Sulle tracce di catari e bogomiliBogre, il documentario sulle grandi eresie europee del Medioevo

Il film nasce da una domanda: perché in lingua occitana «bulgaro» è un insulto per dire stolto, ottuso, zotico? Per scoprirlo Fredo Valla intervista esperti, storici, cantastorie, visita monasteri e catacombe, racconta di corpi bruciati dal fuoco, processi sommari e torture. Giovanni Lindo Ferretti fa il controcanto, legge quasi salmodiando editti e testi di condanne, interpretando la parte dell’inquisitore

Bogre

Fredo Valla dice di sé: «Sono un intellettuale di montagna». Vive a Ostana (Cuneo), villaggio affacciato sul Monviso, per decenni quasi abbandonato e oggi borgo manifesto della rinascita delle Alpi. Qui, a 73 anni e 1350 metri di altitudine, Fredo Valla cammina, coltiva la terra, tramanda la tradizione occitana e fa il suo cinema. Valla è un cineasta laterale, lontano geograficamente e spiritualmente da qualsiasi giro cinematografico italiano noto. Ha un antico passato da giornalista: negli anni ’90 riuscì a farsi mandare da Airone a scrivere un reportage a piedi di settimane lungo il Don sulle tracce dei soldati italiani in Russia. Negli anni ’90 si è formato alla scuola di cinema di Ermanno Olmi ed è stato lo sceneggiatore dei film di Giorgio Diritti (Il vento fa il suo giro, ambientato nella sua Ostana, gli è valso la candidatura al David di Donatello). E soprattutto gira documentari lunghi, densi, bizzarri. L’ultimo si intitola Bogre – La grande eresia europea, in attesa che le sale riaprano è stato presentato al Festival di Sofia ed è proprio un film da intellettuali di montagna, fatto di camminate, incontri, osservazione e ragionamenti. E infatti tra le voci narranti c’è un altro grande intellettuale di montagna italiano, Giovanni Lindo Ferretti. 

Bogre nasce da una domanda: perché in lingua occitana «bulgaro» è un insulto per dire stolto, ottuso, zotico? La curiosità è il più grande degli inneschi e la risposta conta molto meno del viaggio per arrivarci. Bogre collega due eresie medievali: quella dei catari, che in Occitania (soprattutto in Francia del sud) fu soppressa da una crociata e dall’Inquisizione, e quelle dei bogomili, in Bulgaria, altrettanto repressa e dimenticata. Si diceva bulgaro per dire eretico, pazzo, quindi alla fine anche stolto, sciocco, quando ormai i catari erano stati cancellati e di loro era rimasta solo la memoria di un insulto. Erano due eresie affini, quella dei bulgari e degli occitani, una figlia dell’altra, in un’Europa dove le idee viaggiavano, si diffondevano.

L’eresia prese piede anche nell’Italia medievale: «I ghibellini anti-papisti erano catari, lo era probabilmente il 30% degli italiani medievali», racconta Valla. «Nell’Arena di Verona ci furono centinaia di roghi di eretici». La dottrina era manichea, derivazione delle filosofie del Medio Oriente: il creato non è fatto solo di bene, nel mondo si scontrano ad armi pari un Dio fatto di puro spirito e un demiurgo satanico. Inaccettabile per la Chiesa, che catari e bogomili non volevano rifondare, ma cancellare. Prima che fosse cancellata, la società occitana dei catari, nel ’300, era decisamente avanti per i tempi: aperta, liberale, cosmopolita. Eserciti e roghi cancellarono tutto. 

Fredo Valla intervista esperti, storici, cantastorie, visita monasteri e catacombe, racconta di corpi bruciati dal fuoco, processi sommari e torture. Giovanni Lindo Ferretti fa il controcanto, legge quasi salmodiando editti e testi di condanne, interpretando la parte dell’inquisitore, è come se fosse nato per fare questo (probabilmente è nato per fare questo). In questo percorso durato quasi quattro anni Valla traccia una cartografia alternativa delle grandi rimozioni europee. «L’Europa non vuole ancora fare i conti con sé stessa. Uno può dire: i catari è una storia del Medioevo ma le azioni di quei secoli si sono ripetute, e continuano, sono le radici culturali di un continente dove ricominciamo sempre daccapo, dove oggi lasciamo morire le persone in mare per il colore della loro pelle. Io sono solo andato alle origini di questa rimozione». Bogre la ricollega agli altri massacri europei, dalla Shoah ai Balcani, Valla usa le parole di Simone Weil per disegnare l’immagine di un continente infinitamente capace di rimuovere. «I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», si legge nella frase che chiude il film. 

Giovanni Lindo Ferretti è la chiave estetica di Bogre, la voce che fa da cerniera alle tantissime storie che si intrecciano nel documentario. «Lo volevo come maschera, non come musicista. Sono andato a trovarlo, gli ho parlato del film, gli ho detto pensaci». L’ex CCCP ci ha pensato per un mese, poi ha scritto un lungo messaggio al regista. «Mi ha elencato tutte le ragioni per cui non avrebbe dovuto farlo, ma mi ha detto che accettava come un regalo dagli Appennini alle Alpi Occitane». Quelle scene di Giovanni Lindo Ferretti che legge antichi documenti medievali sono state girate nella sua casa di Cerreto Alpi, in provincia di Reggio Emilia. «Abbiamo passato dei giorni molto belli insieme, è un personaggio contraddittorio, ma in fondo non è cambiato tanto, è sempre stato un uomo in ricerca. Con delle esagerazioni, eppure mi sembra di comprenderlo». 

La storia di Bogre si intreccia con quella di militante occitano di Valla, nato a Sampeyre, in valle Varaita. La lingua minoritaria dell’Occitania, quella in cui si svolse l’eresia catara, è ancora capita in diverse valli delle Alpi occidentali, con diverse migliaia di parlanti. Per Valla e per tanti come lui difendere quella lingua è stata la battaglia di una vita, iniziata parallelamente alla controcultura e al ’68. «Avevo diciannove anni, ero un giovane montanaro delle valli, cioè del buco del culo del mondo, un piemontese di serie C. Il mio primo viaggio in Occitania fu una rivelazione, la lingua che parlavo con mio padre poteva essere capita fino a Tolosa, aveva una civiltà, una letteratura, dei risvolti politici». Per i militanti come Fredo, quella occitana una battaglia da affiancare ai movimenti di liberazione dei baschi, del Vietnam, dell’Angola. «Ma nelle vali occitane questo movimento non prese piede, è rimasto patrimonio di intellettuali e utopisti. Poi è arrivata la Lega e si è presa tutto».

A pochi chilometri da dove vive ci sono le sorgenti del Po, sulla strada si leggono ancora le scritte in verde sulla Padania libera lasciate dai separatisti delle ampolle negli anni ’90. Altra storia, altra diramazione, decisamente non la sua. Per Valla la battaglia occitana è diventata culturale, Bogre ne è un tassello, che riconnette la lingua di suo padre a un’antica eresia perseguitata pan-europea, una vicenda che dà prospettiva e profondità di campo all’essere occitano oggi. «Ci sono periodi in cui la storia va lenta, altri cui accelera, ma devi essere sempre pronto con le tue idee nel cassetto. Non so se la storia tornerà a essere veloce a breve, non me lo chiedo più, ma io continuo a coltivare i miei sogni e le idee di gioventù. Ho solo imparato che il mondo è sfaccettato e le identità non sono poi così nette».