Divulgazione, non segretoIl brevetto non serve solo a proteggere l’innovazione, ma a produrla

L’esclusiva monopolistica induce i concorrenti a studiare, ad approntare soluzioni alternative e a fare di più e meglio per rendere disponibili prodotti ulteriormente innovativi

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Una sparuta dissonanza nel coro di entusiasmo per i #BrevettiLiberi ha avuto il merito di chiarire il dato semplice e negletto: e cioè che senza i brevetti non ci sarebbero stati i vaccini. Ma è un pregiudizio ignorante ad aver adunato così solerti le voci di quel coro: l’idea, sbagliatissima, che il brevetto costituisca una ingiustificata barriera allo sviluppo tecnologico, mentre è vero il contrario e per due motivi combinati.

Certo, il brevetto altro non è che il diritto di escludere i terzi dalla facoltà di attuare l’invenzione che esso protegge (c.d. ius excludendi), e questo per il tempo di vigore dell’esclusiva (che non è eterna). Ma per un verso i terzi sono esclusi dalla facoltà di fare una cosa che essi non avrebbero fatto in ogni caso, perché non loro ma il titolare del brevetto l’ha inventata: il brevetto non è un titolo di proprietà su una cosa preesistente, ma un diritto su un’invenzione nuova e originale.

Per altro verso, l’esclusiva monopolistica assicurata dal brevetto, e rinfacciata alla concorrenza, non obbliga semplicemente i terzi ad assoggettarvisi, ma li induce a studiare e approntare soluzioni alternative: e cioè a impegnarsi in una attività a sua volta proficua. Il brevetto, che è un documento pubblico (serve proprio a questo: a rendere disponibili i suoi insegnamenti per il tempo in cui cadrà in pubblico dominio), enuncia le ragioni del proprio avanzamento rispetto allo stato della tecnica anteriore e, così facendo, illustra le ragioni della propria potenziale obsolescenza. 

Per capirsi, è come una corsa atletica: un conto è sapere che ha vinto quello che finisce davanti; un altro conto è sapere che ha vinto facendo quel tempo. Se lo sanno, gli altri non si allenano a correre genericamente forte, nell’attesa di vedere se alla prossima staranno davanti: si allenano a star sotto a quel tempo. Ed è molto diverso.

Salvo un breve periodo iniziale, il brevetto non è un segreto: è l’opposto, è divulgazione. Vi si arriva grazie a investimenti e ricerca, questa resa possibile da quelli, ma a sua volta ne produce appunto perché obbliga gli operatori economici e la concorrenza a fare di più e meglio per aggirarlo, per superarlo, per rendere disponibili prodotti ulteriormente innovativi. 

In una parola, il brevetto non solo è uno sviluppo tecnologico, ma lo determina: e dunque fa esattamente il contrario rispetto a ciò che la cultura antibrevettuale imputa al diritto di esclusiva, apre strade diverse e più agevoli verso soluzioni più efficaci.

Naturalmente tutto questo non succede per forza e senza eccezioni. Può anche accadere che intorno alla soluzione brevettata, e oltre il suo confine, non nasca poi nulla per un po’ di tempo: ma quando, e pur raramente, questo accade, la causa del mancato avanzamento tecnologico non risiede nel divieto posto dal brevetto ma da una sterilità diversa, da pregiudizi tecnici e scientifici che affliggono la cultura del tempo o da mancate “scoperte” (attenzione: non sono brevettabili le scoperte) che privano il mondo di cose ex post ovvie: «Not having that which, having, makes them short».

È anche poco, infine, dire che i brevetti servono ad assicurarci i vaccini di cui abbiamo bisogno oggi: servono ad assicurarci quelli di cui avremo bisogno domani. 

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