Questa storia inizia a Cuernavaca, in Messico, nel febbraio del 2000. In un centro congressi forse un hotel di lusso – un gruppo di scienziati sta discutendo, un poco pigramente, come spesso avviene in queste occasioni. Poi un commento, quasi scherzoso, di uno dei partecipanti riscuote e risveglia la platea.
A parlare non è l’ultimo arrivato ma uno scienziato noto, Paul Crutzen, già insignito del premio Nobel per la Chimica per i suoi studi sul ciclo dell’ozono. La parola magica che scuote il convegno è «Antropocene».
Lo stesso Crutzen, raccontando quel momento, scriverà: «L’idea nacque per caso, nel corso di una riunione dell’Igbp (International Geosphere-Biosphere Programme) che si teneva la mattina del 22 febbraio 2000 a Cuernavaca, in Messico. Chi presiedeva la riunione stava parlando dell’attività umana nell’Olocene, quando io lo interruppi per osservare che l’Olocene era tramontato e ormai eravamo nell’Antropocene».
Crutzen, in quella occasione, usa il termine «Antropocene» per sottolineare che la Terra si trova in una nuova fase storica, in cui l’uomo è in grado di modificare gli equilibri climatici, geologici, biologici e chimici del sistema.
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Questa situazione è una novità per la Terra: mai nella sua storia di più di 4 miliardi di anni una sola specie è stata in grado di influenzare, da sola, le principali dinamiche del pianeta. E di farlo così rapidamente.
A noi uomini sembra a volte poco credibile questo scenario, ma è necessario rapportare i cambiamenti alle giuste scale temporali e spaziali. La Terra ha poco più di 4,5 miliardi di anni, l’ossigeno in atmosfera ha fatto la sua comparsa circa 2,5 miliardi di anni fa, i primi mammiferi risalgono a 200 milioni di anni fa e l’uomo (Homo sapiens) è comparso tra i 200.000 e i 300.000 anni fa.
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L’umanità si trova di fronte a una sfida epocale e siamo davanti a un bivio. La sfida è trovare una modalità tale per cui i progressi che come specie abbiamo compiuto non vadano a scapito delle generazioni future e delle milioni di specie che assieme a noi sono oggi in questo mondo.
Riconoscere l’Antropocene significa, allora, osservare un fatto scientifico (fondamentale, perché rappresenta la base di conoscenza su cui possiamo prendere molte decisioni). Ammettere che oggi l’umanità è in grado di muovere equilibri che mai una specie sola ha saputo modificare consapevolmente non vuol dire affermare che la natura è morta, come imprudentemente qualcuno ha detto. Soli in questo mondo abbiamo la responsabilità delle nostre azioni.
Le immortali parole di Kant – «Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me» – nei giorni dell’Antropocene sono ancora più valide: il cielo stellato, la natura, c’è ancora, ed è la nostra legge morale che ci può dare la forza e l’impulso a difenderla e a preservarla per le generazioni future. I momenti di crisi possono rappresentare un’occasione di sviluppo.
È una frase quasi abusata, ma sicuramente vera per l’Antropocene. Siamo giunti a questo punto avendo costruito noi una nuova nicchia ecologica, ma i limiti dell’approccio passato sono emersi con chiarezza. E sappiamo per certo che domani saranno ancora più forti. Dunque, la crisi attuale, che seppur grave non è ancora completamente drammatica (a parte forse il pauroso gorgo di estinzioni), deve essere il punto di svolta per la costruzione di una nuova nicchia.
Le nuove tecnologie devono essere un alleato importante per ottenere manufatti riciclabili, cibi con una minore impronta ecologica e avviare il mondo a un’economia dell’astronauta e non più dei cowboy.
Ci vuole fiducia in quanto l’umanità può fare, e una sana dose di realismo per evitare che una nuova tecnologia o un nuovo manufatto – adottati ignorandone le potenziali controindicazioni o senza tener conto dei limiti del sistema Terra – si rivelino l’ennesimo disastro.
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Abbiamo attualmente un’ampia consapevolezza della situazione, molte competenze tecniche e scientifiche, un settore crescente dell’economia e della società che richiede di abbracciare il percorso della sostenibilità e di intraprendere le azioni necessarie per contenere le crisi ambientali che contraddistinguono l’Antropocene. Ci serve la volontà.
Secoli fa, in alcuni versi immortali, Dante ricordava l’importanza e la rilevanza di poter guardare lontano, oltre l’immediato: «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, per giudicar di lungi mille miglia con la veduta corta d’una spanna?» (Paradiso, XIX, 79-81).
Ora questo sforzo tocca a noi. Guardiamo oltre l’orizzonte delle prossime elezioni o della prossima relazione trimestrale di cassa. Scegliamo con prudenza e intelligenza le nuove tecnologie che ci possono dare una mano, senza cadere nell’illusione che le scoperte future ci potranno salvare, per cui ora possiamo crogiolarci nell’inazione.
L’epoca dell’Antropocene ci dice che questo è il momento dell’azione.
Emilio Padoa-Schioppa, Antropocene, Il Mulino, pp. 168, 12 euro