L’autobus si ferma e scende un solo passeggero, un ragazzo di sedici anni. Sono le 21 e 40 minuti e manca poco al coprifuoco, che in questo periodo ha segnato le nostre vite. Il ragazzo aspetta al semaforo che scatti il verde mentre ascolta musica con la cuffia. E canta. Canta a squarciagola una canzone dei Maneskin, che recita [Siamo fuori di testa ma diversi da loro, io ho scritto pagine e pagine, ho visto sale poi lacrime]. Chi lo vedesse, direbbe che è il ritratto della felicità. Ma chi lo conosce bene non sarebbe d’accordo sapendo che è appena uscito da una seduta di psicoterapia.
Dopo un poco, infatti, ha già smesso di cantare. Forse l’ha raggiunto un pensiero molesto, spiacevole. Uno di quelli che lo hanno portato a chiedere aiuto, a inizio seconda ondata di pandemia Covid-19 per condividere i suoi dolori e le sue paure, la sua ansia e il suo disagio. A piangere e ad asciugarsi le lacrime. Già dimentico della sua passeggera felicità, forse ha pensato non a torto che nei giorni seguenti le restrizioni dovute alla pandemia si sarebbero aggravate strappandolo nuovamente dai banchi di scuola, rarefacendo le occasioni di contatto sociale, amicale, amoroso.
“Aprile è il più crudele dei mesi”, è un verso del poema La terra desolata, di Thomas Eliot, che nell’originale suona “wasteland”. La stessa espressione usata dai The Who in una delle più belle canzoni della storia del rock, Baba O’Riley: «It’s only teenage wasteland», ossia «è solo desolazione giovanile», che narra del disperato viaggio dei giovani verso la felicità.
Un viaggio difficile, oggi quasi impossibile. Eppure, la primavera dovrebbe essere la stagione di una nuova fertilità, della rinascita ed è proprio questo a rendere più psicologicamente dolorosi gli eventi che si svolgono in questo periodo in cui tutto dovrebbe essere vita.
E dopo più di un anno di pandemia, questa nuova primavera ci mette a dura prova nel fronteggiare un virus che ancora è qui. La tenuta psicologica di tutti, ogni giorno è sotto pressione e i dati di ricerche italiane e internazionali sulla salute mentale non sono incoraggianti, soprattutto per quel che riguarda i giovani.
In un articolo (Unequal effects of the national lockdown on mental and social health in Italy) condotto in modalità citizen science durante il primo lockdown nazionale da un gruppo di ricerca internazionale proprio per coinvolgere gli adolescenti di una terza media romana in un processo di avvicinamento “scientifico” alla pandemia, emergeva chiaramente con l’impatto della sindemia Covid-19 stesse avendo ricadute significative sulla salute mentale degli adolescenti e del genere femminile. E non mancano altre indagini, se non bastassero i dati e i fatti di cronaca, a suffragare queste evidenze.
La situazione di incertezza creata dall’epidemia estremizza la scarsa competenza di una visione storica del tempo tipica dei giovani, che già vivono in maniera amplificata il presente. Gli adolescenti ci raccontano un malessere che secondo la loro percezione del tempo, che è inadeguata a causa dell’età, non avrà mai fine. Si vivono come prigionieri della propria camera, sventurati di un destino ingiusto e oppressivo, dal quale si vorrebbero liberare ma non possono.
Siamo passati da adolescenti che aspettano il ritorno di un padre che non c’è (intesa come eredità psichica valoriale) a moderni, piccoli Polifemi: chiusi nelle loro grotte fisiche e interiori, rischiano di sviluppare un disagio mentale grave.
Dati forniti al termine di un Congresso Nazionale della SINPIA di qualche anno fa mettevano in risalto le questioni relative al ricovero e all’emergenza psichiatrica in adolescenza che non riescono a diventare una priorità organizzativa nazionale, nonostante l’allarme periodico sul fenomeno e l’evidenza di un incremento del numero di ricoveri per disturbi psichici di minori e nonostante «gli studi epidemiologici indichino che tra il 18% e il 21% dei minori presenta, nel corso degli anni, un disturbo psicopatologico che comporta un impairment rilevante e che nell’arco di tutta l’adolescenza, si stima che tra il 9 e il 13% dei ragazzi e delle ragazze possa presentare una patologia psichiatrica tale da richiedere una presa in carico da parte dei servizi di salute mentale».
Se era vero in un periodo pre-Covid, oggi allora ci troviamo davanti a una vera e propria emergenza psicosociale alla quale siamo chiamati a rispondere con estrema urgenza. Servono interventi tempestivi e una rete di servizi sanitari rinforzati e funzionanti anche, e non solo, per rispondere all’aumento dei tentativi di suicidio e autolesionismo che sono dal mese di ottobre 2020 ad oggi segna un +30% rispetto agli anni precedenti. Alle parole di psichiatri e psicoterapeuti impegnati in prima linea per ridare “infuturazione” agli adolescenti insistendo sul fatto che l’epidemia non è la fine di tutto, ma un momento di passaggio tra presente e futuro, promuovendo un’alfabetizzazione emozionale fluida che favorisca la diminuzione delle difese narcisistiche, un incontro tra vissuto, pensiero ed emozione per giungere a modalità nuove di affrontare la crisi, dovranno seguire fatti concreti, politiche giovanili e riforme del mondo dell’istruzione che pongano i più piccoli e gli adolescenti al centro della scena e delle azioni.
Saranno importanti nuove politiche e piani di azione preventivi e supportivi per il disagio mentale dei minori certi che quanto di questo disagio non affronteremo oggi, lo ritroveremo domani aggravato e gravante da giovani adulti; raccolta dati, scambio e condivisione europea per formulare strategie efficaci per contrastare il disagio e favorire l’elaborazione del trauma e la resilienza.
Sarà fondamentale fortificare i servizi di psicologia scolastica per intercettare precocemente il disagio psicologico e, nelle more di un potenziamento delle strutture pubbliche, probabilmente favorire il lavoro del privato convenzionato al fine di dare accesso al supporto psicologico e alla psicoterapia anche, soprattutto, alle fasce più deboli della popolazione al fine di ridurre il divario di salute già peraltro esistente ben prima dell’avvento del Covid-19. E l’uso consapevole di supporti tecnologici (telemedicina) potrebbe consentire l’avvio di servizi di ascolto psicologico territoriali (regione, comuni e municipi), per implementare e supportare quelli esistenti e erogati in presenza, che non risentiranno di chiusure, lockdown e zone rosse e che non esporranno nessuno al rischio di contrarre il virus durante lo spostamento per la visita, visto che non sarebbe richiesto.
Che l’Italia non diventi come la Tebe di Sofocle invasa da una “pestilenza” che non si riesce a debellare, dipende anche da noi perché sono sempre gli adulti i garanti dei più giovani. E i giovani di oggi saranno il futuro di domani.