Onda verdeIl ritorno degli scioperi di Fridays For Future: «Basta false promesse»

Gli attivisti sono tornati di nuovo in strada dopo mesi di proteste online. A Bruxelles hanno installato un orologio davanti alla Commissione Europea con il conto alla rovescia prima che sia troppo tardi per rimediare. La leader del movimento belga a Linkiesta: «Politiche Ue non all’altezza»

Vincenzo Genovese

«Il Coronavirus è il sintomo. È il clima la malattia». Hanno le idee chiare i giovani attivisti di Fridays For Future: mentre in tempo di pandemia le generazioni più grandi protestano contro chiusure e lockdown, il loro sguardo è fisso sull’emergenza climatica. Venerdì 19 marzo le loro manifestazioni sono tornate vive e rumorose in oltre 700 città del mondo, dopo mesi di scioperi solo online.

Ora invece la rete si riempie di foto colorate, di bandiere e di canzoni cantate in coro: come a Bruxelles, dove centinaia di studenti di scuole superiori e università gridano il loro malcontento verso l’inazione dei governi sul tema ambientale. “Giustizia climatica” è la parola d’ordine, il concetto per cui ogni essere umano ha il diritto inalienabile di vivere in condizioni climatiche accettabili.

Vogliono che la crisi dettata dal riscaldamento globale venga trattata come tale e che la politica si affidi alla scienza. Ma la loro non è una vaga protesta ecologista. Al contrario, i membri di Fridays For Future mettono in campo richieste precise, ben dirette anche verso l’Unione Europea. «Finora le politiche dell’Ue non sono in linea con gli obiettivi ambientali da raggiungere. Vogliamo l’istituzione di un Consiglio Climatico indipendente, che definisca una legge sul clima operativa in tutta Europa», dice a Linkiesta Anuna De Wever, coordinatrice della sezione belga del movimento e amica personale di Greta Thunberg.

Proprio la Climate Law, varata dalla Commissione e celebrata dalle istituzioni comunitarie come un passo storico, è nel mirino degli attivisti:  «Se vogliamo affrontare seriamente il problema dobbiamo fissare i giusti obiettivi», spiega l’attivista, sottolineando la necessità di identificare in ogni ambito del cambiamento climatico i cosiddetti tipping point, quelle soglie che, se superate, costituiscono un punto di non ritorno per l’ecosistema.

Da tempo il movimento chiede l’applicazione di un carbon budget, cioè di un calcolo delle emissioni massime di CO2 che l’umanità si può permettere per conservare ragionevoli speranze di restare entro i limiti di riscaldamento del pianeta fissati dall’Accordo di Parigi.

Con attenzione ai risvolti ambientali sono esaminate anche le politiche commerciali dell’Unione: da queste parti, ad esempio, godono di pessima popolarità sia la Politica Agricola Comune (PAC) che l’accordo di libero scambio firmato tra Europa e Paesi del Mercosur nel giugno 2019 e ora atteso dalle ratifiche dei parlamenti nazionali e da quello comunitario.

Anuna De Wever crede che sia un pessimo affare sia per gli europei che per i sudamericani: ettari di foresta amazzonica verranno disboscati per produrre alimenti che attraverseranno l’Atlantico a forza di combustibili fossili e taglieranno le gambe ai produttori locali dei Paesi europei. «L’unico modo che abbiamo per influenzare chi prende le decisioni è continuare a fare pressione. Saremo nelle strade finché non verremo ascoltati».

Vincenzo Genovese

I palazzi Bruxelles sono tutt’altro che impermeabili alle loro richieste. A marzo 2020 una delegazione del movimento è stata accolta dalla Commissione Europea e Greta Thunberg ha avuto la possibilità di parlare alla Commissione Ambiente del Parlamento Europeo. Con la giovane attivista svedese, De Wever ha condiviso numerosi incontri con i governi europei, tra cui quello in videoconferenza con l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte la scorsa primavera.

In alcuni casi si tratta di semplice auto-promozione e tentativi di greenwashing, spiegano gli attivisti, in altri c’è reale ascolto e collaborazione. Il gruppo Verdi/Ale del Parlamento Europeo inserisce ogni anno nel suo organico due rappresentanti dei Fridays For Future. Attualmente tocca a Marco Pitò, 21enne di Alcamo, in provincia di Trapani, trasferitosi a Bruxelles.

Per la giornata di oggi ha allestito con il suo team un grande orologio davanti alla sede della Commissione Europea, che marca un inquietante conto alla rovescia. «Serve a ricordare il tempo che abbiamo a disposizione prima che le conseguenze del cambiamento climatico diventino irreversibili», racconta a Linkiesta.

Il climate clock segna meno di sette anni per raggiungere la neutralità nelle emissioni di anidride carbonica. Per stare nei tempi, non è sufficiente tagliarle del 55%, sostengono gli attivisti. «L’Europa ha fissato degli obiettivi insufficienti, troppo spostati in avanti nel tempo. Siamo stanchi delle false promesse, vogliamo azioni vere».

Marco sciopera per il clima ogni venerdì da oltre 130 settimane e insieme a tanti suoi coetanei si incammina ai bordi della strada, trafficatissima di auto, che dalla Commissione porta al ritrovo della manifestazione. Qualcuno in bicicletta, gli altri a piedi, sono arrivati in treno da ogni parte del Belgio: felici di poter tornare a fare squadra di persona ma molto attenti a indossare sempre la mascherina. «Non era facile gestire un ritrovo di queste dimensioni in mezzo a una pandemia», dicono gli organizzatori. Ma non ci sono intemperanze, né interventi delle autorità: i ragazzi si limitano a cantare i loro slogan (I combustibili fossili devono sparire è di gran lunga il più gettonato) e danno briglia sciolta alla fantasia con giochi di parole come “EU break my Earth”, un’accusa ambientalista all’Unione Europea che si legge quasi come “mi spezzi il cuore”.

C’è chi si è vestito da tartaruga per richiamare l’attenzione sulla lotta per la sopravvivenza nell’antropocene e chi scherza (ma non troppo) sul fatto che con il riscaldamento globale al Belgio mancherà la materia prima per le adorate patatine fritte.

Tra le tante facce giovani, anche qualche anziano, che armato di cartello manifesta il proprio supporto alla loro causa.

Di due cose sono profondamente convinti i partecipanti ai Fridays For Future: che la crisi ambientale debba essere in cima alle preoccupazioni dei governi anche durante la pandemia e che la lotta per il clima debba combattersi su scala internazionale.

Come spiega Cato, una giovane attivista universitaria di Lovanio, la sua generazione non è soddisfatta perché le scelte adottate dai “grandi” sull’ambiente sono poco ambiziose. Ai politici che vedranno questi ragazzi manifestare riserva un messaggio: «Dite sempre che volete rendere il mondo un posto migliore. Dimostratecelo».

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