L’ora più buiaPerché la seconda ondata è stata quella del rancore

Non è svanita la solidarietà che aveva segnato la prima parte del 2020, ma è stata messa a tacere. Come scrive Vittorio Emanuele Parsi in “Vulnerabili” (Piemme) l’ostilità diffusa e irrazionale discende da una politica che per troppi mesi è sembrata in balìa degli eventi (e ora si spera che cambi)

Immagine di Daniel Ramos, da Unsplash

La speranza oltre il rancore. È questo l’auspicio che dovremmo fare a noi stessi, consapevoli che possa finire col sembrare un gioco di specchi, o un trompe l’oeil. Eppure basta assistere all’astio, alla cieca furia con cui i “veri (non) credenti” nell’efficacia dei vaccini anti Covid-19 si sono scagliati non contro Pfizer o Astra-Zeneca – le multinazionali produttrici di due dei primi vaccini autorizzati – ma contro Claudia, la sorridente e coraggiosa infermiera ventinovenne dell’ospedale Spallanzani di Roma, la prima vaccinata d’Italia – letteralmente ricoperta di insulti, in gran parte sessisti, manco a dirlo – per capire quanto rancore si sia accumulato nella nostra società, mentre la speranza sembrava svanire.

Quella della speranza, oltre il mare del rancore, è la nostra isola che non c’è – che non c’è ancora, dobbiamo voler credere.

Un nome che ricorda davvero quello di una lontana isola, annotato a mano su una carta nautica, di quelli con cui i marinai battezzavano qualche lussureggiante scoglio, scoperto, o magari riscoperto, dopo giorni e notti di burrasca, quando era servito un coraggio estremo per salire a riva, per raggiungere quei pennoni scossi dal vento, dove il colmo dell’onda era sinistramente più vicino di qualunque stella, e ridurre la tela.

Approdati per fare rifornimento di acqua e viveri freschi e per effettuare le riparazioni possibili, sapevano che di lì sarebbero dovuti salpare nuovamente, se volevano far ritorno a casa. Ma la quiete che prendeva il posto dell’eccitazione organizzata non cancellava l’esperienza accumulata, troppe volte anche al costo della vita di qualche compagno. E per quanto, alla fin fine, l’unica cosa che contava davvero fosse tornare, nessuno al ritorno sarebbe rimasto come prima.

Anzi, per poter sperare di rivedere casa occorreva lasciarsi trasformare dalla navigazione intrapresa, apprendere perché – come dice il poeta – Ithaca, dobbiamo lasciarla per poterla ritrovare: lei immutata, noi trasformati.

È stupefacente, però, quanto il rancore abbia pervaso la seconda fase della pandemia, qui in Italia, ma sicuramente non solo qui.

La solidarietà che ci aveva così tanto e positivamente sorpreso, e in parte anche inorgoglito – ammettiamolo – prima dell’estate 2020 non è svanita. Però è palpabile la differenza, la minore “simpatia”, intesa proprio come capacità di condivisione del dolore: un rancore cupo, sordo, a tratti livido, dal quale neppure gli imprenditori politici dell’odio sono riusciti a trarre profitto. Non ne sono stati travolti, ma ne sono usciti ridimensionati. In certi momenti si sono dovuti persino ritrarre di fronte a un sentimento così impetuoso, come impauriti, in un attimo di sconcertata, e passeggera, onestà intellettuale. Qualcuno anche a costo di incredibili e, forse, insinceri riallineamenti.

Perché il rancore? Cercheremo di capirlo insieme, ma occorre subito precisare che la durata e la severità della prova non bastano a spiegare il dilagare sommerso di questo sentimento. Ciò che ha scatenato il rancore è stata l’assenza percepita di una salda azione di governo a tutti i livelli territoriali.

Il rancore si è manifestato mentre la politica tornava a mostrare tutti i suoi limiti. Come abbiamo già accennato, è stata proprio la forte connotazione politica – pressoché assente nella Fase 1 – a segnare la principale differenza tra la primavera 2020 e il 2021 che, mentre scrivo, si è aperto senza che ancora potessimo provare la rassicurante sensazione di lasciarci la pandemia alle spalle.

Ed è il fallimento della politica a determinare la sensazione di essere stati abbandonati a noi stessi e a far prepotentemente riemergere uno dei nostri tratti peggiori, che spesso è anche ciò che sappiamo fare meglio: dividerci e pensare innanzitutto a noi stessi.

Su una nave senza comando, l’ammutinamento è spesso una presa d’atto, prima ancora che un atto deliberato di volontà. «Si salvi chi può!» (e chi non può crepi), tanto più quando si è convinti che chiunque sia in plancia – poco importa se il comandante Bligh o il signor Fletcher – non sappia davvero tracciare la rotta, per cui la sorte del nostro Bounty è comunque segnata.

Non sostengo, e non argomenterò, che il rancore abbia alla fine prevalso sulla solidarietà. Ma sono convinto che ci siamo andati maledettamente vicini e che potremmo ancora colare a picco.

La carenza di leadership di fronte alla pandemia mi sembra essere stato il tratto comune delle società nelle quali il rancore è montato maggiormente. Penso all’Italia e agli Stati Uniti di Trump. E, all’opposto, penso alla Germania di Angela Merkel.

Non è una semplice questione di efficacia della gestione, intesa esclusivamente come bontà dei risultati prodotti.

Gli Stati Uniti hanno cumulato record spaventosi in termini di morti e di diffusione del contagio; quelli italiani sono stati comunque tra i peggiori d’Europa, soprattutto nella seconda fase. Ma anche i tedeschi hanno conosciuto una seconda fase decisamente disastrosa rispetto alla prima.

Eppure, per la Germania, la sensazione è stata quella di un paese la cui leadership ha tenuto: anzi, per molti aspetti è stata esaltata dalla straordinarietà della crisi. Non si può certo dire lo stesso nel caso degli Stati Uniti sotto la presidenza Trump, che non a caso nel 2021 affidano le proprie speranze a un ben diverso presidente e a un ben diverso
staff.

© 2021 – Mondadori Libri S.p.A., Milano

Pubblicato su licenza di Mondadori Libri SpA per il marchio Piemme

da “Vulnerabili. Come la pandemia sta cambiando la politica e il mondo. La speranza oltre il rancore”, di Vittorio Emanuele Parsi, Piemme, 2021, pagine 208, euro 16,90

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