Solo di recente in Europa sta crescendo la consapevolezza di dover far fronte alle organizzazioni criminali con adeguati strumenti legislativi, economici, ma anche culturali. La cultura antimafia al di fuori dell’Italia non si è mai sviluppata, sebbene sul territorio dell’Unione Europea risultino attive sia le principali organizzazioni criminali locali, internazionali, sia quelle italiane.
In Francia, tuttavia, per costruire un sistema di risorse che possano arginare il ruolo della criminalità organizzata presente soprattutto nelle grandi metropoli e zone costiere come la Corsica, si guarda al modello italiano, sviluppatosi per contrastare un sistema che spesso si pensa esistere solamente nel nostro paese. «La storia della lotta alla criminalità organizzata della Francia è una pagina bianca da poter scrivere» ha detto Fabrice Rizzoli, fondatore di Crim’HALT – associazione che da oltre 10 anni, è in prima linea per portare leggi simili a quelle Italiane, come quella del riutilizzo dei beni confiscati.
Fino ad oggi in Francia, per qualsiasi reato commesso, si prevedeva l’esclusiva messa in vendita dei beni sequestrati ai criminali, attraverso l’AGRASC, l’Agenzia francese per la gestione e il recupero dei beni sequestrati e confiscati, creata nel 2011. Nel 2019 l’ammontare delle confische eseguite è stato pari a 253,4 milioni di euro, con un aumento del 603,9% rispetto all’anno precedente, ove sono stati sequestrati e confiscati oltre 750 immobili. Nello stesso anno sono stati messi in vendita 87 immobili (pari a 13,5 milioni di euro, + 18,4%) e 3.060 beni mobili.
Negli anni alcune associazioni non profit francesi con a capo Crim’HALT si sono mobilizzate e hanno lavorato per comprendere quali fossero le prospettive per l’introduzione in Francia di una legge che potesse rendere possibile il riutilizzo sociale dei beni confiscati a fini sociali, come accade nel nostro paese.
La legge 109 del 1996 consente l’attribuzione dei beni confiscati alla criminalità organizzata a cooperative e associazioni, basandosi sul principio della restituzione alla comunità locale, dei beni di cui è stata derubata. Negli anni il riutilizzo dei beni confiscati hanno reso possibile la creazione di oltre 770 realtà tra cooperative agricole, centri culturali, strutture per l’assistenza, centri e circoli sociali. «Costruendo un’economia sociale si crea un antidoto all’economia criminale ed un mezzo di contrasto alla criminalità sociale» ha detto Michele Mosca, professore di economia sociale all’Università di Napoli. Esse sono segni visibili di riscatto e simboli tangibili sul territorio del contrasto all’economia criminale, divenendo poli e nuovi attori nella lotta alla criminalità organizzata.
Crim’HALT con l’appoggio di Cultura Contro Camorra ed il Comitato Don Peppe Diana e sostenuti dal programma Erasmus + dell’Unione Europea, ha sviluppato negli anni programmi di studio, portando varie organizzazioni sui terreni confiscati in Campania, Sicilia e Calabria, per comprendere come poter sfruttare i beni della criminalità e prepararsi all’introduzione di questa possibile modifica nel sistema legislativo francese.
Nel Dicembre 2019, l’Assemblea Nazionale aveva intrapreso una prima discussione per la modifica della legge 1329: una legge non legata direttamente alla confisca, ma relativa a migliorare il flusso di finanziamenti delle associazioni a fini sociali. Promossa dalla deputata Sarah El Haïry del partito di centro MoDem, il disegno di legge, sarebbe dovuto essere adottato nel 2020, ma a seguito della crisi sanitaria, la proposta era stata abbandonata. «È stato un peccato, ma siamo però riusciti a far rientrare un emendamento in un altro decreto» ha detto Rizzoli. L’emendamento è stato infatti inserita nel decreto «volto a migliorare l’efficacia della giustizia locale e della risposta penale», proposta da Alain Richard, Senatore del partito di Macron. Il 17 marzo 2021, l’Assemblea Nazionale francese ha fatto passare la legge, poi approvata il 1 aprile anche dal Senato.
«Come attivista che si batte su questa causa da 10 anni, mi auguro che in Francia, grazie al riutilizzo dei beni confiscati a fini sociali, si possano riparare i danni causati da trafficanti e corruttori» ha continuato Rizzoli. Non si parla infatti solo di beni confiscati a cosche: «Le proprietà di un trafficante di droga o di un evasore fiscale potrebbe essere utilizzata per alloggi di emergenza, sedi di un’associazione, di modo che il crimine paghi» ha concluso Rizzoli.
Il decreto entra in vigore il 9 Aprile: al momento, l’interesse è soprattutto legato alla possibilità di riutilizzo e conversione a scopi abitativi popolari e per la creazione di nuovi centri associativi di supporto alla popolazione. Tuttavia rimangono dei nodi aperti e sfide future che bisognerà risolvere per far in modo di creare un sistema efficiente di rincanalamento di queste proprietà per fini sociali. «Non esistono ancora dei criteri per stabilire se un bene sarà dato in utilizzo, o se l’Agenzia nazionale scelga di venderlo» ha detto Rizzoli. «Ci sono immobili che potrebbero essere amministrati da varie associazioni piuttosto che essere oggetto di speculazione immobiliare.»
