L’Italia è uno dei Paesi europei con maggiori disponibilità d’acqua. Forse proprio per questo nel dibattito pubblico si riesce a sorvolare senza fare drammi sulla gran quantità di sprechi che avvengono ogni giorno per diversi motivi.
I dati Istat indicano un 42% di perdite sul volume totale immesso nella rete idrica. Cioè degli 8,2 miliardi di metri cubi d’acqua che passa in quei tubi ogni giorno circa 3,5 vengono dispersi. È uno spreco enorme in termini ambientali, di risorse, ma anche indice di una gestione inefficace e inefficiente.
Va messo in conto che nessun sistema di rete idrica può essere a perdita zero: normalmente nel settore si considera una quota tra il 5 e il 10% di perdita dell’acqua immessa nelle tubature, come se fosse una perdita naturale, che va presa per buona così com’è.
«Rispetto al 42% italiano però c’è una grossa quantità che si perde per altri motivi, e la maggior parte è dovuta a perdite fisiche, quindi a problemi dell’infrastruttura», dicono a Linkiesta dall’ufficio che ha redatto il rapporto Istat.
La rete idrica italiana è per lo più molto vecchia e gli enti che la gestiscono non fanno un’adeguata manutenzione. Secondo i dati Istat i gestori sono enti locali che hanno in carico il servizio o società specializzate (generalmente private o miste): «Di 2088 enti presenti sul territorio – dicono dall’Istituto di statistica – l’85% sono enti locali in economia, il 15% sono gestioni specializzate. Ma in termini di i volumi movimentati queste ultime gestiscono l’87% dei volumi d’acqua. Ad esempio a Roma c’è un unico soggetto che gestisce la capitale e tutta la provincia».
Per fare un punto sull’assenza pressoché totale di manutenzione Linkiesta ha parlato con Mario Rosario Mazzola, docente di costruzioni idrauliche dell’Università di Palermo e consulente del Governo per la selezione dei progetti del Recovery Plan italiano: «Dalle stime Arera sappiamo che la rete idrica dovrebbe essere cambiata completamente ogni 40 anni circa, ovviamente un pezzo per volta secondo esigenze, non tutta insieme. Quindi il tasso di cambio dovrebbe essere di circa 2,5% annuo. Ma in Italia abbiamo un tasso di cambio annuale della rete idrica dello 0,5 o forse anche un poco meno. Cioè siamo in linea per aggiornare per intero la rete idrica ogni 200 anni, o forse più».
I problemi dovuti all’infrastruttura sono la causa principale della perdita d’acqua, ma non l’unica. C’è una porzione – che l’Istat definisce “amministrativa” – che gioca la sua parte. Nella perdita amministrativa rientrano ad esempio gli errori tecnici dei contatori, che non sono necessariamente strumenti di misurazione impeccabili.
In altri casi l’acqua viene immessa nella rete idrica, ma si perde traccia dell’output. Magari perché erogata da chi è allacciato illegalmente all’infrastruttura. «Ad esempio in Calabria c’è una quantità impressionante allacci abusivi: abitazioni che hanno acqua e non pagano. Quindi dal punto di vista statistico quell’acqua si perde», spiega a Linkiesta Cataldo Calabretta, commissario liquidatore della Sorical, società mista a prevalente capitale pubblico regionale a cui è stata affidata la gestione degli schemi idrici regionali.
La Calabria è ricca d’acqua ma ha una pessima gestione del servizio idrico. Non solo per le perdite, in crescita da vent’anni e oggi leggermente sopra la media nazionale (45%). Ma anche per mancanza di capacità di contabilizzazione o di riscossione: «In Calabria vengono messi in rete ogni anno circa 400 milioni di metri cubi di acqua. Ma solo il 20% viene incassata. C’è una percentuale di oltre il 60% di morosità dei cittadini, che in alcune città arriva al 90%. Perché qui sono i Comuni a gestire la rete, nel resto di Italia sono i gestori del servizio idrico integrato a farlo. E le gestioni in economia comunali sono tutte in perdita», dice Calabretta.
La difficoltà nel contabilizzare non è un problema solo calabrese, ovviamente. E porta anche un altro problema: le stime vengono fatte spesso a spanne e, come ci hanno detto dall’Istat, «quando sono fatte così, per quanto pessimistiche possano essere, spesso risultano migliori di quello che poi mostra il misuratore. Notiamo che quando aumentano i misuratori in una zona, aumentano anche le perdite».
Nelle perdite idriche le differenze territoriali e infrastrutturali ripropongono la consolidata distanza Nord-Sud, con le situazioni più critiche concentrate nelle aree del Centro e del Mezzogiorno: il 96% circa della popolazione residente nelle Isole abita in province con perdite pari ad almeno il 45% contro il 4% del Nord-ovest.
«Ma il problema principale è la capacità manageriale di gestione, che non può essere legata solo alla geografia», dice Mazzola, spiegando che possono esserci differenze evidenti anche in territori vicini come Reggio Emilia («che ha una gestione efficiente, con perdite contenute intorno al 20%») e Parma.
Responsabile delle insufficienze delle reti, allora, è innanzitutto la cattiva gestione prolungata nel tempo, dovuta alla mancanza di gestori efficienti, incapaci di programmare, indipendentemente dalla natura pubblica o privata della loro proprietà.
«Per fare le reti serve solo un gestore bravo, ma non vale parlare di cultura imprenditoriale o gestionale del Nord. Prendiamo il caso di Enna, in Sicilia, che ha costi dell’acqua molto alta per i cittadini e ha numeri ottimi nella gestione e nel pagamento, quindi nel contenere le perdite. Non credo che ci siano molte differenze culturali rispetto a Reggio Calabria o Cosenza, che invece hanno perdite molto più alte», aggiunge Mazzola.
Ad ogni modo, quello delle perdite d’acqua nella rete idrica italiana non è certamente un problema nuovo, e il report pubblicato dall’Istat pochi giorni fa è allineato agli studi degli ultimi vent’anni.
«Il trend delle perdite è in costante crescita – concludono dall’Istat – e la serie storica conferma che si tratta di uno di quei problemi che non sono mai affrontati in maniera adeguata, o comunque mai risolti, nonostante i danni a livello di servizio per i cittadini, a livello infrastrutturale e ambientale».