Che poi, ma a che serve?Quella «sorta di guerra dei Roses» per intestarsi la legge Zan

Oggi è il giorno in cui bisogna decidere chi sarà la relatrice che porterà la proposta al Senato e la rivalità tra le primedonne Cirinnà e Maiorino la dice lunga sulle spaccature della causa gay, il narcisismo e le vendette personali

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Mercedes Mehling/Unsplash

E quindi questa sarà la giornata in cui Alessandro Zan – un uomo, quindi meno dotato in cromosomi da soubrette – chiude la sua stagione di gloria: le dirette su Instagram, gli chef stellati e le conduttrici televisive che ci spiegano quanto la sua sia una legge fondamentale, gli influencer da milioni di visualizzazioni, i cuoricini di Pavlov. 

È il giorno in cui bisogna decidere chi sarà la relatrice della legge al Senato, e così finisce la «sorta di guerra dei Roses» (parole loro: tutti i virgolettati di questo articolo vengono da omosessuali di mestiere, cioè da maschi che per lavoro si occupano di cause gay, o da omosessuali a tempo perso, cioè da maschi che fanno altri mestieri ma hanno aderenze nell’associazionismo). La guerra dei Roses era quella tra associazioni (poi ci torniamo), ma adesso si passa all’altro titolo preferito dai giornali pigri: Eva contro Eva. 

Oggi si consuma la sfida finale tra due che mal si sopportano. 

Una è del Pd, si chiama Monica Cirinnà, ha fatto (parole sue in una diretta Facebook sulla legge Zan ormai un anno fa) «san Sebastiano durante la legge sulle unioni civili», e ritiene che sia suo diritto naturale essere relatrice della Zan (è pure nella commissione Giustizia); nella sintesi d’uno di quelli che ne hanno usufruito, «ci marcia moltissimo», sull’essere considerata la santa salvatrice degli omosessuali italiani, che ora possono andare in municipio a dire sì lo voglio (ma non possono adottare figli). 

L’altra è dei Cinque stelle, si chiama Alessandra Maiorino, suo è uno dei testi all’origine di quella che poi è diventata la legge Zan, il testo della Maiorino era abbastanza largo da essere firmato non solo da trentaquattro cinquestellisti, ma pure da uno che nel frattempo è passato alla Lega. È nel giugno 2020 che Maiorino si fa spostare in commissione giustizia – giacché la Zan dev’essere sua: altro che Cirinnà, altro che chiacchiere.

È sicuramente un pettegolezzo quello che dice che le due neanche si salutino (direi «un pettegolezzo da finocchi», ma non mi è chiarissimo se ciò costituisca incitamento all’odio per gli omosessuali: direi di no, chi non ama i pettegolezzi, ma vai a sapere). Nella sintesi di uno che le conosce: «In confronto a quelle due, Zan è un dilettante quanto a primadonnismo». 

Ero andata a indagare la gloria di Zan, il Carneade di Padova che all’improvviso sembra sia Rosa Luxemburg, e ho trovato tappeti sotto i quali nessuno aveva spolverato da venticinque anni. Da quando il primo tentativo di fare una legge contro l’omofobia lo fece Nichi Vendola. Passando per lo Scalfarotto del 2013, del cui tentativo l’amabile Tommaso Cerno (all’epoca all’Espresso, poi condirettore di Repubblica, ora senatore) scriveva: «Brutto per il Pd rendersi conto che, mentre si muore, la sua legge è pura teoria. Brutto ammettere che solo i cattolici integralisti hanno saputo fare fronte comune. Bravi, a modo loro.

L’obiettivo: garantirsi “una dose minima” di omofobia per legge. Affermare, insomma, che se è sbagliato insultare gli omosessuali, un pochino però ci sta. Altrimenti che Italia sarebbe». Insomma: la proposta Scalfarotto non prevedeva la galera per quello Storace che, a «mi dica una cosa di destra», rispondeva «a’ frocio». Capirete bene che era una legge inaccettabile. 