Crim’HALT insieme ad altre organizzazioni come ANTICOR e Terres des Liens, si propone di avviare un gruppo di lavoro per monitorare l’applicazione di questo primo decreto affinché le associazioni e le organizzazioni senza scopo di lucro possano beneficiarne. «Inizia in effetti, un’altra battaglia, forse di altri 10 anni» ha detto. La volontà infatti è che anche piccole organizzazioni possano accedere a questi immobili nei quartieri popolari, di modo che gli abitanti possano vedere con i propri occhi il cambiamento nelle loro aree.
«Un altro elemento necessario in Francia sarebbe quello di passare alla confisca obbligatoria civile come in Italia, poiché per adesso è solamente facoltativa e penale» spiega Rizzoli. La confisca amministrativa permetterebbe di confiscare molti più beni ai complici e coloro che al momento non rischiano il processo penale, poiché solamente prestanomi. Attualmente, non esiste il reato di associazione mafiosa e questo rende più difficile comprendere la presenza di questo fenomeno sul territorio. I beni al momento, non risultano catalogati per categoria di reato, rendendo impossibile identificare l’area di influenza dei clan. Ma questo emendamento potrebbe essere il primo passo per cambiare il sistema e iniziare a mappare le proprietà in tutta la Francia ed in qualche modo etichettarle per trovare le aree di influenza del potere criminale in tutto il paese.
Sebbene il sistema italiano sia l’esempio di partenza, le associazioni in Francia sanno bene che esso non manca di pecche. Secondo le statistiche dell’ANBSC (Agenzia Nazionale Italiana per l’Amministrazione e la) ci sono oltre 66.000 immobili tra terreni, aziende, edifici e cantieri che sono stati confiscati ad organizzazioni criminali su tutto il territorio italiano. La lentezza burocratica in primis: «Si perde un anno per la trasmissione di un’informazione dalla corte di cassazione all’Agenzia…mi sembra pazzesco!», ha detto Rizzoli, che trova che il sistema italiano abbia un problema di sviluppo e adattamento. Anche la mala gestione dei beni, rende a volte difficile il reinserimento di questi beni nel tessuto economico locale: «I beni spesso non arrivano in buone condizioni, ci sono poche risorse per gestirli o metterli in sesto, e i tempi burocratici sono molto lunghi» ha detto Renato Natale, Sindaco di Casal di Principe. Casale conta oltre 70 proprietà confiscate e riconvertite, ma il budget che doveva essere destinato alla ristrutturazione di altri beni ricevuti nel 2019 e 2020 è stato utilizzato per far fronte ai problemi dettati dalla crisi del coronavirus, lasciando quei beni in attesa di nuovi fondi.
In risposta alla pandemia però si è tentato di sbloccare alcuni dei beni che giacevano inutilizzati. Il programma Spazi per Ricominciare, accordo tra UNIONCamere e ANSBC nell’aprile 2020, è stato finalizzato per rendere fruibile, in comodato d’uso gratuito e in via temporanea, i beni in confisca definitiva alle imprese che ne avessero necessità a seguito dell’emergenza COVID-19. Alcuni di essi sono stati utilizzati anche per produrre o stoccare materiali destinati alla lotta contro il virus. Questo mostra in parte la facilità con cui queste risorse potrebbero essere reinserite nel circuito produttivo, e lo spreco fatto fino a oggi nel lasciarle inutilizzate.
C’è comunque la paura che la reimmissione dei beni volti alla mera vendita possa affievolire il sentimento di lotta antimafia. Dal 2018 infatti, attraverso il decreto sicurezza è possibile acquistare beni confiscati da privati. Tra il 2018 e 2019, oltre 700 beni sono stati venduti, maggiormente in Sicilia, Abruzzo e Calabria. Molte associazioni sono rimaste perplesse per paura che non vi siano controlli ferrei che evitino che le persone che ne facciano domanda siano effettivamente prestanomi o membri di clan mafiosi. Ma inoltre, che la vendita riduca le possibilità di associazioni di inserirsi e aiutare le comunità locali a riscattarsi attraverso attività economiche che non mirino solamente al profitto, ma anche alla valorizzazione del territorio e sviluppo sociale.
Rimane poi aperta la discussione a livello comunitario: il tema della destinazione dei beni confiscati e la promozione del riutilizzo sociale è uno dei tanti aspetti negletti nella legislazione dell’Unione Europea. In ogni stato membro europeo, sono presenti delle leggi per il sequestro dei beni di coloro che compiono reati, ma raramente affiora la causale di associazione mafiosa ed è quindi impossibile identificare queste proprietà come tali e proporre nuovi usi alternativi.
Se la Francia si avvicina adesso a un modello italiano è soprattutto grazie al mondo dell’associazionismo che ha trovato in Italia una controparte forte e radicata. Comprendere come migliorare il sistema, valorizzarlo, tradurlo e proporlo come una soluzione ad altri paesi potrebbe essere un modo per la nostra classe politica di portare il tema della lotta alla criminalità organizzata e sviluppo sociale a livello europeo.