Quando ho chiesto a mio figlio che cosa volesse in regalo per il suo compleanno, con barbaro coraggio mi ha risposto che vorrebbe cento mamme uguali a me – che intelligenza, che piangere – «ma che non lavorano» – ma come ti permetti, ma vallo a dire a tuo padre. Me la paghi tu l’analisi adesso?
No, perché se non lavoro come faccio a stipendiare uno junghiano, quelli costano, le medicine costano, portare in lavanderia questo pigiama rovinato dalla mia crisi isterica costa. Come ha imparato bene il senso di colpa però, sarà genetica, saranno le origini ebraiche, forse devi fare lo psichiatra bambino mio, sarò la tua prima paziente, l’avanguardia del curare il parente, tieni i miei stipendi, tieni la mia pensione, intanto vado in lavanderia.
Io sono tornata a lavorare che aveva sei mesi e tutto lo stipendio era devoluto al permettermi di lavorare, e quelli di Black Mirror ancora a parlare di San Junipero: amici sceneggiatori venite a Milano, ogni giorno inauguriamo piste ciclabili al posto degli asili.
Funziona così: si va a lavorare, si lascia il bambino in un asilo, si assume una persona che lo vada a prendere e che stia con lui finché non si torna a casa, facciamo alle 19, facciamo alle 20: di fatto si torna a lavorare per avere uno stipendio che serva a pagare persone che ti permettano di lavorare. E per molte non ne vale la pena, in fondo perché dovrebbe visto che per i primi anni non c’è nessun guadagno, si muore di senso di colpa, tuo figlio chiama «mamma» la babysitter.
Le madri sono i nuovi padri? Cos’è diventato il lavoro, un sistema Ponzi? Frequento gruppi Facebook di mamme dove leggo ma non scrivo, frequento chat di genitori dove visualizzo ma non rispondo, io non capisco quello che dicono, lunghissime digressioni su attaccare ferie a giorni festivi, no ma devi ritornare al lavoro solo il giovedì e poi ci attacchi la maternità facoltativa, ma dove la attacco, ma a chi, e devi fare l’Isee, e come si pronuncia, e il congedo parentale, e la maternità obbligatoria, e i permessi retribuiti, e i permessi non retribuiti, e ti puoi licenziare entro l’anno del bambino e c’è la Naspi, e la giusta causa, e i sindacati, e le cavallette.
Ricordo una signora che diceva di essere in maternità, ma il bambino aveva sei anni, e che non voleva tornare in ufficio, che era un suo diritto. Sono arrivata alla conclusione che sono troppo pigra per far valere i miei diritti. Adotterò una ciclabile.
Non ci sono solo mostri capitalisti sciovinisti schiavisti come leggo, ad esempio io sono stata chiamata a fare un lavoro che ero incinta di cinque mesi, ecco mamme, vi appoggio qui una speranza. Una mia amica dice che non si ottiene mai niente di meno di quello che valiamo (o una cosa del genere, lei lo dice meglio, se vuoi mandami pure i carabinieri), e mi piace pensare che sia così.
Ultimamente ho questa piccola ossessione per le mamme instagrammanti, mamme che si licenziano per fare le televendite su Instagram. Contratti a tempo indeterminato stracciati, spero che qualcuno lo notifichi a Checco Zalone (Checco, se mi leggi, ci manchi, torna presto). Hanno una vita più o meno come la mia, ma generalmente sono magre. Si allenano tantissimo, mangiano tantissimi burri di frutta secca, ricevono tantissimi regali, come vorrei sapere se conviene davvero, fare loro i conti in tasca, poi un giorno finirà a Dio piacendo questo drammatico pudore dei soldi.
Mollano la creatura ai nonni, o all’asilo, e fanno le sponsorizzazioni, gli allenamenti, i pancake, perché nemmeno loro riescono a lavorare da casa con un minorenne in mezzo alla stanza, e se non ci riescono loro perché dovrebbe riuscirci la me senza isee.
«Mamma perché guardi sempre il telefono?».
«Perché sto lavorando, figlio mio», ed ecco qui che il telefono è il nuovo guardare fuori dalla finestra, adesso non possiamo più nemmeno prendere il tram per scrivere storie popolari (cosa faccio, vinco lo Strega con il nuovo grande romanzo italiano prendendomi il covid o me ne sto qui sul divano a chiamare i miei insuccessi sfortuna – cit.), la letteratura sarà costretta a parlare solo di social network, moriremo di noia e analfabeti. Grazie a Dio c’è di peggio. Le piste ciclabili, ad esempio.