Senza pauraLa lezione di Navalny al mondo

Il Cremlino vuole lanciare un messaggio a tutti gli oppositori: contro il regime nessuna arma è abbastanza affilata. Ma il leader dell’opposizione russa, le cui condizioni di salute sono in peggioramento, sta mostrando a tutti come si può contrastare Putin

Lapresse

Alexei Navalny è l’unica persona al mondo che ha una strategia coerente e valida per mettere in difficoltà Vladimir Putin. Il leader dell’opposizione al Cremlino ha già dimostrato ai suoi compatrioti che è possibile vivere una vita onesta in un sistema politico disonesto: è come se stesse invitando i russi che vorrebbero ribellarsi al regime a farsi coraggio, perché le dittature si nutrono di questo, della paura delle persone per la repressione.

Il messaggio di Navalny è rappresentato perfettamente da una lettera che l’avversario di Putin ha scritto a mano per la sua amica Yevgenia Albats, giornalista russa: «Andrà tutto bene. E se non dovesse andare bene avremo la consolazione di aver vissuto una vita onesta».

La forza del messaggio di Navalny va anche oltre la sua sfida personale con il Cremlino: è un segnale di coraggio inviato a tutto il mondo libero, come spiega Anne Applebaum sull’Atlantic.

L’autrice del saggio “Il tramonto della democrazia: il fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo” ripercorre gli ultimi mesi dell’oppositore di Putin, a partire da gennaio.

A gennaio è tornato a casa da Berlino dopo aver trascorso diverse settimane in un ospedale tedesco. Era scampato al secondo o forse terzo attentato alla sua vita – grazie a una Ong che aveva mandato un aereo a Omsk per portarlo fuori dalla Russia – perché l’agente nervino Novichok usato per avvelenarlo non sempre uccide all’istante, e perché l’ospedale russo aveva accettato di lasciarlo andare, probabilmente partendo dal presupposto che non sarebbe mai tornato.

«Per la cronaca: uno dei medici che lo hanno curato è morto in circostanze strane, e un funzionario dell’ospedale che ha rifiutato di attribuire la malattia di Navalny al veleno è stato promosso ministro della sanità regionale», scrive Applebaum.

Ma Navalny non solo si è ripreso, ma è anche apparto in uno dei video che hanno reso famoso lui e il suo team di ricercatori: aveva spesso preso di mira membri dell’élite russa, i loro soldi e le loro decisioni. Poi a gennaio puntato direttamente Putin, rivelando i dettagli della sua villa sul Mar Nero.

Una video-denuncia di due ore rilasciata proprio mentre Navalny tornava in Russia. Aveva iniziato a diffondersi in rete proprio mentre l’oppositore di Putin era coinvolta in quel “processo” (virgolette necessarie) durante il quale prese in giro il giudice stesso.

«Il video è ancora in circolazione ora, e Navalny giace in un ospedale della prigione e potrebbe essere di nuovo vicino alla morte. Al momento della stesura di questo articolo, il video ha 116 milioni di visualizzazioni», si legge sull’Atlantic.

La parte più singolare della vicenda di Navalny, spiega Anne Applebaum, è che nulla di quanto avviene è tenuto segreto. Mosca non si impegna per nascondere la polvere sotto il tappeto, fa tutto alla luce del Sole. «Niente è segreto sull’avvelenamento, il falso processo o la dura prigionia di Navalny. Come non sono segreti i tentativi di ucciderlo. Tutto questo avviene in pubblico, all’aperto, perché tutti possano vedere».

Non solo: i pubblici ministeri russi stanno anche cercando di mettere fuori legge le organizzazioni che Navalny dirige, sulla base del fatto che le indagini investigative e la difesa dei diritti dei cittadini sono considerate “estremiste”.

Perché l’idea del Cremlino va oltre la distruzione di un avversario politico: se Navalny vuole mostrare ai suoi connazionali come essere coraggiosi e opporsi al governo, Putin vuole dimostrare che il loro coraggio sarà comunque inutile.

Iniziare a vedere la vicenda di Putin e Navalny con questa lente aiuta a comprendere più facilmente molte azioni del governo, altrimenti inspiegabili.

L’unico obiettivo di Putin è, infatti, la sua sopravvivenza politica. Tutto si declina in questo modo: si capisce ad esempio perché sta lentamente cercando di smantellare ciò che resta dei media indipendenti in Russia, compresa la sua decisione di rendere impossibile ai giornalisti di Radio Free Europe/Radio Liberty di lavorare nel Paese.

RFE/RL è un emittente di news finanziato dagli Stati Uniti ma comunque indipendente, attivo a Mosca da trent’anni, cioè da quando Boris Eltsin ha invitato i giornalisti nel Paese dopo il crollo dell’Unione Sovietica. I giornalisti dell’emittente lavorano con grande attenzione sui temi più delicati: erano sul campo durante le manifestazioni in Bielorussia della scorsa estate; erano con Navalny sul suo volo di ritorno a Mosca dalla Germania; hanno coperto il suo processo e la sua prigionia.

