Caro presidente DraghiNon siamo interessati né alla Libia né ad altro, per favore ci vaccini a qualunque costo

Ci sono molte questioni importanti, importantissime, che meritano tutta la nostra attenzione ma che dovranno però aspettare due o tre mesi, perché la priorità assoluta, unica, per far ripartire l’Italia è quella di eseguire non solo a chiacchiere, ma casa per casa, quartiere per quartiere, ventiquattr’ore su ventiquattro, e senza pause per grigliate festive, una campagna di vaccinazione nazionale senza precedenti

diana-polekhina, Unsplash

La tocco piano: in questo momento preciso della nostra esistenza personale e nazionale, caro presidente Mario Draghi, della Libia non ci frega niente. Non ci frega niente né della Libia né della legge Zan, né del Sud improduttivo né del Nord produttivo. Zero anche della scuola e di tutte le altre grandi questioni della contemporaneità, quali il digital divide, l’equità fiscale, la transizione ecologica, la proliferazione nucleare. Non ce ne frega niente, anche se come può leggere ce ne occupiamo lo stesso.

Oggi, qui, ora, ci importa soltanto che ci vacciniate, caro presidente. Non chiedo molto, chiedo di farci due punturine nel più breve tempo possibile, con una mobilitazione straordinaria di due tre mesi, casa per casa, porta a porta, come se fossimo in guerra, come se ci fosse la legge marziale, anche perché siamo in guerra e viviamo sotto coprifuoco da un anno. 

Mentre la variante inglese aumenta l’indice di contagio, la grande campagna di vaccinazione nazionale è solo accennata. Ma se vogliamo tornare a vivere e a riaprire le aziende e gli alberghi, le scuole e i teatri, gli uffici e gli aerei e tutto il resto, compresa la politica estera e la questione libica, la campagna di vaccinazione nazionale non può essere solo una chiacchiera o un buon proposito, deve essere una priorità assoluta, unica, esatta, alimentata da uno sforzo di tipo bellico e senza precedenti, con l’esercito per strada, con le tende della protezione civile nei quartieri, con il governo che va in giro per il mondo a procurarsi dosi, con le istituzioni internazionali con il fiato sul collo delle aziende farmaceutiche, con Palazzo Chigi che commissaria le Regioni imponendo un sistema centralizzato di prenotazione e di somministrazione dei vaccini, perché se lo Stato è capace di mandare gli accertamenti fiscali deve poter essere in grado anche di fissare una convocazione per somministrare una dose. 

Capisco che il nuovo governo sia stato costretto a partire dal nulla di Conte e Casalino, nulla peraltro anche sulla Libia dove lei, caro presidente, è stato appunto costretto ad andare per provare a riprendere in mano una situazione ormai compromessa dalla dabbenaggine di chi l’ha preceduto, ma come è possibile che in questa situazione di lockdown obbligatorio e di vaccinazioni a rilento sia stato consentito di rallentare le somministrazioni come se la grigliata tra congiunti a Pasquetta fosse più importante della vaccinazione? 

Trascorsa la Pasqua senza vaccini, e in attesa della medesima défaillance che si ripeterà il 25 aprile e il 2 giugno e temo anche a luglio e ad agosto, perché i centri vaccinali non sono aperti sette giorni su sette e ventiquattr’ore su ventiquattro già da adesso? In America fanno oltre quattro milioni di vaccini al giorno, noi non arriviamo a duecentomila. A New York vaccinano i sedicenni nelle farmacie sotto casa, con mappa geolocalizzata su Google e sistema di prenotazione a prova di pensionato digitale, mentre in Italia molti ottantenni non sono stati ancora vaccinati e i meno anziani non hanno idea di quando arriverà il proprio turno. 

So che gli Stati Uniti e Israele e la Gran Bretagna sono un’eccezione e che altri paesi europei, tipo la Francia, sono messi peggio di noi. So che non ci sono ancora vaccini a sufficienza per tutti, ma perché il vax everybody, whatever it takes non diventa il mantra su cui impegnarsi senza tregua e senza altre distrazioni?

È evidente, tra l’altro, che non saremmo pronti a vaccinare tutti in poco tempo neanche se i vaccini ci fossero in grande quantità, perché siamo abbandonati nelle mani del caso o del codice di avviamento postale: il sessantenne nel Lazio di Zingaretti ha già l’appuntamento per la prima dose, quello milanese o pugliese o siciliano no, e nemmeno se ha dieci anni in più, anche perché in alcuni luoghi d’Italia si è preferito vaccinare il dipendente comunale o il professore o il pretore, nonostante gli uffici, le scuole e le preture siano chiuse e queste categorie siano le uniche a non aver subito un danno economico dalla pandemia.

Accanto alla diffusione capillare dei vaccini, caro presidente Draghi, mi aspetto anche un piano serio per la ripresa delle attività quotidiane, un progetto di riapertura in sicurezza del paese, un passaporto vaccinale e un sistema efficiente di controlli e di tracciamento dell’infezione (che servirà a convivere prima dell’immunità di gregge e anche per le prossime pandemie). Alla Libia, agli altri problemi e a individuare i responsabili di questa catastrofica impreparazione ci penseremo subito dopo, tra due o tre mesi, quando tutto sarà finito. Ora solo vaccini. Scusi presidente Draghi, se ne può occupare? Grazie. 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter