Milano,
Aprile 2066
Cara mamma,
ti scrivo perché il mio analista si è tanto raccomandato di farlo, sono anni che parlo con lui, e quasi solo di te, mi ricordo ancora quando mi ci portasti che avevo vent’anni, credevi che la pandemia mi avesse cambiato, l’infanzia buttata, rovinata, Wertherfieber, sunt lacrimae rerum, credevi fosse un trauma, ma sai anche che i traumi sono lì mica per essere superati, son lì per essere specchiati.
Avevo quattro anni quando abbiamo avuto la “peste”, il mio analista dice che è stato in quel momento che il mio inconscio ha deciso che sarei diventato un luminare, sarei diventato un grande medico per salvare te, cara mamma, e anche papà ci mancherebbe, mica l’avrei lasciato lì agonizzante in corridoio. Certo, hai monetizzato il mio trauma minorenne, ma l’analista dice che devo perdonarti, che in fin dei conti l’hai fatto per me.
Quello che so è che non ho mai riso per mezza riga che hai scritto, l’hai buttata sempre e solo in un’inutile caciara, per non parlare delle mie foto che mettevi sui social per far sì che i tuoi amici leggessero i tuoi articoli, pic for attention, ovvero piccola truffa, e tu lo sai che non ti ho fatto causa solo per non dare un dispiacere ai nostri parenti. Scrivevi su Twitter che bisognava riaprire le scuole perché non riuscivi a gestirmi gratis.
Mamma, tu hai idea di quanto questo mi abbia ferito? Mamma, lo sai che hai messo a repentaglio la mia salute per tornare alla vita di prima, tua e non mia? Io a casa con te mi divertivo, guardavo i cartoni, bevevo latte, ti potevo abbracciare ogni minuto, vedevo comunque i miei compagni e le maestre su zoom, ma no, mamma doveva tornare al lavoro, mamma doveva farmi studiare che poi sai le lacune sulla motricità fine, sai che trauma.
A scuola per timore dei bulli non volevi nemmeno che dicessi che fossi laziale, come il maestro Burioni, e mica sarà un caso aver deciso di seguirne le orme. E niente, sono qui in analisi da sempre, convinto di avere un trauma che mi è stato suggerito. Da te. E dagli amici tuoi.
Ora che sono virologo di chiara fama, diciamo pure un enfant prodige della medicina, scientificamente comprendo che mi hai fatto correre un rischio, forse minimo, forse no, non lo sapremo mai visto che i dati di diffusione del contagio nelle scuole del 2020/2021 non ci sono.
Ma un rischio è sempre un rischio. Hai preteso che rimanessi a casa con te fino alla maggiore età di 35 anni, hai minacciato di buttarti dal balcone quando mi hai visto con le valigie, quando ero piccolo ogni mattina fotografavi l’ingresso di scuola per essere sicura di avermici portato e di non avermi lasciato in un bar – il bugiardino delle medicine lo leggevi? Amnesia anterograda non ti dice niente? – eppure non hai avuto mezzo dubbio nel portarmi a scuola, che tanto valeva buttarmi in una festa all’ Idroscalo.
Negli ultimi tempi lo sai quante dicerie stanno venendo fuori sui danni di quei vaccini. Sono passati trent’anni, la storia si ripete, la vostra generazione non è stata in grado di azzerare negazionisti e spostati, non siete stati in grado di fare niente perché eravate troppo impegnati a rispondere loro su Twitter invece che metterli in galera (il mio analista dice che la mia attitudine manettara l’ho presa da te).
Mi raccontavi che c’erano ai tuoi tempi i no vax del morbillo, e pure del tetano, manco quelli siete riusciti ad arginare, e poi sono arrivati quelli del covid. Adesso i loro figli dicono che oggi stiamo vedendo gli effetti dei vaccini, morti improvvise dopo trent’anni, e Dio solo sa cosa si inventeranno ancora. Cara mamma, chiudo qui questa lettera per dirti che ti ho perdonato e che sarai sempre l’unica donna della mia vita, e meno male che mi hai fatto vedere tutto “Siamo fatti così” durante il covid, sarai al primo posto nei miei ringraziamenti per il Nobel.