La pandemia ha scatenato una grave crisi economica e sociale in tutta l’Europa, uno dei continenti più colpiti dall’emergenza sanitaria. L’opinione pubblica si è spesso mostrata scettica verso l’approccio comunitario alla gestione del problema e più di una volta sono fioccate critiche all’approccio tentato dai governi nazionali, perlopiù di tendenza moderata. Il paradosso, però, è che la destra radicale europea, afferente al movimento sovranista, non è riuscita a trarre vantaggio dalla situazione e ha spesso subito un ridimensionamento in termini di consenso elettorale. Il prolungarsi dell’emergenza sanitaria e la durata della seconda ondata rischiano, però, di dare nuove energie ai sovranisti che già guardano, con attenzione, alla fase di ricostruzione post-pandemica.
La gestione della pandemia da parte del governo francese sta provocando disillusione e rabbia negli elettori. Si tratta di una miscela esplosiva che potrebbe deflagrare nel 2022, in occasione delle elezioni presidenziali che vedranno sfidarsi il Capo di Stato Emmanuel Macron e Marine Le Pen, alla guida del Rassemblement National. La destra radicale tende a ottenere buoni risultati alle consultazioni ma non è mai riuscita a sfondare e a conquistare l’Eliseo. I sondaggi, però, dicono che questa volta potrebbe farcela e la accreditano di un 47-48 per cento delle intenzioni di voto, più del 34 per cento raggiunto nel 2017. Marine Le Pen ha fatto molto, negli ultimi anni, per moderare la propria immagine. Non è più schierata in favore dell’uscita dall’Unione Europea e dall’Euro ma preferisce una riforma interna e ha aperto all’ambientalismo.
La popolarità del presidente Macron è in calo e secondo un sondaggio realizzato da IFOP per il Journal de la Dimanche non supera il 37 per cento. Il Capo di Stato ha cercato di posticipare il più possibile le nuove restrizioni, ha definito il lockdown come l’ultima spiaggia e ha agito, secondo i critici, troppo tardi. Marine Le Pen può sconfiggerlo ma non può riuscirci da sola e per farlo dovrà tessere una tela con ciò che resta della destra moderata francese dei Républicains e dovrà riuscire a far convivere, anche a livello culturale, le tante anime della destra.
Le elezioni parlamentari nei Paesi Bassi hanno visto la riconferma del Partito Popolare per la Libertà e Democrazia, centro-destra, dell’ex primo ministro Mark Rutte. Le consultazioni erano viste come un referendum sulla risposta del governo olandese alla pandemia da Covid-19. La massiccia risposta popolare lascia poco spazio ai dubbi mentre il Partito della Libertà (PVV), guidato da Gert Wildeers, è stato ridimensionato e ha ottenuto appena 17 seggi sui 150 a disposizione (contro i 20 del 2017). La retorica anti-immigrazione di Wildeers non ha convinto gli elettori che hanno scelto di affidarsi a Rutte per cercare di tornare, quanto prima possibile, alla normalità.
La perdita di consenso del PVV non dovrebbe essere presa come un’indicazione del declino della destra radicale olandese perché ci sono altri partiti conservatori che sono riusciti a espandere il proprio bacino elettorale. Si tratta del Forum per la Democrazia (FvD) dell’istrionico intellettuale Thierry Baudet che ha triplicato i propri seggi passati da 3 a 8 e del JA21, formato da dissidenti del FvD, che si è accaparrato tre scranni. La forza complessiva della destra radicale è così passata dai 23 seggi del Parlamento uscente a 29 e dal 15 al 18 per cento dei voti. La frammentazione rischia, però, di rivelarsi un problema per questi schieramenti politici e non è chiaro se le ingombranti personalità dei leader potranno consentire una qualche forma di cooperazione.
