La falsa vitaLe anime nere del fascismo che si ripulirono la coscienza con la religione

Anna Foa e Lucetta Scaraffia raccontano in un libro edito da Marsilio le storie di Elena Hoehn e Celeste Di Porto, entrambe colluse con i tedeschi che occupavano l’Italia. Riuscirono però, con mosse spregiudicate e potere di ricatto, a trovare una riabilitazione immeritata

da Wikimedia Commons

A Celeste ed Elena siamo arrivate attraverso due percorsi differenti, che poi si sono incontrati e ci hanno spinto a scrivere insieme questo libro.

Anna Foa studiando la figura di Celeste Di Porto, e imbattendosi inaspettatamente in quella della sua madrina di battesimo, Elena Hoehn, scoprendo con stupore che era anche lei una detenuta e cominciando a lavorare sul suo processo, un processo istruttorio alla fine del quale, nel 1946, era stata assolta.

Lucetta Scaraffia leggendo il libro di Armando Droghetti, biografia in sommo grado apologetica di Elena Hoehn, cogliendone da storica le contraddizioni e le lacune, e sentendo quindi il bisogno di scavare più a fondo sulla storia di Elena e sulla sua “conversione”.

Ci siamo così trovate, mettendo insieme le nostre conoscenze e i nostri strumenti di ricerca, a rapportarci a due diverse storie di delazione ma anche a due diverse storie di “conversione”: quella di Celeste Di Porto, dall’ebraismo al cattolicesimo, e quella di Elena, tutta interna al cristianesimo, una conversione alla religione, allo spirito profetico di Chiara Lubich e alla vita cristiana.

Dubbi tanti, come sempre quando uno storico si imbatte in questo genere di fenomeni. Dubbi sulla sincerità delle due conversioni e sul rapporto tra il prima e il dopo, e dubbi sulla vicenda processuale che ha portato all’assoluzione di Elena Hoehn e di sua sorella Emita. Di qui, questo libro, scritto insieme parola per parola, insieme discusso momento per momento.

La storia è una sola, e in questa storia Elena Hoehn emerge come figura dominante, manipolatrice e mentitrice, salvata dalla pena che avrebbe meritato grazie ai compromessi, ai ricatti, alle indulgenze di un mondo del dopoguerra troppo segnato dalla continuità non solo con il passato fascista ma anche con gli orrori di via Tasso e delle Fosse Ardeatine. Che si libera del suo passato non confessandolo o riconoscendolo, ma approfittando dell’incontro con anime pure, come Chiara Lubich, come il vescovo di Assisi, che dopo aver salvato tanti ebrei salva anche colei che ne ha mandati tanti ai campi: con persone insomma decise a non giudicare ma ad accettare senza mettere in discussione, per principio, la sincerità di chi le accosta.

Nell’incontro fra le due donne, Elena indubbiamente è la figura dominante perché è quella che aveva capito che la situazione era cambiata, e che l’unica cosa che serviva, per salvarsi, era sapere qualcosa che non doveva essere reso pubblico. E che loro due, che avevano bazzicato per tanto tempo fascisti e tedeschi, qualche cosa di troppo la sapevano sempre e c’era sempre chi aveva paura che parlassero.

Aveva capito che dopo quegli anni convulsi e confusi quasi tutti erano vittime e complici, ricattatori e ricattati. Il mondo non era bianco o nero, ma grigio, desolatamente grigio. E che questa era proprio la realtà che nessuno voleva accettare, perché per uscire da questo marasma la gente voleva avere degli eroi, delle persone pulite e coraggiose a cui guardare per sperare: e che, se gli eroi non c’erano o erano veramente troppo pochi, bisognava crearli. E per crearli bisognava garantirsi il silenzio di chi sapeva.

Elena l’aveva capito subito, che se la sarebbe cavata così. E le piaceva questa fabbrica degli eroi, aveva cercato di entrare anche lei nel gruppo come eroina. Finalmente, dopo tanti anni in cui figurava fra i grigi, come tutte le donne che usavano il corpo per ottenere qualcosa, adesso poteva fare il grande passo ed entrare nel gruppo dei bianchi, insieme a tanti altri grigi come lei.

Perché no? Bastava un po’ di fantasia, e di astuzia, e lei ne possedeva in abbondanza: per sé e per Celeste. Celeste non ce l’ha fatta, Elena ci è riuscita solo parzialmente e speriamo che il nostro libro stronchi qualsiasi tentativo di riabilitazione in questo senso.

Nella ricostruzione di questa vicenda abbiamo trovato molte lacune, molti buchi neri. Ne abbiamo colmati solo alcuni. Per il resto abbiamo dovuto misurarci con assenze documentarie che corrispondono a ciò che ha permesso ai giudici, nel 1946, di assolvere Elena ed Emita Hoehn in base alle dichiarazioni non provate di uno sgherro italiano di Kappler.

Per colmare questi vuoti, non abbiamo inserito storie inventate, non siamo ricorse alla fiction, ma invece alla plausibilità e alla possibilità di immaginare, segnalandoli come tali, diversi scenari. In nessuno di questi scenari è contemplata la possibilità che Elena Hoehn fosse innocente, e tanto meno che lo fosse Celeste Di Porto, tanto gravemente la loro colpevolezza è provata dalla documentazione.

postfazione da “Anime nere. Due donne e due destini nella Roma nazista”, di Anna Foa e Lucetta Scaraffia, Marsilio, 2021, pagine 208, euro 17

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