Il muro politicoLetta e Renzi si parlano, ed è già un risultato, ma forse non hanno molto da dirsi

I due leader hanno discusso per quaranta minuti, dopo sette anni di silenzi che hanno probabilmente approfondito le incomprensioni. Ma la distanza tra le rispettive strategie è ancora profonda

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Due persone che si conoscono da tanto tempo e a che non si vedono da sette anni non parlano per quaranta minuti, parlano per ore. Solo che se quelle due persone si chiamano Matteo Renzi e Enrico Letta il discorso è diverso, e allora quaranta minuti bastano e avanzano, come se quei sette anni non solo non avessero cancellato le ferite, ma caso mai approfondito le incomprensioni. 

Né è bastata qualche battuta, ieri, sul Pisa e sulla Fiorentina, sul motociclismo e qualche domanda sui rispettivi figlioli, sul Covid che ha preso la moglie e un figlio di Renzi, nemmeno la tacita intesa di non rivangare il passato, lo stai sereno, la campanella, il referendum eccetera eccetera per capirsi. 

Perché la cosa vera – la “notizia”, se fosse tale – è che Letta e Renzi sono ancor più lontani politicamente che umanamente: ecco com’è andato l’atteso faccia a faccia che maliziosamente il segretario del Pd ha relegato all’ultimo posto delle sue consultazioni con l’universo mondo, Sardine comprese: piccole cattiverie politiciste con un lieve sentore di cavalli di razza di democristiana memoria che tra di loro non è che si amassero, confermando così la regola che i galli si beccano quando stanno, o provengono, dallo stesso pollaio, il Ppi, la Margherita… Certo, entrambi con Draghi, e ci mancherebbe pure. Troppo poco. 

In fondo Letta e Renzi sono due facce della stessa medaglia, vittime entrambi di un sistema politico che comunque la si rigiri non gli consente quella libertà di movimento che vorrebbero. Il Pd non riesce a risollevarsi da sondaggi non brillanti, per quanto sembri in ripresa dal punto di vista organizzativo e della “pax”  interna, e deve quasi implorare il “nuovo” M5s (attenzione alle virgolette) per portare a casa la prima battaglia lettiana, le amministrative d’autunno. Renzi è messo peggio, non solo per i sondaggi che continuano a essere brutti, ma per il fatto che non si capisce ancora quale sia la sua strategia. Okay, né con M5s né con la destra: e dunque con chi, come, quando?

Due debolezze che non fanno una forza, separate come sono dal giudizio su Conte. 

La metafora della grande impasse del centrosinistra come tutti sanno è la Capitale, dove Letta non ha ancora sciolto i dubbi sulla candidatura di Roberto Gualtieri, che anche per questi tentennamenti rischia di nascere come una candidatura “triste”, mentre il leader di Italia viva ha confermato l’appoggio a Carlo Calenda e poi ha anche lanciato l’idea di candidare a Bologna – dove infuria la lotta fra democratici – Isabella Conti, la sindaca di San Lazzaro che «aveva votato Bersani, non Renzi», dunque «è di sinistra», dice ancora Renzi che poi non dimentica che Conti sia passata a Italia viva. 

Anche perché Letta, nonostante la sua sbandierata battaglia per le candidature femminili, alle amministrative rischia di candidare ovunque solo candidati a sindaco uomini. Comunque, dopo il biennio zingarettiano della Grande Incomunicabilità, il Pd ha ripreso a parlare con l’Intruso di ieri, per molti ancora oggi il Traditore, l’Uomo nero dei viaggi e dei soldi («Finché non c’è una legge che lo vieti…», dice Renzi), senza crederci molto, magari: perché effettivamente il muro politico resta alto e nessuno dei due sembra avere troppa voglia di scalarlo per vedere cosa c’è dall’altra parte.

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