Accordo sul climaIl Consiglio europeo promette il 55% di emissioni in meno entro il 2030, ma per gli ambientalisti non basta

Bruxelles esulta per un accordo che migliora gli obiettivi ambientali. Per attivisti ed eurodeputati, però, non è sufficiente: bisogna arrivare almeno al 60%

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Per Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, è la mossa che rende l’UE leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico. Per Ursula von der Leyen, che guida la Commissione, è il modo migliore di festeggiare il compleanno del suo Green Deal europeo. L’intesa trovata dai 27 Capi di Stato e di governo per tagliare il 55% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 regala un altro momento storico all’integrazione europea e ai suoi protagonisti. Ma non tutto ciò che luccica nei palazzi di Bruxelles è oro: in molti criticano un target poco ambizioso e un conteggio annacquato, non in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.

L’accordo al Consiglio Europeo
Attanagliata dall’incertezza sulla Brexit e faticosamente scampata allo stallo sul bilancio, l’Unione Europea può rivendicare una svolta fondamentale per il futuro del pianeta. Dopo una maratona notturna di trattative, i capi di Stato e di governo si sono impegnati a ridurre le emissioni prodotte sul territorio comunitario del 55%, alzando l’asticella dalla soglia del 40% attualmente prevista.

La data dell’accordo è anche molto simbolica. Esattamente un anno fa, la Commissione adottava il Green Deal europeo, che a sua volta marca un anniversario importante. Ursula von der Leyen svelò l’11 dicembre 2019 la strategia per rispettare gli impegni presi all’accordo di Parigi sul clima, il cui anniversario cade il 12 del mese.

Il tempismo, sicuramente, è perfetto: von der Leyen si presenta con questa medaglia sul petto al Climate Ambition Summit, la conferenza che si tiene sabato 12 in remoto fra i leader mondiali, proprio per tracciare un bilancio degli obiettivi ambientali e preparare la Cop 26 di Glasgow.

Il contenuto dell’intesa, invece, appare innovativo, ma forse non abbastanza ambizioso. Il Consiglio Europeo approva una riduzione delle emissioni nette di gas a effetto serra del 55% rispetto ai livelli del 1990, confermando la proposta della Commissione. C’è una promessa (piuttosto vaga) di raggiungere questo obiettivo in modo solidale, senza lasciare indietro nessuno dei 27. Ma soprattutto ci sono il sostegno al carbon border adjustment mechanism, pensato per tassare i prodotti extra-comunitari realizzati in modo non sostenibile, e l’impegno di destinare il 30% del bilancio UE e del Next Generation EU alla causa ambientale.

Il problema cruciale era quello di fissare un obiettivo comune per Paesi con livelli di partenza molto diversi: alcuni Stati UE dipendono per il loro fabbisogno energetico dalle miniere di carbone, altri procedono spediti nella transizione ecologica. Il risultato è un accordo che rassicura tutti: gli sforzi verranno suddivisi equamente con un regolamento ad hoc, l’Effort Sharing Regulation.

Secondo i diplomatici presenti ai negoziati, sono state Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca ad esprimere le riserve maggiori, chiedendo rassicurazioni sul supporto finanziario europeo alla loro conversione energetica. Per vedere cosa cambierà in concreto per ogni singolo Paese bisognerà comunque aspettare la determinazione dei nuovi target di riduzione nazionali, comunicati all’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del cambiamento climatico (UNFCCC) entro la fine dell’anno.

Voci critiche dal Parlamento
Se al Consiglio e alla Commissione si stappano bottiglie, dalle parti del Parlamento Europeo la reazione non è altrettanto entusiasta. Il presidente David Sassoli non si è unito alla celebrazione su Twitter, mentre alcuni eurodeputati si sono detti molto delusi dal risultato del dialogo.

«Il Consiglio è molto meno ambizioso del Parlamento su questo tema», dice a Linkiesta Jytte Guteland, socialista svedese relatrice all’emiciclo della Legge sul clima. Con il voto del 7 ottobre, l’Eurocamera chiedeva una riduzione del 60% di emissioni entro il 2030 e la fine dei sussidi per l’estrazione di combustibili fossili, punto di cui non c’è traccia nelle conclusioni del Consiglio (anzi, il gas viene definito “tecnologia di transizione”).

Non solo, lo stesso calcolo del 55% sarebbe truffaldino: «Noi chiediamo riduzioni tout court, non riduzioni nette». Una differenza fondamentale, come spiega la deputata. Se si conteggia anche l’anidride carbonica assorbita in modo naturale (tramite la vegetazione) o artificiale (tramite i carbon sinks, tecnologia ancora da perfezionare), scende infatti la quota di emissioni realmente tagliate.

In questo modo la riduzione reale è del 52% circa secondo Michael Bloss, eurodeputato dei verdi tedeschi e shadow rapporteur della legge. «Con un trucco nel meccanismo di conteggio gli Stati Membri diminuiscono il loro impegno», afferma Bloss a Linkiesta, promettendo battaglia: «Dobbiamo fare di più per contrastare l’emergenza climatica e useremo i negoziati con il Consiglio per migliorare la loro proposta. È il nostro dovere verso chi ci ha votato».

Considerando che alcuni gruppi del Parlamento chiedevano una riduzione del 65% (Verdi) o del 70% (Sinistra unitaria europea), non sarà semplice trovare un punto d’incontro. La critica mossa ai leader nazionali è che con questi numeri l’UE ha scarse possibilità di attenersi all’Accordo di Parigi, il quale punta a limitare l’aumento medio della temperatura mondiale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e, in second’ordine, a mantenerla perlomeno ben al di sotto dei 2 gradi.

Sulla base di complesse elaborazioni, l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’Onu (Ipcc) studia dei modelli per stabilire le riduzioni necessarie a rispettare la tabella di marcia. I risultati sono condizionati da moltissime variabili, il monitoraggio è costante e ogni anno viene stilato un rapporto: l’Emissions Gap Report 2020 segnala che, alle condizioni attuali, la temperatura globale crescerebbe di 3 gradi entro la fine del secolo. Uno scenario disastroso, evitabile solo con il raggiungimento il prima possibile di una neutralità climatica globale (livello di emissioni prodotte uguale o inferiore a quelle assorbite).

Per quanto riguarda l’UE, questo si traduce nella necessità di un taglio del 65% entro il 2030, secondo i calcoli della più importante coalizione di Ong ambientaliste d’Europa, Climate Action Network.

Solo così si avrebbero chances consistenti di arrivare alla neutralità climatica nel 2050 e restare in traiettoria per non sforare gli 1,5 gradi. Una visione condivisa anche dalle attiviste di Fridays for Future, che seguono da vicino i lavori delle istituzioni europee e hanno lanciato la campagna #fightfor1point5. «Gli obiettivi climatici europei devono essere fissati molto più in alto».

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