A Berlino l’estrema destra di Alternativa per la Germania (AfD) è in difficoltà. Il partito non è riuscito a trarre beneficio dai movimenti, piuttosto variegati, che si sono formati contro le restrizioni del coronavirus e i sondaggi lo vedono arretrare dal 12.6 per cento dei voti ottenuto nel 2017 all’attuale 11 per cento. La stagnazione politica è anche dovuta all’espulsione eccellente di un esponente come Andreas Kalbitz, avvenuta nel maggio del 2020 e a un certo ostracismo mostrato nei confronti del partito da parte delle autorità. Questi sviluppi, uniti alla tentata invasione del Bundestag da parte di alcuni estremisti di destra, hanno bloccato la crescita di AfD, che attualmente è il più grande partito politico di opposizione al governo guidato dalla Cancelliera Angela Merkel. Il partito, che nel 2019 ha fatto campagna elettorale cercando di sfruttare la delusione dei tedeschi dell’Est in merito alla riunificazione, non sembra poter avere un futuro. Tutti i partiti politici hanno vietato ogni forma di cooperazione con AfD e questo sviluppo relega il partito ai margini dello scenario politico tedesco.
Il Partito della Libertà Austriaco (Fpö) è alle corde dopo il deludente risultato delle elezioni del 2019, quando aveva ottenuto il 16.1 per cento dei voti contro il 26 per cento delle consultazioni precedenti. Nell’ottobre del 2020 lo scenario si è ripetuto quando a votare sono stati gli elettori di Vienna, particolarmente importante perché abitata da quasi 2 milioni di austriaci su una popolazione di 8.8 milioni di abitanti. Il Partito Popolare del cancelliere Sebastian Kurtz ha cannibalizzato le posizioni politiche dell’Fpö, dall’immigrazione alla sicurezza sociale e lo ha fatto precipitare dal 30.8 al 7.5 per cento dei voti. Il Partito della Libertà, minato da una serie di divisioni interne e da una base elettorale sempre più apatica, è stato privato dei suoi cavalli di battaglia elettorali dalla crisi del coronavirus e in un certo senso ha perso la sua anima (senza riuscire a ritrovarla).
In Belgio gli ultranazionalisti del Vlaams Belang hanno raggiunto il loro massimo storico, con il 26.3 per cento dei voti, alle elezioni del 2019. Nell’ottobre del 2020 un sondaggio ha certificato il primo posto raggiunto dal partito per quanto riguarda le intenzioni di voto e il superamento dei nazionalisti fiamminghi dell’N-Va. Il movimento ha abbracciato, nell’ultimo periodo, un linea politica più moderata, cerca di presentarsi come un partito in grado di governare e guarda con interesse alle elezioni legislative del 2024. L’obiettivo è quello di rompere il cordone sanitario che gli ha impedito di assumere responsabilità di governo e per farlo bisogna evitare di assumere posizioni controverse. Nessuna dichiarazione eclatante e nessun occhio strizzato ai No-Vax, dunque, anche per non inimicarsi quella parte di elettorato più anziano che può consentirgli di espandere e allargare la propria base.
Il partito di estrema destra spagnolo Vox è stato accreditato del 15 per cento dei voti da un sondaggio recentemente realizzato dal Centro di Investigazione Sociologica. Secondo l’inchiesta demoscopica ci sono buone possibilità che il movimento possa raggiungere il Partito Popolare, di centro-destra, che sfiora il 18 per cento dei voti. Vox non ha mai fatto mistero di essere contrario alle restrizioni introdotte contro il coronavirus dal governo spagnolo e anche durante il lockdown della primavera del 2020 ha coordinato un’imponente manifestazione svoltasi nel centro di Madrid. Le elezioni anticipate che si svolgeranno a maggio nella capitale spagnola potrebbero fungere da trampolino di lancio per Vox. La governatrice uscente Isabel Diaz Ayuso, conservatrice, avrà bisogno del supporto del partito per poter governare in caso di vittoria e le luci della ribalta di Madrid potrebbero rivelarsi solo il primo passo di una vera e propria scalata verso il potere a livello nazionale.
I Democratici Svedesi, ideologicamente vicini alla destra radicale, hanno provato a sfruttare la crisi sanitaria determinata dal coronavirus in chiave nazionalista. Secondo il partito, infatti, le colpe dei problemi che si sono venuti a creare sono da imputare agli immigrati e al multiculturalismo svedese. A Stoccolma, ultimo baluardo dei contrari a lockdown e restrizioni, la lotta all’immigrazione sembra pagare. I Democratici Svedesi sono riusciti a mantenere intatto il proprio capitale di voti che nel 2018 ammontava al 17.6 per cento degli aventi diritto e oggi è stimato al 17.9 per cento.