È sufficiente leggere quel che dice di sé il ddl Zan per comprenderne l’irragionevolezza e per avere segno inequivocabile della profonda incultura che l’ha generato. Dice, oltretutto in un italiano da far piangere, di aver «fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte».
Una simile rassegna di baggianate, vaporosa d’un sociologismo troppo balordo anche per un liceale zuccone, vorrebbe spiegare che la legge non vieta di esprimere un’opinione: ed è una meraviglia il legislatore che certifica la compatibilità costituzionale del proprio lavoro, come se invece fosse ipotizzabile un provvedimento che, al contrario, «non fa salve» quelle libertà. Tra le quali, si aggiunge, quella di tenere «condotte legittime»: che – savàsandìr – tali sono siccome riconducibbili con due b ar pluralismo de le idee.
Ma la ciccia viene dopo. E cioè quando il ddl spiega ciò che non fa salvo. Le condotte legittime, infatti, quelle che riconducono, so’ bbone: «Purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».
Al che io tengo questa condotta, che è legittima perché dopotutto riconduce: nella mia azienda voglio impiegati preferibilmente de sinistra, preferibilmente antisionisti, preferibilmente impegnati a denunciare le malefatte del neoliberismo imperante, preferibilmente in orgasmo quando un pubblico ministero chiama le televisioni a margine dei rastrellamenti e annuncia la sua rivoluzione che smonta il Paese come un giocattolo. Insomma quella che secondo me è brava gente: quella voglio, gli altri no. E allora chiamo il mio capo del personale e gli imparo che preferibilmente, ai colloqui, se deve pijà la gente nostra e l’artri no.
C’è caso che la mia condotta legittima, perché riconduce, sia stata «idonea a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori»? Secondo me c’è caso. E allora, si perdoni: ma non è un mio diritto assumere preferibilmente un valoroso statalista, antisemita, forcaiolo, anziché un’odiosa persona civile che usa la propria testa? Ennò, evidentemente: non è un mio diritto.
E se pretendo di esercitarlo – pur tenendo condotte che riconducono, ma sono idonee a determinare quella discriminazione per me sacrosanta, perché mica vorrai avere tra i piedi un liberale o, santiddio, uno che rinnega i fortissimi riferimenti costituiti dal leader apulo-venezuelano e dal rapper di Buccinasco – se pretendo di esercitarlo, dicevo, mi mandano carcerato.
Lo capite che è una vergogna?