Ambizioni ridotteIl totale fallimento delle politiche green della Russia

Il governo di Putin nel 2019 ha accettato di ratificare l’accordo di Parigi, ma da allora poco è cambiato e le aziende, come Rosneft e Gazprom, continuano a emettere livelli pericolosi di gas serra

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La Russia ha un problema con il cambiamento climatico. Ma sopratutto con la conversione green. Malgrado tutto il mondo stia procedendo in direzione della lotta ai cambiamenti climatici, transizione ecologica e green, alla Federazione Russa non sembra essere interessata alle nuove istanze e alla nuova policy globale. A denunciarlo è un report svolto dal Foreign Policy Research Institute.

Dentro gli accordi internazionali, ma con ambizione ridotta. Questo è l’approccio storico della Russia al problema clima. Nel frattempo il Paese si riscalda più degli altri, e l’infrastruttura economica incentrata sui combustibili fossili la espone a rischi interni ed esterni.

Nel 2019, si legge nel documento, la Russia si è classificata al quarto posto per emissioni annuali di carbonio e il più grande produttore di gas del Paese, Gazprom, è stato il terzo più grande emettitore di gas serra industriali tra il 1988 e il 2015, dietro Saudi Aramco e il carbone cinese. Nel frattempo, strade, oleodotti e ferrovie nelle città artiche russe stanno affrontando un rischio maggiore di fallimento a causa del clima caldo.

Le ultime due estati hanno visto immensi incendi propagarsi a nord e oriente. Spinti dalle temperature più alte mai registrate all’interno del circolo polare artico (38°C lo scorso giugno), un’area più grande della Grecia è andata in fumo. E così facendo, ha rilasciato grandi quantità di CO2, e inquinato l’aria in un singolo mese più di quanto fatto nei 18 anni precedenti.

Inoltre, molte delle infrastrutture delle zone artiche rischiano di collassare a causa del cedimento del permafrost (che contiene più anidride carbonica di quanto rilasciata dall’umanità finora, e anche una grande varietà di patogeni, batteri e virus).

«È importante esaminare criticamente sia gli impegni che l’attuazione delle politiche rivolte al clima nelle industrie petrolifere e del gas russe, che sono destinate ad aumentare i livelli di produzione», spiega Benjamin Cooper, del Foreign Policy Research Institute. Il governo russo e Putin, dopo anni di inazione e, a volte, tacita negazione, nel 2019 ha accettato di ratificare l’accordo di Parigi. Sebbene non vi sia un’applicazione vincolante, ogni firmatario dell’accordo ha presentato un documento di contributo determinato a livello nazionale (NDC) che delinea gli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (GHG).

Così in un decreto presidenziale del novembre 2020, il presidente russo ha seguito la ratifica ordinando al governo di lavorare per centrare gli obiettivi previsti dal patto. Peccato che, si legge nel report, «le aziende russe, insieme al governo, continuano a emettere livelli pericolosi di gas serra. Di conseguenza, la Transition Pathway Initiative (TPI), uno strumento utilizzato dagli investitori per valutare la preparazione delle aziende alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, ha classificato il paese “criticamente insufficiente” nella lotta per limitare l’aumento della temperatura globale».

Di chi è principalmente la responsabilità? «Considerando che Gazprom e Rosneft, i più grandi produttori di petrolio della Russia, hanno registrato entrate combinate di 200 miliardi di dollari nel 2019, queste società hanno certamente la capacità di attuare cambiamenti significativi – ha specificato Cooper -. Nonostante ciò, le società energetiche russe non mostrano segni di rallentamento della produzione. Le sole risorse naturali in Russia costituiscono il 60% del prodotto interno lordo del Paese e, prima dell’inizio della pandemia COVID-19, la produzione russa di petrolio e gas aveva raggiunto livelli record».

Insomma, la Russia si muove poco e rimane uno dei più grandi produttori mondiali di petrolio e gas naturale. Questo immobilismo si contrappone alla crescente rilevanza del tema clima: la sensibilità dei cittadini russi è alta sul tema ambiente, ma soprattutto su quello della qualità dell’aria, che ancora uccide più di centomila persone ogni anno.

Nonostante ciò le politiche sul cambiamento climatico del governo russo rimangono tristemente inadeguate secondo molti gruppi di politica ambientale. Ad esempio, gli impegni dell’accordo di Parigi della Russia si basano sui livelli di emissione degli anni ’90, un anno prima della caduta dell’Unione Sovietica e della conseguente contrazione economica senza precedenti. Pertanto, il Paese ha tecnicamente già rispettato i suoi impegni e può, di fatto, consentire che le emissioni continuino a crescere e rimangano ancora al di sotto dei livelli degli anni ’90», si legge ancora nell’analisi.

