondimenti in lingua inglese, ritenendoli indispensabili per comunicare al mondo esterno quanto avviene in Ungheria. Credo che la diffusione di questi contenuti abbia influenzato la scelta di DW e RFE di tornare a trasmettere in ungherese».

Leggendo che due realtà simbolo del fu mondo libero ricominceranno a operare in Ungheria, che solo tre decenni fa si divincolava dal Patto di Varsavia, la sensazione di déjà-vu scatta automatica.  

Ad accrescere l’impressione di essere ripiombati in una sorta di spin-off inatteso della Guerra fredda ha contribuito anche Zoltán Kovács, il portavoce del governo ungherese, che in un intervento su un sito governativo, ha etichettato l’iniziativa di DW come motivata politicamente. 

Le sue parole danno una sintesi efficace della tattica degli orbaniani, sintetizzabile in: mistificare, negare, attaccare. Scrive Kovács: «Che tipo di contributi produrrà Deutsche Welle in ungherese? Trasmissioni sulla storia del Novecento in Europa? No. Una rilettura del colonialismo in Africa? No. Le biografie di Marx, Engels e altri eminenti innovatori tedeschi? Oh, bene. L’emittente pubblica tedesca si lancia in una piccola avventura transnazionale per raccontarci ’storie vere’. Giusto in tempo per le elezioni del 2022. Niente di più di un pizzico di imperialismo culturale tedesco. Cosa può andare storto?». 

In altra sede, sempre Kovács ha sostenuto che l’evoluzione del comparto mediatico ungherese sarebbe influenzata soltanto dal mercato, e non da forze esterne. Secondo lui, questo è il motivo per cui «storie che riguardano le comunità LGBT o i diritti di altre minoranze non appaiono così tanto spesso quanto vorrebbe la televisione pubblica tedesca». 

Concetti e toni inusuali tra diplomatici di questo calibro, ma marchio di fabbrica, ormai caratteristico, dell’intelligentsia orbaniana, maestra nell’arte di occultare le proprie ripetute e documentate azioni liberticide spacciandosi per eterna vittima delle prevaricazioni delle potenze esterne, ieri come oggi.  

Una tattica ben esemplificata da una concitata intervista che Kovács concesse proprio a DW nel 2017. 

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