I dati epidemiologici degli ultimi mesi mostrano un importante aumento degli accessi nei pronto soccorso degli ospedali di ragazzi e ragazze con manifestazioni di disagio psichico. In età evolutiva il disagio, il disadattamento e il disturbo psicologico si manifestano spesso attraverso funzioni mentali, comportamenti e stati emotivi non adeguatamente regolati o a rischio. È possibile che la difficoltà di regolazione delle emozioni e dei comportamenti sia presente tanto nell’adolescente “sano“ quanto in quello che inizia a manifestare le prime fasi di un disadattamento o di un disturbo. Non tutti arrivano in ospedale – e non tutti gli ospedali hanno reparti di neuropsichiatria infantile e personale formato a gestire crisi comportamentali complesse.
Questi ragazzi hanno tagli sulle braccia già segnate da cicatrici che scandiscono il tempo delle emozioni bloccate. Hanno mani traumatizzate dai pugni sferrati contro porte o muri. Manifestano segni di intossicazione acuta da alcol fino al coma etilico (binge drinking, drelfie, pub crawl, eyeballing, social drinking games, sono inglesismi più o meno criptici utilizzati per attribuire valore “epico” a comportamenti di abuso di alcol individuali e collettivi, accomunati dal grande rischio per la salute personale e per la quiete pubblica).
Questi ragazzi sono i reduci delle maxi risse giovanili convocate sui social per provare qualcosa: emozioni, dolore, sorpresa, rabbia, odio. Sono le vittime degli haters del web o del cyberbullismo invitati al suicidio. Sono ragazzi che mangiano male, non mangiano, si abbuffano di tutto, di cibo spazzatura, di droghe, di video spazzatura, di like sui social, di challenge pericolosi. Sono una parte della Next Generation, la generazione nei confronti della quale dovrebbero orientarsi le politiche di sviluppo del nostro Paese e le relative politiche di sostegno e assistenza.
L’adolescenza è quella fase della vita nella quale avviene, spesso con difficoltà, il passaggio dalla dipendenza dell’infanzia all’autonomia dell’adulto. Questo passaggio non è indolore e si attua attraverso conflitti ed eccessi. L’adolescente espande il suo mondo e questa estensione avviene in modo improvviso: è la rottura di un equilibrio per arrivare a un altro equilibrio, non sempre migliore.
Questo percorso di progressiva emancipazione dalle figure genitoriali, non è privo di interruzioni, di stasi, di drammatici dietro-front e rifiuti di crescita tramite trasgressioni e sconfessioni di norme. Il conformismo va spesso di pari passo con l’atteggiamento ribelle e in pochi istanti uno spirito di spavalda indipendenza può cedere il posto a una forma di dipendenza infantile. Le difficoltà a tollerare gli insuccessi e le frustrazioni, la mancanza o la diminuzione del senso critico, spesso a opera della pressione del gruppo dei pari o dei media, comportano una scarsa organizzazione della conoscenza e una scarsa valutazione dei rischi e delle conseguenze dei propri comportamenti.
Il comportamento inadeguato o esagerato diventa l’estremo tentativo dell’adolescente di emergere da un intollerabile anonimato vissuto come una condizione di non esistenza, diventa il bisogno di tracciare un confine tra sé e il mondo, diventa la ricerca di differenti modi possibili di essere insieme agli altri, ma lontano dagli altri, nel tentativo di non spegnere i propri sogni, spegnendo la propria vita.
Per questo l’adolescente si trova immerso in una cultura del disimpegno più che in una cultura dello sballo, una cultura fatta di noia, di necessità di socializzazione senza relazione, di prevalenza del virtuale sul reale, di diluizione della realtà e dei significati, di una realtà modificata da tutto, alcol e sostanze, di riduzione di empatia, di violenza, di dissociazione. E il passaggio dal disagio al disturbo è breve.
