Da molti anni in qua ho l’impressione che il nostro principale problema, come società, sia la cultura del linciaggio. Un problema da cui sembra che proprio non riusciamo a uscire.
Il linciaggio è da tempo l’unica forma del dibattito pubblico italiano, specialmente (ma non solo) quando si parla di politica, fino al punto che persino per combattere i populisti utilizziamo i loro stessi metodi, lo stesso distorto modo di ragionare, lo stesso lessico.
Giustizialisti e garantisti si scambiano le maglie, e il gioco riprende identico a prima, soltanto a parti rovesciate. Con Marco Travaglio a denunciare l’ipocrisia degli accusatori di Beppe Grillo, che fingono di non vedere la disperazione di un padre, che vorrebbero negargli persino il diritto di cercare come può di difendere il figlio, che si fanno beffe della sofferenza di chi vede i propri cari accusati su tutti i giornali e vorrebbe gridare al mondo la loro innocenza, che «parlano come se lo stupro fosse già certo» (giuro, l’ha scritto davvero, proprio lui che, se applicasse lo stesso principio al giornale che dirige, potrebbe mandare in stampa giusto la pagina dei programmi televisivi); e con gli antipopulisti a dire quello che solitamente dice Travaglio: che però Grillo è un politico, un personaggio pubblico, e quindi per lui non valgono i diritti, o perlomeno le attenuanti, che valgono per un privato cittadino (privato cittadino al quale peraltro non li riconosciamo mai, ma solo alla sua versione astratta e inesistente utilizzata in simili formulazioni retoriche).
Beppe Grillo è un uomo che ha detto cose orrende e inaccettabili, che appartengono al peggio dello storico repertorio con cui da secoli si minimizzano le violenze sessuali e se ne rovescia la colpa sulle vittime.
È al tempo stesso un uomo disperato che si sente accerchiato – peggio: che vede suo figlio accerchiato – e tenta, nel modo moralmente più riprovevole e di fatto più controproducente, per se stesso e per il figlio, di difenderlo.
È anche, da ultimo, ma proprio per ultimo, una specie di leader politico. Una stranissima specie, peraltro, che sull’equivoco ha giocato e prosperato a lungo, perché la verità è che, mentre tanti hanno usato le luci della ribalta per andare al potere, Grillo invece ha usato i riflettori della politica per restare in scena, con i suoi assurdi comizi a pagamento e le sue tournée parapolitiche.
È giusto condannare e prendere le distanze dalle sue parole, dal momento in cui è stato lui a volerne fare un caso pubblico. Ma sarebbe anche giusto chiuderla qui. E invece, in modo perfettamente e specularmente grillino, abbiamo ben due distinti allestimenti: la gogna a fin di bene, per sconfiggere i populisti, e quella a fin di male, per potercisi alleare meglio, dopo avere sacrificato sull’altare il capro espiatorio.
Si utilizza così una vicenda personale, e dolorosissima per tutti i soggetti coinvolti, senza preoccuparsi del carico di sofferenza aggiuntiva che in tal modo si infligge a ciascuno di loro, contribuendo a distorcere il normale corso della giustizia (o meglio: quello che dovrebbe essere il normale corso della giustizia, se una simile distorsione non fosse purtroppo la norma).
C’è chi lo fa per spingere il centrosinistra a rompere con il Movimento 5 stelle e c’è chi lo fa per consolidare l’alleanza, esortando esplicitamente Giuseppe Conte a cogliere l’occasione per esautorare Grillo dalla guida del partito. Cambiano le finalità, ma i mezzi sono gli stessi (gli stessi dei grillini, s’intende). Il punto decisivo, però, è che lo facciamo tutti quanti, in coro, sessanta milioni contro uno.
E siccome ormai abbiamo sviluppato tutto un galateo, o se preferite un modus operandi, per questo genere di cerimonie, non mancheremo di aggiungere a ogni passo, in modo strumentale e ipocrita, il consueto corredo di frasi fatte che ormai sappiamo a memoria. «Non entro negli aspetti giudiziari della vicenda», mentre non solo ci entriamo eccome, ma ne diamo per scontato l’esito; «ferma restando la presunzione d’innocenza», che si è appena implicitamente negata; «premesso che i fatti li accerteranno i magistrati», mentre ne abbiamo tratto già tutte le conseguenze, assegnando tutti i ruoli: colpevoli e innocenti, complici e vittime, esecutori e mandanti.
Qualcuno, che magari condivide con me l’idea che l’alleanza con il populismo sia la fine della sinistra, potrebbe concluderne che tutto sommato ex malo bonum. Io invece penso che dal male verrà solo di peggio, in una spirale che già dura da almeno trent’anni, e da cui non è venuto finora alcun bene.
Non mi convince l’idea che la via d’uscita dall’ubriacatura populista e giustizialista sia un grande rogo purificatore, preceduto da un linciaggio catartico e da una bella gogna riformista. Forse così ci libereremo di Grillo, certo non del grillismo.