The Climate Action Tracker (CAT), un’organizzazione che misura l’azione dei governi sul clima evidenzia come la politica energetica russa si concentri sull’espansione della produzione interna, un maggiore consumo di combustibili fossili e un aumento delle esportazioni di gas naturale, mentre gli investimenti nelle energie rinnovabili in Russia continuano a non essere all’altezza e non sulla buona strada per raggiungere i modesti obiettivi a breve termine.

Le società statali Gazprom e Rosneft, in aggiunta, stanno compiendo sforzi minimi o nulli per limitare l’aumento della temperatura globale. In qualità di più grande azienda energetica russa, Gazprom detiene una quota sostanziale delle riserve totali di gas mondiali e russe, rispettivamente il 16% e il 71%. Di recente, Gazprom ha implementato «progetti di sviluppo del gas su larga scala nell’Artico per soddisfare in ultima analisi la domanda di gas naturale della Russia e dell’Europa».

Un’azione grave che si combina con l’amministrazione, sempre di Gazprom, del controverso gasdotto Nord Stream 2, che mira a fornire gas naturale russo direttamente all’Unione europea attraverso la Germania. Un rapporto di fine 2020 delinea infatti la promessa di Gazprom di aumentare produzione di gas naturale liquefatto (GNL) per penetrare in nuovi mercati nonostante un rallentamento globale causato dalla pandemia Covid-19.

Secondo la Transition Pathway Initiative, le prestazioni in termini di carbonio di Gazprom non sono allineate con l’accordo di Parigi. Oltre a valutare le prestazioni di carbonio, il TPI quantifica l’integrazione della politica climatica da parte di un’azienda nel suo processo decisionale operativo. A questo proposito, Gazprom si classifica 3 su 4, il che indica che integra il cambiamento climatico nel processo decisionale. Tuttavia, a Gazprom mancano importanti parametri di riferimento per il riconoscimento aziendale del cambiamento climatico, come non divulgare un prezzo interno del carbonio e non riportare le emissioni Scope 3, la categoria di emissioni indirette che spesso costituisce la maggior parte delle emissioni totali di GHG di un’organizzazione. «Senza investimenti del governo russo nell’energia rinnovabile, non vi è alcuna motivazione per Gazprom ad agire sull’accordo di Parigi», puntualizza il dossier.

Stessa storia per Rosneft, guidata dal confidente di Putin, Igor Sechin. La società si è classificata al primo posto per fatturato tra tutte le società russe nel 2020, e secondo il rapporto annuale 2019 ha sviluppato promettenti progetti inerenti petrolio in Russia, ma anche in Egitto, Brasile, Iraq, Vietnam e Mozambico.

«TPI classifica Rosneft – si legge nel report – in modo simile a Gazprom in quanto la società non incorpora quasi nessuna valutazione strategica del cambiamento climatico nella sua politica aziendale. Gli impegni ambientali esistenti di Rosneft si concentrano sulla riduzione delle emissioni dall’attuale estrazione di petrolio e gas invece di diminuire la produzione complessiva. Sebbene le normative locali all’estero possano richiedere meno emissioni di gas serra rispetto alla Russia, la politica di Rosneft di aumentare la produzione non si tradurrà in conformità con Parigi». Neanche gli investimenti pianificati per 5 miliardi di dollari di Rosneft nel settore green nei prossimi 5 anni può essere considerato positivo secondo l’analista: «È un piccolo passo rispetto all’impegno dell’azienda per lo sviluppo del petrolio e del gas artico», continua il documento.

Insomma, «in qualità di principale emittente di gas serra e come una delle più grandi economie del mondo, la Russia ha l’obbligo di adottare politiche compatibili con Parigi per portare energia rinnovabile e una “transizione verde” in Russia. Un clima caldo, ad esempio, rilascerà nell’atmosfera i gas serra precedentemente intrappolati, influenzando notevolmente la Siberia e le regioni artiche della Russia. Tuttavia, la negligenza delle aziende energetiche e del governo russo riguardo al cambiamento climatico suggerisce che semplicemente non si preoccupano dell’inevitabile aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi climatici» conclude il report di Foreign Policy Research Institute.

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