Al passo con i tempiChe cos’è l’economia circolare

La nuova edizione ampliata del libro di Emanuele Bompan e Ilaria Nicoletta Brambilla ricostruisce la genesi dei concetti e delle pratiche della transizione alla circolarità e descrive caratteristiche e peculiarità del nuovo modello economico, chiarendone la centralità nella transizione ecologica e nel Green Deal europeo

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Walter R. Stahel, architetto di formazione, forse non si aspettava di diventare il padre putativo di una teoria sullo sviluppo economico quando, nel 1976, assieme all’economista e sociologa Geneviève Reday-Mulvey, realizzò il rapporto Potential for Substitution Manpower for Energy per la Commissione Europea, in cui si analizzava il tema dello spreco di risorse legato alla dismissione di beni e prodotti invece della loro riparazione.

La proposta era di estendere il ciclo vitale degli edifici e di altri beni, come le automobili, per ridurre gli sprechi e i rifiuti.

Il report fu poi pubblicato nel 1981 con il titolo Jobs for Tomorrow – The Potential for Substituting Manpower for Energy.

Nel testo appare per la prima volta un nuovo modello di economia che s distingue da quella lineare: l’economia “ciclica”. Gli autori indicano che i termini “valore aggiunto”, in riferimento solo alla produzione di beni dall’inizio dell’attività fino al punto vendita, “valore del deprezzamento” (minusvalenze) dei beni dopo la vendita, e “rifiuto” alla fine del primo e unico periodo di utilizzo del bene, sono gli assunti canonici di un’economia industriale lineare.

In questo tipo di economia, la responsabilità dei beni si ferma al cancello della fabbrica e i rifiuti – cioè tutto ciò che esce da quel cancello – diventano un problema e un costo per qualcun altro. In contrasto con questa struttura, Stahel e Reday-Mulvey prendono ispirazione dai sistemi naturali, come il ciclo dell’acqua, e immaginano un sistema produttivo autorigenerante dove le imprese divengono responsabili di ciò che producono anche nel post-vendita.

Nel rapporto, gli autori mostrano come questo tipo di economia possa essere incoraggiata da una strategia adeguata, caratterizzata da una regionalizzazione dei posti di lavoro e delle competenze (per esempio, mini-stabilimenti per materiali di riciclo, laboratori di ri-manifattura per i prodotti ecc.), sostenuta da una struttura centralizzata di progettazione, ricerca e gestione.

Un’economia “ciclica” consumerebbe meno risorse e in maniera più efficiente, la sua produzione sarebbe caratterizzata da unità decentralizzate più piccole con input di lavoro più alti e qualificati. I volumi di trasporto di beni materiali diminuirebbero e sarebbero sempre più sostituiti dal trasporto di beni immateriali. Un’economia che offre un servizio anziché un prodotto, secondo Stahel e Reday-Mulvey potrebbe quindi ristrutturare il sistema industriale creando aziende manifatturiere ad alti volumi di componenti globali standardizzate, e aziende locali specializzate nell’assemblaggio, disassemblaggio e ri-produzione dei beni.

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Ora l’economia circolare sta arrivando. Se ne leggerà sempre più sui giornali, nei report, nelle dichiarazioni di ministri e capitani d’industria. E sicuramente accadrà di trovare usi impropri o superficiali. In questi anni, in Europa c’è stata una forte convergenza tra economia del rifiuto ed economia circolare. Non è necessario dire chi o dove ha fatto questa associazione, le intenzioni sono spesso buone.

Ma non possiamo permettere che questo diventi una metonimia, la famosa figura retorica che rappresenta una parte per il tutto. Il ciclo dei rifiuti e la loro reintroduzione nel flusso della materia costituiscono una parte importante e non sostituibile dell’economia circolare, oltre che uno dei suoi principali giacimenti.

Ma non dimentichiamo il ruolo del design per disassemblare i prodotti, la condivisione d’uso del prodotto, le pratiche di prodotto come servizio per il controllo della materia, i legami con la sharing economy, il ruolo dell’economia solidale.

L’economia circolare è un segmento molto ampio e, come tutti i concetti ampi, è naturalmente sfumato. Per questo, definire economia circolare alcuni elementi di essa, come l’eccellente lavoro dei consorzi o i programmi di riduzione dei rifiuti, è assolutamente riduttivo. Noi abbiamo elencato nove particelle elementari.

Queste dovrebbero essere tutte – nel possibile – contenute nei nuovi schemi di produzione e consumo basati sull’economia circolare. Specialmente la “materia” umana. Il capitale umano non è usa e getta.

Così come la materia entra in cicli ristretti, anche il lavoro delle persone deve essere gestito come tale. Ogni persona lasciata fuori da questo ciclo è ovviamente spreco e output negativo. Accenture e McKinsey, nelle loro ricerche patinate (comunque eccellenti da un punto di vista economico), non parlano di questa risorsa (e parlano poco anche degli impatti ambientali) oppure la tengono poco in considerazione.

Eppure il primo studio, quello di Stahel e Reday, venne commissionato nel 1976 proprio per comprendere come si poteva sostituire con la manodopera l’uso di energia nella trasformazione della materia. Non a caso il libro che ne scaturì si intitolava proprio Jobs for Tomorrow – The Potential for Substituting Manpower for Energy. Infine il riciclo. Lo chiariamo una volta per tutte: l’economia circolare non è riciclare materia. Pensare che sia così significa solo riciclare un vecchio concetto e spacciarlo per nuovo.

Niente di differente dal green washing o dalla finta sostenibilità. Impiegare correttamente questi assunti, ora che l’economia circolare è in uno stato nascente, è fondamentale per correggere la rotta e cercare di evitare storture o inganni.

Questo libro è solo il piccolissimo inizio di un grande lungo, complesso discorso.

Emozionante, vero?

Emanuele Bompan e Ilaria Nicoletta Brambilla, Che cosa è l’economia circolare – Nuova edizione aggiornata e ampliata, Edizioni Ambiente, 2021, pagine 240, euro 18