Gli italiani hanno più voglia di studiare da quando è scoppiata la pandemia. Potrebbe essere questo il primo commento da fare dopo avere visto i dati più recenti sugli italiani impegnati negli studi negli ultimi anni. Del resto il numero di quanti tra i 15 e i 34 anni si definiscono studenti è cresciuto a più di 4,5 milioni nel 2020, un record assoluto nonostante la diminuzione di quanto rientrano in questa fascia di età. Con un incremento di quasi 100 mila unità rispetto al 2019, dopo anni di oscillazioni appena di 30-40 mila persone.
La realtà è che più giovani, di fronte alla scarsità di opportunità di carriera nel bel mezzo della crisi, hanno deciso di andare all’università, oppure hanno scelto di non abbandonare gli studi, soprattutto quelli universitari, come in tanti nel nostro Paese hanno sempre fatto. Non a caso l’aumento più netto di studenti è tra i 20 e i 29 anni, mediamente del 4,5% circa.
Ma il dato probabilmente maggiormente degno di nota, e che porta a diverse considerazioni, è un altro: non sono cresciuti solo gli studenti, ma anche coloro che studiano e lavorano.
Sul totale dei giovani occupati quelli impegnati in entrambe le attività sono stati il 5,76%. Era dal periodo precedente alla crisi finanziaria del 2008-2009 che non si arrivava a tali livelli.
E non è solo l’effetto di una riduzione del numero dei lavoratori. Ma vi è stato un incremento in valore assoluto, di 7mila persone rispetto al 2019, che diventano 56mila se il confronto è con il 2015. Non si è insomma fermato quell’aumento di studenti lavoratori che era cominciato dopo la crisi, nonostante la pandemia e nonostante stiamo parlando di un segmento di popolazione, quello dei più giovani, che è stato il più colpito da un punto di vista occupazionale nel 2020.
In un anno il numero di occupati tra chi studia è aumentato del 2,01%, mentre è sceso del 2,02% tra chi non risultava essere uno studente.
In particolare c’è stato un deciso incremento, in doppia cifra, tra chi ha fra i 25 e i 34 anni. Mentre per i giovani della stessa età che non erano iscritti all’università o in altri corsi di formazione vi è stata una riduzione dei posti di lavoro.
Questo vuol dire che quei lavoratori che allo stesso tempo sono impegnati negli studi dopo i 25 anni hanno una maggiore appetibilità per il mercato e minori rischi di perdere il lavoro, e allo stesso tempo che più lavoratori nei settori più solidi hanno pensato di rafforzare le proprie competenze.
Tra i 20 e i 24 anni invece l’incremento degli studenti, che pur c’è, non si traduce in un aumento dell’occupazione degli studenti-lavoratori. Si tratta effettivamente anzi di una permanenza all’università di quanti pensano che sia difficile in questo momento addentrarsi alla ricerca di un impiego.
Se invece il confronto è con il 2015 allora anche tra i più giovani, anzi soprattutto tra i più giovani, l’aumento di occupazione è veramente rilevante e la differenza tra chi studia oltre a lavorare e chi lavora e basta è particolarmente ampia.
In passato i primi erano decisamente di più, poco meno di 450mila a metà anni 2000, ed erano crollati con la crisi economica. Ma questo calo era anche l’effetto della crisi demografica che ha portato i giovani ad essere sempre meno.
Il dato più rilevante è in realtà quello che vede una ripresa, proseguita anche nel 2020, appunto, del numero degli studenti-lavoratori più decisa rispetto a quella dei lavoratori tout court.
Ma chi sono i giovani italiani che studiano e lavorano? La fascia di età in cui sono di più coloro che svolgono entrambe le attività è quella tra i 15 e i 19 anni. Sono stati più del 20% nel 2020. Più si va avanti nell’età minore è naturalmente l’incidenza. E però è soprattutto tra questi che vi è stato un aumento più deciso, con un ritorno quasi ai livelli pre-2010, per esempio nel caso dei 25-29enni.
E si tratta, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, soprattutto di donne. Il 7,41% delle lavoratrici nel 2020 stava anche studiando, contro il 4,61% degli uomini. Anche l’incremento negli anni sembra essere stato maggiore tra le prime.
Probabilmente questo è dovuto anche al basso livello di occupazione femminile, e allo stesso tempo all’alta percentuale di donne tra gli studenti universitari.
Studiare mentre si lavora, o lavorare mentre si studia, da qualsiasi lato la si voglia vedere, fa bene alla carriera. Lo si vede da questi dati che si riferiscono al periodo peggiore per l’economia (e non solo) dal Dopoguerra, ma anche dalle statistiche europee.
È nei Paesi con più i alti tassi di occupazione per i giovani che vi è la maggiore percentuale di 15-34enni con un lavoro durante gli anni di studi. In Svezia, Finlandia, Paesi Bassi, Austria, Danimarca si supera infatti il 50%.
E la proporzione di quanti hanno un impiego tra coloro che durante gli studi hanno fatto un qualche tipo di lavoro, uno stage previsto dalla scuola o dall’università o magari uno trovato per conto proprio, è doppia rispetto a quella che si riscontra tra chi ha studiato e basta. Questo in Italia come in tanti altri Paesi europei.
I dati del 2020, che si applicano a un Paese come il nostro che era in fondo anche in questa classifica, quella della percentuale di studenti con un lavoro, sembrano una piccola luce positiva nel nero della crisi pandemica.
Che si tratti di un ripiego per la fragilità della situazione occupazionale, o un sincero tentativo di acquisire nozioni o competenze, questi dati sono una testimonianza ulteriore del fatto che in economia tra le tipologie di capitali più importanti, e così a lungo trascurati, vi è il capitale umano.