Spesso i disturbi psichici sono cristallizzazioni di abitudini che per un verso hanno funzionato in qualche situazione, ma che a seguito di una generalizzazione diventano abitudini per tutte le stagioni. E i comportamenti abitudinari che si ripetono e sono premianti possono diventare vere e proprie dipendenze, specialmente quando vengono a mancare le altre “cose buone” da cui normalmente l’adolescente dipende: le relazioni, gli affetti, la scuola, lo sport.
È purtroppo questo il contesto ambientale nel quale i nostri adolescenti sono oggi immersi a causa dei provvedimenti di contrasto alla diffusione del Covid-19. Si sono ridotte le opportunità di relazione tra pari e con gli adulti e si sono ridotte le opportunità di cercare quell’equilibrio emotivo che l’adolescente ancora non ha acquisito. Nel periodo che stiamo attraversando l’insicurezza e l’incertezza del presente e del futuro vengono fortemente amplificate dalle conseguenze della pandemia.
I numeri dei morti e dei contagi somigliano a bollettini di una guerra contro un nemico invisibile. L’adolescenza è una fase caraterizzata da esperienze di vita per quanto contraddittorie e spesso rischiose, ma il confronto costante con la morte è certamente una novità. Vivevamo fino a un anno fa in una società totalmente incentrata sul controllo degli avvenimenti che sconfinava nel controllo delle emozioni. Oggi sono scomparse molte certezze. Il lockdown e la chiusura delle scuole e dei centri di socializzazione – così come l’interruzione delle attività sportive e di gruppo – hanno avuto un impatto molto forte sui ragazzi, che hanno perso delle importanti valvole di sfogo e di confronto rispetto al loro dolore e alle loro paure.
Come affrontare quindi il loro disagio, le loro necessità di adattamento a un mondo che, pur cambiando, impedisce loro di avere l’opportunità di esprimersi, i loro comportamenti disturbati o disturbanti?
Il ritorno alla normalità dovrà prevedere un forte impegno per un vero cambiamento delle agenzie formative ed educative a sostegno delle attività nei luoghi della prima socialità di bambini e adolescenti: scuole, centri di aggregazione, luoghi dello sport e della cultura. Serviranno sforzi di integrazione tra gli interventi sociali e quelli sanitari per la prevenzione, la cura e la riabilitazione dei disturbi psichici in età evolutiva.
Gli interventi di prossimità, tanto evocati, in teoria, dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), dovranno svolgersi in un’ottica di vera integrazione tra istituzioni e figure professionali differenti, tra pubblico, privato e privato sociale. E bisognerà superare l’ottica dell’individuazione diagnostica precoce del disturbo, spesso stigmatizzante e deresponsabilizzante, per attivare percorsi di empowerment delle risorse individuali e collettive.
A questo proposito, gli interventi integrati sociosanitari a forte valenza sanitaria dovranno concretamente essere frutto di una somma di competenze e di risorse: équipe multidisciplinari dovranno essere a disposizione di interventi di prossimità al domicilio, nelle strutture sociali di accoglienza, nei luoghi della formazione e del divertimento e ovunque serva un’osservazione attenta e professionale. E bisognerà rivedere i vecchi concetti di struttura sanitaria per l’adolescenza per lasciare spazio a programmi compositi e flessibili, con obiettivi chiari e definiti: basta con le valutazioni complesse e spesso burocratizzate per valutare l’idoneità del ragazzo alla struttura, ma una vera cultura del progetto individuale tagliato sul bisogno di ciascuno, fatto di momenti per la gestione delle crisi relazionali e ambientali con strumenti non sanitarizzati.
Solo se si avrà il coraggio di guardare al disagio della Next Generation con gli stessi occhi della Next Generation riusciremo ad avere risultati concreti in termini di prevenzione e contrasto alla diffusione del disagio adolescenziale, una pandemia iniziata molto prima dell’arrivo del Covid-19 e affrontata con gli strumenti di una old generation.