Fino a poco tempo fa Putin quasi ignorava Radio Free Europe/Radio Liberty, o quanto meno lasciava lavorare i suoi giornalisti – dopotutto, gli Stati Uniti tollerano la presenza di media russi, molto più pesantemente controllati, incluso il canale RT – ma ora non vuol più tollerare alcuna forma di giornalismo. Che equivale a dire che non vuole tollerare alcuna forma di democrazia, in un certo senso.

«Ma non è un comportamento nuovo», spiega Applebaum sull’Atlantic. «Lo stesso metro di misura è stao usato anche per l’invasione della vicina Ucraina nel 2014, con la successiva annessione della penisola della Crimea e la continua ricerca di una guerra a bassa intensità, come quella che ancora persiste nell’Ucraina orientale».

Ovviamente a queste azioni militari aggressive ha fatto seguito una serie di proteste pro-democrazia e anti-corruzione che hanno convinto il presidente dittatoriale e pro-Mosca dell’Ucraina, Viktor Yanukovich, a lasciare l’Ucraina.

Ma a quel punto la risposta di Putin è stata un mix di nazionalismo vecchio stile – gli ucraini avevano minato la sua visione di un nuovo impero russo – e in parte della stessa strategia messa in campo all’interno della Russia. «Putin ha voluto dimostrare non solo agli ucraini, ma anche ai russi, che la democrazia porta alla violenza, che le proteste contro la corruzione saranno represse e, soprattutto, che il coraggio è inutile», si legge sull’Atlantic.

Proprio come il tentato assassinio di Navalny è stato compiuto allo scoperto, anche questa apparente preparazione per una nuova guerra sta avvenendo sotto gli occhi di tutti: è il messaggio che la priorità numero uno è preservare il regime, a tutti i costi.

«Su Internet circolano fotografie di lanciamissili e carri armati russi messi su vagoni ferroviari o sul ciglio della strada. Nella zona sono arrivate anche due grandi navi da guerra e una miriade di altre navi. E il recente accumulo di soldati russi in Crimea, così come nel territorio appena ad est del confine ucraino, rappresenta il più grande “ricollocamento senza preavviso” di truppe russe dalla precedente invasione dell’Ucraina», scrive Applebaum.

Molti esperti di Russia europei e americani, e molti che si trovano all’interno della stessa Russia, ritengono che questa aggressività militare non sia prodromica a un’effettiva invasione. Molti pensano che Putin stia semplicemente mettendo in scena uno spettacolo per dimostrare agli ucraini e a tutti gli altri che potrebbe portare a termine un’altra sanguinosa invasione, se lo volesse.

Altri credono che faccia sul serio, che voglia finire il lavoro che ha iniziato nel 2014 e occupare gran parte dell’Ucraina meridionale e orientale.

«Ma per quanto selvaggio e temerario possa sembrare – si legge nell’articolo – va considerato che Putin avrebbe ragioni strategiche per correre questo tipo di rischio: l’accesso stradale e l’approvvigionamento idrico alla Crimea sarebbero rafforzati, l’Ucraina potrebbe perdere gran parte della sua costa e dei suoi porti e la Russia dominerebbe il Mar Nero».

È possibile anche che Putin stesso non sappia ancora cosa vuole, o che deciderà in corso d’opera cosa preferisce. Se Navalny muore e se i russi incrementano le proteste di massa – questa settimana ne è stata organizzata una a Mosca – Putin potrebbe aver bisogno di una guerra per distrarre i cittadini.

Allo stesso modo, se Navalny muore e la reazione degli Stati Uniti dovesse essere più dura di quanto si aspetta, Putin potrebbe volere una guerra in Ucraina per dimostrare all’opinione pubblica russa quanto poco gli importi di ciò che pensano gli americani.

Oppure, ancora, potrebbe semplicemente voler mettere alla prova il nuovo presidente Joe Biden, indipendentemente da ciò che accade a Navalny.

Il team di Biden non ha ancora spiegato cosa farebbe nei confronti di Putin. Se gli Stati Uniti hanno un piano per fornire armi difensive all’Ucraina, Biden non lo ha annunciato. Né ha annunciato alcuna risposta pianificata, oltre a ulteriori sanzioni, alle campagne di disinformazione russe negli Stati Uniti e in Europa.

«Ma mentre Bill Clinton, George W. Bush, Barack Obama e Donald Trump credevano di poter andare d’accordo con la leadership russa rispetto ai loro predecessori – conclude Anne Applebaum – Biden è il primo presidente dalla Guerra Fredda che non è arrivato in carica pianificando di “ripristinare” le relazioni con la Russia. Biden ha già definito Putin “assassino”. E allora Putin potrebbe voler vedere fin dove Biden ha davvero intenzione di spingersi».

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