A difesa del know-howPuntare sulla “coopetition” per far ripartire le aziende nel post pandemia

Con una strategia di tipo competitivo/cooperativo tra imprese concorrenti, il nostro Paese potrà incrementare i meccanismi di Open Innovation, dare un forte impulso alla competitività dell’intero Sistema Italia e realizzare nuovi ecosistemi intersettoriali, creando valore in termini di sviluppo e sostenibilità

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Il Sistema Italia, per reagire con forza alla crisi in atto, deve favorire innovative ed efficaci forme di interazione tra le Aziende del Paese.

Il termine Coopetition, derivante dalla contaminazione tra le parole Cooperation e Competition, indica una strategia di tipo competitivo/cooperativo tra imprese concorrenti, che collaborano per realizzare congiuntamente attività nell’interesse comune. Le ragioni che rendono convenienti operazioni di Coopetition possono essere di natura piuttosto diversa. In primo luogo, si può mirare ad un risparmio dei costi e ad economie di scala, grazie alla condivisione degli oneri per un progetto con il proprio partner/competitor.

In secondo luogo, la Coopetition può determinare una ottimizzazione degli investimenti, che non vengono dispersi per ottenere informazioni già nella disponibilità del coopetitor. In terzo luogo, le aziende possono essere portatrici di competenze complementari, la cui combinazione risulta foriera di un vantaggio competitivo per entrambe.

In quarto luogo, la collaborazione tra coopetitor può svolgere una funzione difensiva, consentendo alle imprese interessate di fare fronte comune, ad esempio, verso un terzo concorrente particolarmente aggressivo. Ovviamente la Coopetition ha, in larga parte dei casi, una valenza meramente strumentale e temporanea: quando il risultato desiderato sarà stato raggiunto, le imprese proseguiranno il rispettivo percorso in modo separato, di solito differenziando i prodotti per funzionalità, immagine e prezzo, tornando a rivestire agli occhi dei consumatori le vesti di competitor.

La Coopetition, che sullo scenario internazionale non rappresenta una novità, ad oggi ha visto protagonisti soprattutto gruppi di grandi dimensioni, per operazioni di ampio respiro. I casi più noti ed eclatanti, probabilmente, sono quelli posti in essere su scala planetaria da imprese dell’industria automobilistica: più aziende, tradizionalmente in concorrenza tra di loro, hanno realizzato operazioni in collaborazione, mettendo a fattor comune conoscenze e/o componenti e giungendo alla produzione – ognuna a marchio proprio – di vetture sostanzialmente identiche (Fiat sedici e Suzuki sx4; Citroen c1, Peugeot 107 e Toyota Aygo; Opel Agila e Suzuki Splash; etc.etc.).

Le diverse sfaccettature e le varie potenzialità della Coopetition emergono in modo evidente prendendo in considerazione un’altra celebre vicenda: la fornitura da parte di Samsung del nuovo ed innovativo schermo curvo Oled alla concorrente Apple per il suo iPhone X. Samsung, naturalmente, non fornendo ad Apple il proprio avanzato schermo avrebbe potuto intaccarne la leadership nel mercato degli smartphone premium, nel quale si trovano in competizione proprio il Samsung Galaxy e l’Apple iPhone.

Però, ove Samsung non si fosse dimostrata disponibile a fornirle lo schermo Oled, certamente Apple si sarebbe rivolta ad altri operatori del comparto, ad esempio LG (che produce gli schermi Oled per i telefoni Pixel 3 di Google) oppure Boe (che fornisce schermi Oled per i telefoni Mate 20 Pro di Huawei).

Teniamo conto anche che Apple, notoriamente, adotta la politica di dare un fattivo supporto ai propri fornitori, al fine di consentirne un rapido miglioramento in termini di efficienza e qualità. Samsung, dunque, ha deciso di collaborare con la competitor Apple, non solo per i notevoli benefici che ne sarebbero derivati in termini di fatturato, ma anche – e, probabilmente, soprattutto – per non determinare un rafforzamento dei suoi concorrenti ed un inevitabile assottigliarsi del proprio vantaggio competitivo.

