Molto è stato già detto e scritto di quel che è avvenuto ad Ankara il 6 aprile quando la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel hanno incontrato il capo dello Stato turco Recep Tayyip Erdogan per riaprire il dialogo fra l’Unione europea e la Repubblica di Turchia sulla “agenda positiva” auspicata dal Consiglio europeo del 25 marzo.
I tre temi dell’incontro: la modernizzazione dell’Unione doganale in vigore dal 1995, la cooperazione economica nel quadro dell’accordo di associazione del 1963, il rinnovo degli accordi sui migranti del 2016 in cambio di ulteriori aiuti finanziari dell’UE alla Turchia, la politica dei visti avrebbero dovuto essere affrontati dall’Unione europea avendo come priorità la necessità e l’urgenza del rispetto dei diritti fondamentali. A cominciare dalla immediata liberazione dei prigionieri politici, dalla separazione dei poteri fra governo e magistratura e dal ritorno della Turchia nella Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne.
Su questi temi, che escludevano le questioni relative alla politica estera e della sicurezza, la partecipazione ad Ankara di Charles Michel era non solo irrilevante ma contraria allo spirito e alla lettera dei trattati che hanno stabilito una pur mostruosa natura quadricefala dell’Unione europea in politica estera attribuendo diverse responsabilità al Consiglio europeo, al Consiglio dell’Unione, alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante per gli affari esteri e della sicurezza sotto il controllo del Parlamento europeo.
Nonostante la natura quadricefala nelle relazioni esterne, il Consiglio europeo e in particolare il suo presidente (prima Herman Van Rompuy e ora Charles Michel) hanno adottato una interpretazione dolosamente erronea delle disposizioni del Trattato di Lisbona: nel caso di Herman van Rompuy creando intorno a sé una rete degli sherpa dei capi di Stato e di governo che hanno di fatto escluso il lavoro negoziale del Comitato diplomatico dei rappresentanti permanenti a Bruxelles e, al di sopra del Comitato, il ruolo dei ministri degli esteri e degli affari europei riducendo a un compito amministrativo l’azione della Commissione europea (qualcuno la chiamò sherpacrazia) ma ancor peggio nel caso di Charles Michel dove il Consiglio europeo ha assunto per sé un ruolo di decisione legislativa che l’articolo 15 del Trattato sull’Unione europea ha stabilito che non gli spettasse («Il Consiglio europeo – recita il Trattato – dà all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. Esso non esercita alcuna funzione legislativa»).
Charles Michel ha evidentemente mal sopportato il ruolo motore della Commissione europea nel piano di ripresa e resilienza (il Recovery Plan ribattezzato Next Generation EU che ha permesso di accantonare l’approccio esclusivamente intergovernativo del progetto franco-tedesco del Recovery Fund) e non ha perso occasione per cercare di affermare ultra vires il primato del Consiglio europeo su quello della Commissione europea.
Come si direbbe a Roma, Charles Michel si è “imbucato” nella missione di Ankara – sostenuto dai suoi colleghi capi di Stato e di governo -. Istruendo in sovrappiù la delegazione dell’Unione europea presso la Repubblica di Turchia sulle modalità della partecipazione dei due presidenti europei all’incontro con Erdogan e con il suo ministro degli esteri.
Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che Charles Michel si sia accomodato senza fiatare accanto al capo dello Stato turco lasciando in piedi – stupefatta – la presidente della Commissione europea. Vale la pena di aggiungere la grave colpa in vigilando del delegato ad Ankara dell’Unione europea, il tedesco Nikolaus Meyer-Landrut, che pur avendo debolmente tentato di resistere alle istruzioni del protocollo di Charles Michel non ha informato preventivamente i servizi della Commissione europea di una situazione che avrebbe inevitabilmente creato un grave incidente diplomatico.
Interrogato il 10 aprile da alcuni quotidiani europei, fra cui Il Sole 24 Ore, l’ineffabile Charles Michel – dopo aver confessato che «l’incidente di Ankara mi toglie il sonno» – ha inteso dare la sua interpretazione immobilista della natura claudicante del sistema istituzionale europeo, una natura resa ancora più evidente dal sofagate, ribadendo il principio della doppia legittimità comunitaria e nazionale e la convinzione che l’Unione europea debba continuare a camminare su queste due gambe.
Dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in poi, è apparso evidente lo squilibrio fra le due gambe, non solo per quella che Carlo Azeglio Ciampi chiamava la zoppia dell’Unione economica e monetaria e che ha pesato drammaticamente durante tutti gli anni della crisi finanziaria, con la prevalenza crescente del metodo intergovernativo o confederale e l’incompiutezza della gamba comunitaria.
Il Parlamento europeo e la Commissione europea non possono accettare che il piombo della cosiddetta legittimità nazionale, di cui ha parlato Charles Michel e che egli ha mostrato con imperdonabile arroganza nel palazzo presidenziale di Ankara, pesi a tal punto sulle già gracili ali del dibattito sul futuro dell’Europa da costringere l’Unione europea a un inaccettabile status quo con la conseguenza di farla regredire verso un concerto cacofonico di apparenti interessi nazionali.
Già nella prossima sessione plenaria di fine aprile il Parlamento europeo dovrebbe esprimere un forte e negativo giudizio politico e istituzionale delle ragioni, che non riguardano il galateo, alle origini del sofagate aprendo di fatto il dibattito sul futuro dell’Europa a partire dalla mostruosa natura quadricefala dell’Unione europea.
In attesa della riforma profonda del sistema europeo, il Trattato consentirebbe già ora di unificare le presidenze del Consiglio europeo e della Commissione europea attribuendo a Ursula von der Leyen, alla scadenza di due anni e mezzo del mandato di Charles Michel, la presidenza del Consiglio europeo e rafforzando così il controllo del Parlamento europeo sul vertice dei capi di Stato e di governo come avviene già per l’Alto Rappresentante per gli affari europei e la sicurezza e come dovrebbe avvenire per il presidente dell’Eurogruppo se vogliamo avviare il consolidamento del ruolo internazionale dell’Euro.
Così facendo renderemmo contemporaneamente meno claudicante la democrazia europea in statu nascendi e porremmo il tema essenziale dell’alternativa fra sovranità nazionali e sovranità europea nell’agenda della Conferenza sul futuro dell’Europa.