E tu, sei più un Bulger o un Kaczynski? La domanda con cui valutare il video di Beppe Grillo, due minuti scarsi di purissimo imbarazzo, alla fine è quella.
Non ho niente contro il garantismo, ho molti amici garantisti. Il loro pavlovismo, rispetto alle accuse di stupro a uno dei figli di Beppe Grillo, è ricalcato su quel monologo di Louis Ck che sdoppiava la valutazione d’un fatto in of course (certo che), but maybe (però forse): certo che fino al terzo grado di giudizio sei innocente; però forse, se tuo padre ha contribuito a costruire un mondo in cui sei colpevole già dalla fase istruttoria, quel che ti sta accadendo sa di nemesi.
I fatti li avete letti ovunque: il giovane Grillo, con altri tre amici, ha avuto rapporti sessuali con una ragazza che dice d’essere stata stuprata, mentre i quattro dicono che c’era il consenso (che Beppe Grillo chiama consenzientità, ma a questo poi ci arriviamo).
La madre del giovane Grillo dormiva nella stanza accanto, uno di quei dettagli che se li metti in una sceneggiatura ti dicono che non è verosimile. Ci sarebbero dei video, io non li ho visti ma Beppe Grillo sì (anche a questo ci arriviamo poi). I video, com’è normale, dimostrerebbero cose diverse a seconda di quale parte in causa ne riferisca.
Per fortuna né io né voi siamo pagati per giudicare come sia andata, e questo mi permette di concentrarmi sulla parte davvero interessante dell’invettiva di ieri del padre di uno degli accusati.
E la parte interessante è: fuori da quell’opera di fantascienza che è la Bibbia, in cui fratelli ammazzano fratelli e padri sono pronti a sgozzare figli, l’assenza di familismo è perdonabile?
Se Grillo non apparisse furibondo sullo schermo a dire che lui il video l’ha visto, c’è suo figlio col pisello di fuori che ride, e questo dimostra che è un giovane fesso, mica uno stupratore, e soprattutto dimostra che «c’è la consenzientità», se Grillo non difendesse suo figlio sempre e comunque, anche di fronte ad accuse orrende, non sarebbe forse considerato un padre degenere?
William Bulger è un politico americano con un fratello boss della malavita organizzata, latitante. A un certo punto viene fuori che lui sapeva dove fosse, mentre cercavano di arrestarlo (il fratello è stato latitante per sedici anni). Perché non gli ha detto di costituirsi, gli chiede a un certo punto della latitanza il gran giurì. Non mi sembrava nei suoi interessi, risponde William. William Bulger è in un certo senso il negativo di Caino, e infatti in Giustizia (Feltrinelli), Michael Sandel intitola «I custodi dei fratelli» le pagine in cui accosta il suo caso e quello di Unabomber.
David Kaczynski faceva l’assistente sociale, quando i quotidiani si arresero a pubblicare il manifesto di Unabomber, condizione posta perché smettesse di mandare bombe in giro. Quella è la prosa di mio fratello Ted, pensò, e lo andò a dire all’Fbi. Il fratello durante il processo lo definì «un Giuda Iscariota», perché sì, lui ammazzava gente a casaccio, ma quella spia (non figlia di Maria, come c’insegnano da piccoli) era pur sempre suo fratello: che fine ha fatto la lealtà famigliare?
A freddo – che si stiano valutando i casi di Bulger, o di Kaczynski, o di Grillo – siamo tutti gente che mette il senso civico sopra al familismo amorale.
Siamo tutti Kay Adams nella seconda parte della sua vita, quella in cui dice a Michael Corleone che non vuol saperne delle sue malefatte, vuole una vita onesta; non siamo mai la Kay che fa finta di niente per anni.
Non siamo mai il figlio di Riina che va da Vespa a difendere il padre, figuriamoci: siamo tutti specchiati cittadini che sarebbero fermi nella loro condanna morale del malvivente di famiglia; siamo tutti onesti, finché non ci capita in sorte un padre criminale, finché possiamo dare valutazioni morali meramente teoriche.
Solo che – in caso di dilemma morale – se non sei il giovane Riina, sei il giovane Di Maio, che fa leggere la letterina di scuse all’anziano padre. Un video che, a rivederlo oggi, è straziante quasi quanto quello di Grillo. Anche perché l’Adnkronos (primo risultato che mi esce cercando il video su Google) titola la contrizione paterna «mio figlio era allo scuro», che assieme a «consenzientità» dice cose della consuetudine degli italiani con l’italiano che preferirei non sapere.
In “La cena”, strepitoso romanzo del 2010 (Neri Pozza), Herman Koch racconta un insegnante di storia che – quando scopre che il figlio è il ragazzo di cui tutta l’Olanda sta parlando: quello che, nel filmato sfocato d’una telecamera di sorveglianza, dà fuoco a una barbona per noia, per insofferenza, per divertimento – cerca innanzitutto il modo di fargliela far franca.
Certo, quel padre ha un disturbo neurologico che lo rende amorale, ma non è solo lui a cercare innanzitutto di dare la colpa alla barbona, che poteva spostarsi invece di dar fastidio al sedicenne virgulto. Lo stesso meccanismo psicologico scatta nella moglie, e nel fratello, aspirante primo ministro e padre del cugino che è stato complice nell’omicidio. Che esagerazione, definirlo omicidio, sbotta la madre.
Modello inconsapevole del Beppe Grillo che un pomeriggio accende la webcam e dice che insomma, è uno schifo, c’è un video con questi quattro col pisello di fuori che ridono, si vede che son dei ragazzi che si divertono. Poiché non sappiamo più valutare i fatti, ma solo le appartenenze, finirà così: che i simpatizzanti dei 5 stelle saranno Bulger, e gli avversari politici Kaczynski.