L’operazione, naturalmente, è risultata conveniente anche dalla prospettiva di Apple. La casa di Cupertino, infatti, ha ritenuto un sacrificio sopportabile quello di apportare risorse finanziarie ad una temibile concorrente, a fronte del cruciale beneficio di poter disporre del miglior schermo curvo presente sul mercato, in modo da tenere a sua volta a distanza i competitor a caccia della leadership dell’iPhone.

La pandemia da Coronavirus ha reso ancora più attuali e vincenti le dinamiche della Coopetition, enfatizzando i vantaggi di una più stretta collaborazione tra le aziende, spingendo molte imprese a rafforzare ed accorciare le filiere e catene di valore. La Coopetition, calata nel nostro Paese, può determinare delle opportunità più significative che altrove, ma al tempo stesso incontra difficoltà del tutto specifiche e peculiari.

Il tessuto imprenditoriale italiano, come noto, è costituito in larga parte da piccole e medie imprese. Tra queste, una quota significativa è rappresentata da una tipologia aziendale tipica dello Stivale: le cosiddette Multinazionali Tascabili, che altrove ho definito anche Imprese Innovazionali, dal mix tra gli aggettivi Innovative e Internazionali. Si tratta, per sottolinearne i tratti accomunanti, di aziende di medie dimensioni, usualmente con una spiccata carica innovativa, che competono sui mercati internazionali con concorrenti di solito considerevolmente più grandi.

Le nostre imprese hanno in genere un punto di forza in una tipologia di innovazione dai tratti fortemente caratteristici: progressiva e incrementale, di processo e di prodotto, che nasce dal crivello dell’esperienza quotidiana, mentre – nella maggior parte dei casi – non dispone del supporto di veri reparti di ricerca e sviluppo, comuni invece nei conglomerati industriali di dimensioni maggiori.

Evidenti appaiono, alla luce di quanto sopra, i vantaggi che potrebbero derivare per il nostro Sistema Paese dal diffondersi e dal radicarsi di meccanismi coopetitivi. In primo luogo, in aziende fisiologicamente alle prese con scarsità di risorse, risparmi di costi ed economie di scala apporterebbero benefici sensibili e diretti.

In secondo luogo, a fronte di una innovazione incrementale e diffusa, lo scambio di competenze tecniche determinerebbe un immediato valore aggiunto. In terzo luogo, le pratiche coopetitive consentirebbero di esaltare le sinergie tra aziende di medie dimensioni, tipicamente bisognose di integrazioni complementari per processi e cicli.

In quarto luogo, un maggiore raccordo tra le nostre imprese consentirebbe loro di fare fronte con più efficacia alla concorrenza delle multinazionali di altri Paesi. Abbiamo già a disposizione una serie di strumenti per implementare in modo rapido ed efficace meccanismi di Coopetition: accordi di partnership e best friendship, contratti di rete, network di distretto, joint venture contrattuali e societarie, strutture consortili, societarie e non. Però, come si accennava sopra, le dinamiche coopetitive nella realtà italiana incontrano alcuni specifici ostacoli. La Coopetition, a ben vedere, rappresenta una peculiare declinazione, una applicazione radicale del concetto di Open Innovation.

Alla base di ogni intesa coopetitiva vi è una componente fiduciaria: condizione necessaria e imprescindibile per dare luogo ad un accordo efficace è la propensione a condividere con il partner/competitor informazioni e competenze. Le aziende coinvolte nell’iniziativa, in altri termini, devono fare uno sforzo di fiducia, accettando rapporti di interazione trasparente ed accantonando il timore che il coopetitor possa acquisire nuove conoscenze a proprio discapito.

Un tale genere di rapporti non è semplice da instaurare, in modo particolare tra imprese del nostro Paese. Alla base di questa difficoltà risiede, tra l’altro, una caratteristica tipica delle aziende italiane, che rappresenta al tempo stesso anche un freno al diffondersi delle logiche di Open Innovation. Le nostre imprese, ed in particolare le Multinazionali Tascabili o Imprese Innovazionali, presentano di solito – come già si accennava – una capacità di innovazione dai tratti molto peculiari: progressiva e incrementale, fortemente collegata al processo e/o al prodotto.