L’associazionismo, spiega chi ne fa parte, «è un mondo molto livoroso». Che, per fare una legge che dice che, se pesti qualcuno e lo pesti perché è omosessuale, non ci sono solo le aggravanti per futili e abietti motivi ma anche quelle col prefisso giusto (omo-, bi-, trans-, lesbo-), si scanna per mesi, anni, decenni. La parte di Arcigay che la vorrebbe più severa (dev’essere la corrente Cerno).

La parte che chiede in che modo una legge fermerebbe uno così folle da attraversare i binari di corsa per andare a prendere a cazzotti due che si baciano. La parte che ci vuole lucrare (il primo passo per l’uguaglianza: essere orrendi quanto gli eterosessuali). 

Raccontano d’un personaggio che pianta un casino, in una riunione Zoom con decine di persone tra cui la ministra per le Pari opportunità Elena Bonetti, perché, per i quattro milioni stanziati dalla Zan per le case rifugio, sono stati previsti bandi con un’assegnazione di non più di centomila euro cadauno. «Quelli che campano d’attivismo danno una pessima immagine del mondo gay: hanno fatto del volontariato un mezzo di sostentamento», dicono. 

Raccontano di quell’intellettuale (gay) del Novecento che diceva fosse assolutamente normale il disaccordo tra l’associazionismo omosessuale e il cattolicesimo: «È una guerra tra froci» (chissà se oggi ne chiederebbero l’arresto, chissà se per Zan è incitamento all’odio: sono molto confusa da quando ha detto che lo è «i gay devono morire», che a me sembrava pensiero magico). 

Raccontano che sia suicida non appoggiare la Zan: se non hai una linea politica polacca, hai tutto da guadagnare e niente da perdere, la destra moderata dice che «la lotta all’omofobia non ha colori politici», le petizioni on line passano in pochi giorni da duemila a trecentomila firme, lo star system appoggia incondizionatamente (non per trainare la causa ma per esserne trainato), 

Raccontano che certo, ci si potrebbe occupare di rendere la gestazione per altri una procedura meno classista, cui possa accedere anche chi non ha capitali per andare a farla all’estero, o rendere possibile l’adozione anche dei bambini non con problemi: per ora la legge italiana considera le coppie omosessuali in grado di prendersi cura solo di bambini diversamente abili che le coppie eterosessuali hanno scartato. Uno strano videogioco dove puoi accedere ai livelli successivi ma non a quelli di base. 

Ma perché applicarsi a cause divisive, quando puoi appoggiare una legge che dica che non si dice «i gay devono morire», prendere tanti cuoricini, e far sembrare un feticista della maleducazione chi si oppone.  

Raccontano che Pillon sia speculare a Zan, ognuno in cerca d’una gloria sua, ma uno impresentabile e l’altro no; raccontano che la legge del ferro di cavallo avvicini Sgarbi secondo il quale la legge Zan è fatta per tutelare i pedofili, e Zan secondo il quale senza la sua legge se attraverso i binari per prenderti a pugni non commetto un reato. A nessuno dei due gli intervistatori dicono «ma cosa diavolo sta dicendo», ma d’altra parte è una frase che gli intervistatori italiani dicono poco in generale. 

Raccontano che non è vero Zan sia in cerca d’una gloria personale – la legge è sua per caso: Francesca Businarolo è andata in maternità, e lui è diventato relatore – e che comunque il suo primadonnismo sia dilettantesco non solo rispetto a quello di Cirinnà e Maiorino, ma anche rispetto alle associazioni, che prima non si sono filate la legge e ora saltano sul carro che appare vincente e sono tutte zaniste della primissima ora. 

In quella diretta d’un anno fa, Cirinnà ripeteva «le mie famiglie arcobaleno», e insomma secondo me per Maiorino sarà durissima sfilarle lo scettro di fata madrina dei gay. Se dovesse succedere, me la immagino dire con tono grave quel che ripeteva proprio in quella diretta: «Gli oscurantisti esistono». Non sembra una battuta del Trono di spade? Non sarebbero perfette, quelle due, per litigarsi il Nord?