Una simile valenza innovativa solitamente non si traduce in titoli di proprietà intellettuale titolati (brevetti, design, etc.), ma vive nelle pieghe – quasi nell’aria – dell’impresa, sotto forma di Know-How aziendale. Il Know-How, diritto IP a tutti gli effetti, rappresenta notoriamente il più intangibile tra gli intangible asset dell’impresa: privo di un documento certificativo, difficile da perimetrare, mancante di un attestato rilasciato da autorità terze.

Il Know-How, dunque, costituisce elemento cruciale e caratterizzante del patrimonio conoscitivo di larga parte delle aziende italiane, che in esso fondano usualmente il proprio vantaggio competitivo, la propria capacità di stare con successo sui mercati. Orbene, il Know-How rappresenta un cespite che è particolarmente problematico da mettere a fattor comune: consistendo in conoscenze e competenze in senso lato, non perimetrate e codificate da diritti titolati, esso è estremamente complicato da utilizzare in condivisione.

Un brevetto, ad esempio, prevede una delimitazione esplicita e documentata della propria portata, definisce con esattezza le conoscenze relative al trovato inventivo tutelato, stabilisce in modo articolato i diritti in capo al titolare della privativa, il quale potrà con chiarezza definire l’ambito delle prerogative che intende condividere o non condividere con i soggetti terzi.

Il Know-How, invece, rappresenta un bene molto più fragile, che affonda le sue radici in profondità – spesso nell’essenza stessa – dell’impresa; esso incorpora in modo informale e non codificato il patrimonio conoscitivo, si potrebbe dire quasi l’anima, dell’azienda. Si tratta di una ricchezza sommersa, nascosta, invisibile, vitale, di una delicatezza tale che la condivisione può metterne a repentaglio addirittura la stessa esistenza.

Nel calare i principi della Coopetition nella realtà del nostro Paese, dunque, dobbiamo fare i conti con questa difficoltà del tutto specifica e peculiare: il patrimonio conoscitivo delle nostre imprese è costituito in larga parte da Know-How, bene intangibile particolarmente difficile da condividere e mettere a fattor comune.

Ma queste difficoltà vanno affrontate e superate: la Coopetition e l’Open Innovation sono dinamiche imprescindibili, espressioni ineludibili dello spirito del contemporaneo, che le aziende italiane non devono ignorare e dalle quali non possono restare al riparo, oppure – peggio ancora – escluse.

Esistono già modalità e tecniche di protezione del Know-How, che consentono alle imprese di difendere e valorizzare il proprio patrimonio conoscitivo, facendone un proprio punto di forza e traendone il massimo vantaggio competitivo: pratiche di perimetrazione, sistemi di segretazione, architetture contrattuali.

Molto si può fare, per migliorare da subito le tecniche di convergenza e condivisione in merito all’Innovazione espressa dalle nostre aziende, anche sotto forma di Know-How. Certamente utile, tra l’altro, risulterà una larga diffusione delle norme UNI EN ISO 56000, che definiscono il vocabolario di base, i principi e i fondamenti dell’Innovation Management, stabilendo alcuni criteri di base della disciplina e generando un comune quadro concettuale e terminologico.

L’auspicio è che il Know-How sia con urgenza oggetto di adeguata considerazione anche da parte del Legislatore, che – tradizionalmente – dedica all’istituto scarsa attenzione e spesso lo tratta come il parente povero di altri IPRs. Il Know-How, di contro, rappresenta il bene intangibile più importante e diffuso nelle aziende del Paese, che in esso trovano un proprio prezioso e caratteristico tratto distintivo.

Tale bene, dunque, deve trovare maggiore cura e tutela in tutta una serie di previsioni normative: da quelle attinenti alla difesa della proprietà intellettuale, a quelle concernenti le misure agevolative e incentivanti l’innovazione. Perché il Know-How rappresenta l’elemento chiave per determinare una reale apertura delle nostre aziende a innovative forme di partnership, realizzando nuovi ecosistemi intersettoriali, in modo da creare valore in termini di sviluppo e sostenibilità.

Un Know-How delle nostre imprese più forte e tutelato costituisce l’elemento decisivo per incrementare nel Paese i meccanismi di Open Innovation e le pratiche di Coopetition, dando così un forte impulso alla competitività dell’intero Sistema Italia.